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(“Unspeakable Inequalities: Revisiting urban design as if women mattered”, di Kavitha Selvaraj, 25 novembre 2013, trad. Maria G. Di Rienzo. Kavitha, laureata in architettura con svariati master in design, è la presidente di C. R. Narayana Rao, un gruppo di architetti ed ingegneri indiani. Oltre che nel proprio paese, il gruppo ha sino ad ora lavorato in Sri Lanka, Indonesia, Malesia, Emirati Arabi Uniti, Zambia, Bangladesh, Maldive, Nepal, Mauritius e Guyana.)

Gli spazi sono sia pubblici sia privati e gli spazi comunitari possono essere discussi nel contesto degli ambienti urbani e degli ambienti rurali. Poiché il focus di questo articolo è “violenza di genere” e “spazio”, ho ristretto la discussione allo spazio urbano pubblico.

Per essere onesta, sono stata interessata alla qualità del design nella sfera pubblica per lungo tempo, ma non lo guardavo specificatamente dalla prospettiva di genere. Si trattava sempre di accessibilità, mobilità, diritti del pedone, ecc. Ma sempre di più, mentre crimini orrendi contro le donne accadono in spazi pubblici, sento che questo argomento merita attenzione ravvicinata. Un’aggressione effettiva è la forma ultima di violenza, ma il sentimento di insicurezza non è una minaccia minore alla nostra libertà di base. E’ ora che chi di noi vive nelle metropoli indiane chieda che gli spazi pubblici siano disegnati avendo in mente tutti i portatori di interesse primario.

Oggi, se sei maschio, giovane e privo di disabilità, ci sono buone probabilità che tu non sappia di che diamine sto parlando. Ma per il 75% della popolazione, includendo tutte le donne, i bambini, i disabili e i cittadini anziani, la vita nelle città indiane è una corsa ad ostacoli. Ci sono queste diseguaglianze indicibili, poiché nessuno ne discute e, peggio ancora, tutti sono arrivati ad accettarle come parte della vita quotidiana. La cosa non entra nei dibattiti principali sui diritti umani basilari.

Un buon design non è la panacea che risolverà i mali sociali derivati da svariate diseguaglianze storiche. Tuttavia, il vivere nelle città è un indicatore a livello mondiale, dove merito e talento possono minimizzare le differenze create da retroscena, casta, status economico e genere. Se il livello di agio di una donna media sta nel percepire la città come casa sua, anziché come un luogo da attraversare affrettandosi e proteggendo se stessa nel contempo, allora c’è una fatica in meno da fare.

Immaginate una giovane donna, appena uscita dall’università e andata a vivere in città per conto suo, con un lavoro. Ogni decisione che prende durante il giorno deve tenere in contro come arriverà alla sua destinazione, con chi viaggerà, come tornerà a casa. Deve prepararsi mentalmente alla battaglia prima di metter la testa fuori. Bisogna chiedersi: che qualità della vita è, se muoversi da un luogo a un altro prende così tanta energia mentale? Non si tratta solo di donne, per ogni cittadino la mobilità sicura è l’aspetto più critico che contribuisce alla sua esperienza della vita cittadina.

Women Venturing Out

Per coloro che non hanno altra scelta che la battaglia quotidiana negli spazi pubblici, la diseguaglianza è dura. Se si osserva come gli spazi stradali sono usati nei differenti periodi del giorno, ne emergerà che sono dominati dagli uomini. Gli uomini possono sostare praticamente ovunque, in particolar modo attorno ai chioschi del tè e del cibo. Queste installazioni, con il loro senso di impermanenza, rendono difficile alle donne avvicinarsi ad esse e usarle. Persino quando c’è un marciapiedi ben costruito, una donna può scegliere di camminare in mezzo alla strada, se l’illuminazione è insufficiente. Essere visibile la mette in condizione di vedere ed essere vista. Il fatto che una potrebbe essere investita da un veicolo in movimento diventa secondario. Questa è la scelta che lei è costretta a fare: in molti casi, il rischio di essere investita sembra essere migliore dell’essere palpeggiata da uno sconosciuto.

Dalla prospettiva della pianificazione, l’aspetto più critico per la sicurezza nelle strade è il disegno del limite, che può essere definito come la linea dove lo spazio pubblico incontra il dominio privato. Mura alte e lunghe di recinzione segnalano che non c’è attività sul limite e perciò non ci sono occhi sulla strada. Aree commerciali, piccoli negozi, gran numero di case – gente che si muove fuori e dentro la strada sono tutti segni positivi dal punto di visto della sicurezza e della pianificazione. I venditori ambulanti possono star occupando lo spazio “illegalmente”, ma offrono una serie di occhi sul dominio pubblico e il loro contributo non è poco. Se una strada è priva del familiare sostegno fra vicini sarà percepita come molto più insicura. Ciò detto, è ovvio che gli spazi dovrebbero essere riassegnati con un’area adeguata al cammino e zone per qualche attività.

Le tendenze attuali nello sviluppo urbano in aree metropolitane, che possono essere viste come appetibili segnali del “muoversi verso lo sviluppo a maggior velocità”, sono sfortunatamente non favorevoli al design delle città. Un blocco cittadino con un grande viale al centro e parcheggi solo nelle periferie crea per forza una condizione da “cattivo limite”. Allo stesso modo, una comunità “recintata” offre un ambiente “sicuro” solo all’interno dei suoi confini. Che succede quando metti il piede fuori per collegarti al resto della città? Il nudo muro di recinzione, pur disegnato meravigliosamente e costruito con i materiali migliori, senza negozi o attività commerciali di fronte, e attività informale ben pianificata, non è un segnale di sicurezza per il marciapiede che sta all’esterno. Le strade e i luoghi pubblici migliori hanno un mucchio di interessi a livello stradale, con una varietà di attività che si danno in periodi differenti del giorno, in aggiunta agli aspetti di base come l’agibilità del cammino e l’illuminazione. Queste ultime sono ancora più importanti in luoghi ricreativi come i parchi, le aree lungo l’acqua e i mercati.

La mancanza di mobilità all’interno della città interessa ogni cittadino. La sicurezza dei trasporti pubblici dovrebbe essere garantita dallo stato. Una delle soluzioni è stata la segregazione all’interno del sistema di trasporti. Perciò ci sono autobus separati per donne. I treni hanno vagoni “solo per donne”. La scarsa frequenza di tali servizi fa sì che non risultino in una soluzione pratica per la maggioranza. Spesso, stare ad aspettare l’autobus o il treno è una grossa seccatura: essere guardate fissamente dagli uomini e ricevere commenti da perfetti sconosciuti è assai comune. In effetti, la nostra industria cinematografica ratifica questo tipo di comportamento, facendo equivalere lo stalking di una ragazza all’essere innamorati.

Anche se dessimo per scontato che un autobus speciale “per signore” sia utilizzabile ad intervalli frequenti, è solo una parte dell’intero viaggio. Ad un certo punto dobbiamo interagire con il resto della città. Perciò, quando scendi dall’autobus e cammini verso la tua destinazione, l’ambiente urbano che ti circonda com’è? Più spesso che no, ti troverai lungo un muro usato come urinale pubblico, con spazzatura tutto intorno e marciapiedi non praticabili. Ciò rende gli ultimi passi verso la destinazione davvero tortuosi. La cattiva notizia è il livello di tolleranza per cui accettiamo questo status quo. Le donne indiane si voltano imbarazzate, o pensano sia il massimo che si può ottenere, invece di chiedere uno status di eguaglianza nel diritto di essere a proprio agio sulla strada.

Quindi, che ci vuole per sentirsi a proprio agio per strada? La caratteristica chiave sarebbe il disegno dei limiti. Se ci sono occhi sulla strada, qualche attività commerciale, negozi, verande, entrate ad edifici, ci si sentirà automaticamente più sicure. Il passo importante successivo sarebbe l’illuminazione adeguata per i marciapiedi. L’ampiezza degli stessi dovrebbe rendere confortevole il cammino per due o tre persone, di modo che possano incrociarsi senza entrare in contatto. Il marciapiedi dovrebbe essere liscio, senza interruzioni e in grado di portare una donna con un bimbo in carrozzina e un altro per mano.

Se ogni strada in ogni quartiere fosse vista attraverso gli occhi di una donna, avremmo differenti parametri da usare nel design. Nelle città indiane, il nostro design per le strade riguarda solo il muovere automobili e il fornire accesso a proprietà private. Ma in effetti, la strada ha con sé l’immagine di una città. La sensibilità mostrata nel suo design ci dice a chi e a che cosa diamo valore come società.

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C’è un modo per rendere le città più amichevoli e confortevoli per le donne che in esse abitano. C’è, e non è per niente misterioso o difficile: basta chiedere le loro opinioni. L’amministrazione comunale di Vienna lo fa da anni, raccogliendo dati dalle cittadine e incorporandoli nei propri progetti sulla città. Si chiama gender mainstreaming e consiste in un approccio verso l’eguaglianza e l’equità di genere che si assicura di mantenere centrale l’attenzione alle prospettive di genere in ogni attività: politiche di sviluppo, legislazioni, allocazioni delle risorse, pianificazione urbana, eccetera.

Perché non basta mettere le firme sui protocolli internazionali, infilare i documenti relativi in un cassetto e poi sentirsi davvero magnanimi e chiedersi seccati “cos’altro vogliono le donne”: le donne vogliono che le dichiarazioni di principio diventino politiche reali, concrete, che toccano le loro vite. Il privilegio di un settore della popolazione sull’altro non si mantiene solo per ottusità o malizia, ma anche per la smemorata ignoranza dei gruppi in posizione di autorità a sproporzionata maggioranza (se non totalità) maschile, che non si sognano neppure di ascoltare pareri femminili, figuriamoci poi il portarli a livello di politiche.

vienna

Vienna si distingue nel gender mainstreaming in aree come l’istruzione e la salute pubblica, ma il settore in cui l’impatto di questa scelta è maggiormente visibile è la pianificazione urbana. Nel 1999, l’amministrazione ha chiesto ai cittadini e alle cittadine di esprimere le loro opinioni sui trasporti pubblici: ha scoperto che le donne li usano molto di più degli uomini, e che il loro utilizzo include per le donne la cura di bambini ed anziani. In risposta alle preoccupazioni ed ai suggerimenti delle cittadine, gli amministratori hanno allargato i marciapiedi, facilitato l’accesso ai trasporti pubblici, migliorato l’illuminazione stradale.

Gli studi degli amministratori viennesi hanno anche scoperto che le bambine smettevano praticamente di frequentare i parchi pubblici attorno ai nove anni d’età. Così, hanno ascoltato le bambine per sapere perché e saputo che era l’aggressività dei loro coetanei, spesso voraci di spazio e arroganti, a tenerle lontane. Non ci crederete, ma hanno ridisegnato i parchi: hanno aggiunto più aperture per raggiungerli e più sentieri interni, e hanno creato delle suddivisioni nelle aree aperte dei parchi stessi, permettendo la creazione di un numero maggiore di spazi fruibili. Immediatamente, le bambine sono tornate nei parchi, e allo stato attuale continuano a frequentarli assieme ai bambini senza che un gruppo sia maggiore dell’altro o imponga all’altro le proprie attività.

Cin cin con Martina

Chi critica questo approccio dice che rischia di rinforzare gli stereotipi di genere. Ma rendere i trasporti pubblici più agevoli per chi viaggia con bambini e corre da un posto a un altro per lavorare e sbrigare faccende, o permettere a chi non vuole fare a cazzotti di avere un posto tranquillo dove leggere in un parco, agli occhi miei è solo buono e giusto. Eva Kail, sostenitrice del gender mainstreaming e viennese, lo dice cosi: “Si tratta di portare le persone in spazi dove esse non esistevano prima, o dove sentivano di non avere il diritto ad esistere.” Maria G. Di Rienzo (Fonti: The Atlantic Cities, Jezebel, Agenzia Donne NU)

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