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Cosa non si fa per le donne. Il titolo recita: “Campagna contro la denatalità: partorisci in Veneto, avrai lettino e ombrellone gratis a Bibione o Jesolo“.

L’articolo schiuma di entusiasmo e spiega che “in alta stagione non è certo facile trovare un posto in spiaggia, ma chi partorirà a San Donà o Portogruaro non avrà pensieri perché il posto è gratis”!

Poiché i reparti maternità delle due cittadine suddette rischiano di chiudere se stanno sotto la soglia dei 500 parti l’anno, l’Usl 4 se n’è uscita con questa straordinaria promozione in collaborazione con Unionmare Veneto (“un’associazione che rappresenta la corrispondente regionale per il Veneto del S.I.B. – Sindacato Italiano Balenari e componente di Confturismo”) e con il contributo di una banca.

“Nel momento della dimissione post-parto alla mamma viene consegnato, se lo vuole, un “Beach pass” che le consente di utilizzare gratuitamente un ombrellone per 15 giorni, scegliendo se utilizzarlo nell’estate corrente o nell’estate 2020. (…) Obiettivo è, da una parte, invogliare a partorire tra il basso Piave e il Lemene e allo stesso tempo garantire un’organizzazione tale che il servizio comprenda anche i benefici del sole e l’elioterapia per mamma e bambino”.

Sull’organizzazione e il resto del servizio non c’è niente – e per quanto anche una profana come me sappia che l’esposizione alla luce serve a ridurre l’ittero nei neonati, mi è pure noto che essa va usata in maniera estremamente cauta e controllata, non sbattendo la creatura in spiaggia con il beach-pass – perché ovviamente questa genialata è tutto frutto della dirigenza Usl e le madri non le ha ascoltate.

Se lo avesse fatto, invece che all’ombrellone avrebbe collegato l’offerta ospedaliera al senso di fiducia e sicurezza di cui una partoriente ha bisogno, tipo: “gli ambienti sono confortevoli, intimi, tranquilli; le ostetriche sono esperte e asseconderanno i ritmi fisiologici del tuo travaglio; non ci saranno pressioni o forzature nei tuoi confronti; potrai muoverti liberamente con l’assistenza del personale e non sarai inchiodata a un lettino; non sarai sottoposta a procedure superflue (depilazioni ecc.) dal punto di vista medico; potrai avere accanto a te durante il travaglio e il parto una persona cara – la cosa più importante per noi è il tuo benessere, da cui discendono un parto sereno e il benessere del nascituro.”

Ma figurati. Scaduta l’opzione spiaggia nel 2020 – e credetemi, l’ombrellone sarà un flop – l’Usl dovrà inventarsi qualche altra promozione ma naturalmente ancora non andrà nel verso giusto, quello del rispetto che non considera le donne incinte un mero target pubblicitario. Ecco quindi qualche suggerimento al sig. direttore Carlo Bramezza (che io conosco per interposta persona, cioè conosco persone che hanno lavorato con lui – e non mi diffondo in merito).

Per esempio, per attirare partorienti a San Donà si potrebbe offrire loro:

– 2 biglietti gratis per il ritorno nei cinema de “Il caimano del Piave” (1951, ambientato proprio a San Donà), per mamma e partner o amica/o, accoppiati a un bonus babysitter di tre ore, così da unire al beneficio culturale una piccola salutare passeggiata – terapia elioterapica mobile – o la breve visita a un bar sponsorizzato: l’Usl consiglia un succo di frutta ma chiuderà un occhio se non resistete alla tentazione di uno spritz;

– una settimana di cene tipiche a base di brodo di rane, cotechino con polenta bianca, trippa di maiale e dadini di lardo in tegame, sardèe in saór, ritagli di fegato macinato (figadéi), pinza e vin brulè: anche il latte materno deve avere un po’ di gusto, perdinci;

– ingresso gratuito a tutti gli eventi relativi alla Fiera del Rosario (1° ottobre) e eventuale posto bancarella se la madre desidera: a) vendere il surplus di regali stupidi che le hanno fatto per la nascita del bambino; b) raccogliere firme per sollecitare cambiamenti ai vertici gestionali dell’Usl 4.

Maria G. Di Rienzo

P. S. : Per Portogruaro direi di concentrare l’offerta promozionale sui vini: una bella cassa di Lison-Pramaggiore Chardonnay, diciamo almeno 12 bottiglie, dovrebbe essere l’ideale.

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Non è una novità che in Italia il cosiddetto “partito dell’astensione” risulti in effetti il “partito” principale. Ad ogni tornata elettorale il suo aumento percentuale è variamente stigmatizzato e razionalizzato da analisi di ogni tipo basate per lo più su fedeltà ideologiche e idiosincrasie politiche di chi le produce, per cui si va da “in realtà avrebbero votato per noi, però…” a “maledetti menefreghisti” e il fenomeno resta in sostanza non letto.

Lasciatevelo dire da un’aderente, per quanto saltuaria, a questo cosiddetto “partito”: no, non potevamo votare per voi, ovunque vi collochiate sullo spettro politico e no, siamo in maggioranza tutt’altro che indifferenti o disinformati. Quando non votiamo, vi stiamo mandando un messaggio preciso: l’esistente non ci soddisfa, non ci rappresenta, non si muove verso scopi per noi accettabili – anzi, spesso non riusciamo neppure a distinguere scopi diversi dalla promozione personale dei candidati (un buon posticino in Regione, in Parlamento, eccetera) e non perché siamo ottusi. Quando ad esempio vi producete in slogan tipo “insieme per” e “cambia verso” noi, non uditi, stiamo urlando: “insieme per COSA”, “cambia verso COSA”?

Quando parlate di modernizzazione e riforme – ne parlate da vent’anni buoni – scollegando completamente i concetti dal benessere dei cittadini, rendendo quegli stessi concetti delle icone vuote, idolatrate e indiscutibili, vi rendete conto di essere magari assai adatti a presiedere un consiglio d’amministrazione, ma totalmente inetti al governo di una nazione? L’Italia è persone e territorio, storia e vita, lavoro e arte, relazioni e cultura: un paese non è un’azienda.

Quando volete distoglierci da qualsiasi metodo di partecipazione alternativa alla competizione elettorale e ve ne uscite con il “voto utile”, noi continuiamo a chiederci “utile a COSA, a CHI”? Il dizionario dà all’aggettivo utile i seguenti significati primari: che può usarsi al bisogno, che può servire, che reca o può recare vantaggio o profitto.

Quali bisogni soddisfa e quali vantaggi arreca, il voto “utile”, ai 10 milioni di italiani e italiane che pur lavorando non arrivano a fine mese? Quali bisogni soddisfa e quali vantaggi arreca, il voto “utile”, nelle aree di crisi che riguardano istruzione e salute, tutela ambientale e messa in sicurezza del territorio, impieghi decenti, distribuzione più equa delle risorse, maggior impegno nel prevenire e contrastare la violenza di genere? L’unico voto utile è quello che ci porta più vicini, anche di un solo centimetro, a vivere in modo più umano di come si vive oggi in Italia.

E’ accettabile per voi che persone impiegate a tempo pieno riscuotano salari che le mantengono in uno stato di povertà?

E’ accettabile per voi che i lavoratori e le lavoratrici siano sempre più ricattabili e diventino “superflui” grazie alla progressiva distruzione di ogni tutela nei loro confronti?

E’ accettabile per voi che le nostre scuole pubbliche crollino sulle teste degli studenti mentre si finanziano quelle private e si concedono sgravi fiscali a chi iscrive alle private i propri figli?

E’ accettabile per voi che il risultato principale delle attuali politiche sul lavoro sia l’aumento della disoccupazione? (Febbraio 2015: tasso generale 12,7%, tasso disoccupazione giovanile 42,65, aumento delle donne disoccupate: meno 42.000 unità; Marzo 2015: tasso generale 13%, tasso disoccupazione giovanile 43%, 59.000 unità totali in meno.)

E’ accettabile per voi che le donne paghino prezzi altissimi ad ogni crisi economica e le loro istanze siano ignorate da ogni nuovo governo che si insedia, nonostante quest’ultimo sfrutti spensieratamente il loro lavoro non pagato (tagli alle reti di sostegno sociale e alla sanità significano solo che la cura di bambini, anziani, disabili, malati ricade in maggior misura sulle spalle delle donne, che già se ne fanno sproporzionatamente carico)?

Per me no. E per quanto riguarda le prossime elezioni regionali avevo già deciso di non votare per farvelo sapere una volta di più: tra l’altro, scegliere fra un ex pr di discoteca solito usare le donne come fondali e decorazioni e una ex berlusconiana che dell’essere fondale e decorazione fa la propria missione nella vita (ladylike) per una femminista non è possibile – e vivendo sotto la soglia di povertà il destino del prosecco, mi scuso, non sta in cima alla lista delle mie preoccupazioni.

Poi una donna che stimo ha deciso di provarci, con una lista i cui scopi mi avvicinano di quel centimetro a un’esistenza in cui la dignità di ogni essere umano e il rispetto per l’interdipendenza fra viventi e ambiente non si vendono e non si comprano. Per cui, il 31 maggio lascerò il partito dell’astensione e voterò per Laura Di Lucia Coletti.

So che la mia voce avrà un’eco nella sua. Ed è più di quanto qualsiasi altro schieramento possa dire. Maria G. Di Rienzo

laura e simbolo

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“1. La Regione del Veneto promuove e garantisce nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie e nei consultori la diffusione e la divulgazione dell’informazione sui diritti dei cittadini con riferimento alle questioni etiche e della vita, riconoscendo a tutte le associazioni, di cui al comma 2, pari opportunità di comunicazione.

2. Per le finalità di cui al comma 1 e nel rispetto della privacy, la Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente in materia socio-sanitaria, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, individua con regolamento le modalità di diffusione e di divulgazione da parte delle associazioni di volontariato, iscritte nell’albo regionale o riconosciute a livello nazionale.”

Sapete cos’è questa roba? E’ la legge votata dal Consiglio Regionale del Veneto il 27 luglio 2012 per permettere ai movimenti antiabortisti di entrare legalmente nelle strutture pubbliche (prima recitavano rosari e ti gridavano “assassina” all’esterno, e santo cielo spesso il tempo non è clemente, prima che gli piova in testa o che prendano un’insolazione meglio farli stare comodi). Laura Puppato, candidata alle primarie del PD, è colei che ha riscritto questo testo assieme a Pedrin del PDL per “non farne approvare uno peggiore”. E ultimamente si chiede, vedi te, se l’Italia è un paese per donne.

Posso dire con certezza che, grazie a lei, lo è ancora meno del solito. In realtà la legge avrebbe potuto essere bocciata: il 5 luglio la Commissione Sanità aveva respinto il primo testo e il taglia e cuci e pasticcia del secondo è persino scollegato dalla proposta iniziale (legge di iniziativa popolare con 20.000 firme). Puppato ha sudato un po’ quando qualche donna le ha fatto notare la sua incongruenza: appellarsi alle donne dopo averle simbolicamente presi a calci nel didietro non è stata una mossa provvidissima. Così ha assicurato che si premurerà di indagare per conoscere le strutture che in Veneto garantiscono davvero l’erogazione della 194 e su Facebook va postando frasi del tipo: “Tengo al rapporto umano e sono attenta alle questioni delle donne, da madre (e quasi nonna).”

Nel mentre lei indaga e pratica la sua materna e quasi-nonnesca attenzione a questo soggetto plurale alieno, io ho qualche domanda da fare sull’ingresso delle associazioni antiabortiste nelle strutture pubbliche. La prima è: chi controlla il grado di accuratezza scientifica delle loro informazioni? Anni fa sostenevano che a tre settimane di gestazione si poteva conoscere “il colore degli occhi del bambino” (sic). Ho ancora in qualche cassetto il delirante materiale che chiama le blastule “bambini” e le fa gridare “mamma non uccidermi”. Interrompere una gravidanza non è mai una decisione facile ma l’unica persona intitolata a decidere è quella che è incinta, e su questo Puppato dovrebbe essere d’accordo, giacché parla di “garantire a tutte le persone il diritto e la possibilità di scegliere”. Perché allo stress che la situazione e il ricovero ospedaliero comunque comportano si debbano aggiungere falsità, insulti e umiliazioni è qualcosa che vorrei davvero NON riuscire a comprendere. Invece lo capisco benissimo: lungi dall’aver a che fare con la “divulgazione dell’informazione sui diritti dei cittadini”, la legge regionale sottende un giudizio morale su chi interrompe una gravidanza, un giudizio – va da sé – negativo.

Perché altrimenti (seconda domanda) ci sarebbe bisogno di mandare i primi che capitano a spiegare a costoro “le questioni etiche e della vita”? Perché chi ha redatto il testo pensa alle donne come ad eterne minorenni, costituzionalmente immorali, mentalmente sottosviluppate, e perciò bisognose che qualcuno spieghi loro un po’ di etica, perdinci, altrimenti si rotoleranno nel fango da quegli animali inferiori che sono. Le donne non pensano, non ragionano, hanno l’anima solo da pochi secoli (come da Concilio apposito) e non dev’essere loro permesso di prendere decisioni: ma qualche eccezione può essere fatta se prima subiscono un po’ di violenza fondamentalista e ingoiano una buona dose di veleno “morale”. Passate queste forche caudine, se proprio vogliono continuare a grufolare nel peccato e nell’abiezione, be’, pregheremo per loro: ci sentiranno dai corridoi, finalmente, non saremo più costretti ad urlare dall’esterno del Consultorio.

Laura Puppato, come legislatrice ed amministratrice, può parlare e vantarsi della sua carriera, della sua autostima, della sua identità, delle sue idee e delle sue scelte – ma solo queste ultime hanno rilevanza nelle nostre vite. Personalmente non mi interessa sapere cosa farebbe se fosse Presidente del Consiglio (si è in effetti diffusa sull’argomento), come a lei non interesserebbe sapere cosa farei io se vincessi il Nobel per la Letteratura. Sono ambedue delle fantasie senza riscontro pratico. E nella pratica abbiamo invece un peggioramento reale nelle vite delle donne, grazie a questa legge vergata e votata da una che si chiede se l’Italia sia un paese per donne. Okay. Adesso capite perché non mi interessa avere a priori più donne nelle istituzioni o in posizioni di leadership? Perché non posso fare a meno di trovare le Minetti disgustose e le Puppato quantomeno incoerenti? Sono una femminista, non una santa. Maria G. Di Rienzo

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La sedia ha smesso di ballare sotto di me. Il pavimento dà di nuovo un’impressione di solidità e il lampadario è confortevolmente fermo. Mi sono tolta i sandali, ma non ho ancora disfatto la borsa riempita in fretta e furia mentre tutto ondeggiava. Ho dato un’occhiata ai quotidiani online e ora so che il terremoto ha di nuovo colpito l’Emilia (qui in Veneto ci sono stati solo alcuni crolli) e che alle tre del pomeriggio, mentre scrivo, la stima è di quindici morti.

Mi scuso in anticipo se questo pezzo sarà lungo e variegato, in contrasto con la brevità solita dei miei articoli. Ci sono parecchie cose che voglio dire prima che il soffitto mi crolli in testa, se questo è il mio fato. La prima è questa: chiunque muoia lascia dietro di sé qualcuno che lo amava. Non dimenticatelo. Persino il più perfetto dei farabutti, con la sua scomparsa, segna per sempre qualche cuore, sia pure solo quello di sua madre o del suo cane. Il loro dolore è reale e merita rispetto anche se il morto in questione è Vlad Dracula. Terremoti a parte, ci sono due serial killer in giro per l’Italia, ultimamente, dalle cui azioni si srotolano una scia di cadaveri e un diluvio di sangue: uno è l’odio per le donne e l’altro la cosiddetta “crisi economica”, che sarebbe assai più corretto chiamare “crisi del capitalismo selvaggio”. Non credo ci sia necessità di sciorinarvi per l’ennesima volta nomi, cronache e statistiche: oltre ad essere penoso per me (che essendo un’empatica dietro ad ogni trafiletto percepisco quasi fisicamente visi e corpi e relazioni) ho la sensazione che sia perfettamente inutile al fine di convincere chi non vuol essere convinto. E questo è il mio testamento all’Italia, non un dossier.

Mentre disoccupati si avvelenano con il gas, operai si impiccano, pensionati si sparano e piccoli imprenditori si lanciano dalla finestra; mentre i lavoratori dei ceti più bassi muoiono come mosche della mancanza di rispetto per la loro umanità (che tale è la noncuranza in materia di sicurezza sul lavoro); mentre donne di tutte le età e le condizioni sociali crepano soffocate, battute, infilzate, fucilate per mano di uomini che almeno una volta hanno detto di amarle, date un’occhiata a cosa occupa le prime pagine dei giornali, guardate cos’è veramente importante: la “riforma” costituzionale proposta dal sig. Silvio Berlusconi. Questo tizio ha sempre lavorato “pro domo sua” qualsiasi fosse la carica da lui ricoperta e non stupisce che adesso manovri per diventare il Presidente di questa disgraziata repubblica. Ma mi stupiscono ancora – e mi disgustano parecchio – le reazioni da lacché di opinionisti, politici, funzionari dello stato. Fiutata la faccenda, le prostitute che lo intrattenevano ai suoi festini sono diventate per i giornalisti tutte “soubrette” e “donne di spettacolo”, i prefetti le accolgono come ospiti d’onore liberandosi immediatamente da ogni altro impegno (avete mai provato, voi che non siete “olgettine” a prendere appuntamento con un prefetto?), e i pubblici ministeri fanno inchini alla tenutaria del bordello di Arcore baciandole la mano: non so in quanti abbiate fatto esperienza di un processo, e in che forma, ma avete mai visto un pm sdilinquirsi di fronte all’imputato che deve accusare? Nemmeno nei film, quando il reo di turno si è comprato giudici e giuria, vedrete una cosa del genere, perché è del tutto sensato per i corrotti mantenere le sembianze dell’innocenza: altrimenti, chi crederà che la sentenza uscita da quel tribunale sia giusta, conforme alla legge? Ma a noi italiani non importa, abbiamo deciso da vent’anni e più che è tutta una giostra, tutto uno schifo, sono tutti uguali e l’unica cosa che conti è quanto bene si frega il prossimo nostro. In Italia non ci diamo neanche pena di serbare l’apparenza, tanto il marcio è penetrato in profondità nella nostra vita sociale. Solo questo può spiegare perché un padre italiano porti la figlia sedicenne al concorso “Miss Fondoschiena” – sto edulcorando, la dicitura reale era più esplicita – e si dica “orgoglioso” di lei quando lo vince. Solo questo spiega le madri maitresse e le intere famiglie di magnaccia che ruotano attorno ai “burlesque” di un vecchio signore dalle tasche traboccanti di soldi. Perché questo individuo non ha altro. Soldi. In che modo essi lo intitolano a riscrivere la Costituzione italiana? Sapete, questa Carta, spesso citata come esempio di equilibrio nel conciliare interessi privati e pubblici, il manifesto di una nazione che rinasceva dalla guerra, il documento che parla di una “repubblica fondata sul lavoro” e giura di tutelarlo (art. 35), che parla di sovranità del popolo, di pari dignità sociale per tutti i cittadini, non l’hanno decisa a tavolino manager, pubblicitari, giornalisti distesi a tappetino e segretari-mazzettari per sex workers. Pone limiti e bilanciamenti anche al Presidente della Repubblica. Forse per questo all’aspirante tale non piace. E’ del tutto legittimo. A me non piacciono le sue televisioni, le sue politiche, la sua corte d’avanspettacolo, e tutto rientra nella normalità dell’avere opinioni. Certo, le differenze fra noi sono molte, ma le principali in questo caso sono che io non ho – e neppure lo vorrei – un Alfano da infilare un po’ ovunque in tv e sui quotidiani a strombettare le mie richieste, ne’ sono in grado di fare accordi espliciti o sottobanco con chi non la pensa come me (votiamo quello se voi votate questo ecc.).

E perché quelle tali televisioni, politiche e comparsate non mi aggradano? E’ per via di quel che ho detto all’inizio. E’ per i morti. Più esattamente, per coloro che li piangono e a cui nessuna autorità dello stato, nessun politico, nessun intellettuale o “esperto” ha qualcosa da dire. Ed è per coloro che sono ancora vivi ma che sono messi in pericolo da quelle televisioni, quelle politiche e quelle recite insensate ripetute ad libitum. Che tu ti suicidi o che ti ammazzino la faccenda non accade a caso. Ci sono circostanze che favoriscono o sfavoriscono il fatto che la situazione prenda quella piega. Se si comincia con gli streap-tease delle casalinghe su una tv privata negli anni ’80 e per trent’anni si continua a spogliare e degradare le donne tramite quasi tutti i canali televisivi (e la tv è il mezzo principale di informazione per il 70% degli italiani) che sono, guarda un po’, proprietà di una sola persona, e quando ogni uscita pubblica di questa persona e dei suoi sodali al riguardo conferma un disprezzo allucinante per le donne: ciò crea o no un contesto favorevole alla violenza di genere? Se gli scafisti albanesi sono i benvenuti purché portino belle ragazze, se “è assolutamente legittimo prostituirsi per fare carriera”, se la ex “fidanzate” di Berlusconi da ballerine da discoteca o modelle per calendarietti piccanti diventano ministre o parlamentari o consigliere regionali, ne consegue che è buono e giusto mettere la propria “fidanzata” disabile mentale in strada a guadagnare la sua vita e la nostra; e se le femmine non sono altro che pezzi di carne da solletico sessuale, perché scandalizzarsi per la rottamazione di una moglie vecchia o di un’amante riottosa chiamandoli “femminicidi”, ohibò, e perché oltraggiarsi per lo stupro di una bambina di sette anni? Quando era Presidente del Consiglio, il sig. Berlusconi disse che non aveva abbastanza soldati da mettere alle calcagna di ogni possibile vittima di stupro, perché “è pieno di belle ragazze là fuori”: be’, la bambina settenne l’ha stuprata un sergente americano di stanza in Italia, quindi possiamo consolarci, quel che ci manca di soldati lo suppliscono le nostre alleanze internazionali.

E se, sempre per una trentina d’anni, si smantellano le garanzie conquistate dai lavoratori a beneficio di tutto il paese, si rende la sanità pubblica impraticabile e costosissima, si distruggono le reti sociali di sostegno, si affossa l’Italia nel debito pubblico, si rende il lavoro sempre più precario, irraggiungibile o pericoloso, si smette di considerare i cittadini e le cittadine come principali risorse della nazione e referenti delle proprie politiche e ci si riferisce a loro come a “mammoni”, “fannulloni”, inani mangiatori di spaghetti se gli diamo un reddito garantito, assistenzialisti, rompicoglioni, falliti, e quant’altro: questo alimenta o no la spinta nelle persone “non di successo” – che sono la maggioranza, visti i termini con cui il successo si misura attualmente – a disprezzarsi, magari sino al punto di pensare che è meglio togliersi la vita?

Adesso ditemi: perché io dovrei accettare che chi ha contribuito pesantemente a questo stato di cose cambi la Costituzione del mio paese? Quel che ha fatto sino ad ora gli conferisce lo stauts ed il merito necessari? Perché altri e altre, la cui voce potrebbe avere un’eco ben più grande della mia, accettano o tacciono?

La borsa è ancora là, il trasportino per la gatta pure. Messi in salvo un po’ di libri, i cinquanta euro che costituscono la cassa familiare e la mia fedele amica pelosa, credo che potrei tornare in casa se il soffitto dovesse mettersi a ballare di nuovo. Non perché il disprezzo di cui parlavo sia arrivato a toccarmi, da questo punto di vista ho il cuore di pietra e le orecchie sorde. Ma la mia sopportazione ha pure un limite umano ed io un paese con Berlusconi Presidente della Repubblica non voglio vederlo. Maria G. Di Rienzo

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