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(tratto da: “My 60th isn’t ‘just another birthday’. It’s a turning point.”, di Kit de Waal per The Guardian, 25 dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Nata nel 1960 come Mandy Theresa O’Loughlin, di nazionalità irlandese e britannica, ex giudice di pace e autrice di manuali su adozione e affido, con il nome d’arte Kit de Waal ha pubblicato il primo romanzo – “My Name Is Leon” nel 2016. La sua ultima opera è “Becoming Dinah”.)

Kit

I miei 50 anni sono stati meravigliosi. Sono diventata single e ho avuto alcune notevoli storie. Sono aperta a relazioni nuove, al flirt, a essere desiderata e sensuale ed espansiva. Ho raggiunto successo professionale scrivendo libri e saggi, facendo revisioni, insegnando e incoraggiando altre persone che scrivono. Ho usato la mia voce per dire quel che penso a favore degli scrittori della classe lavoratrice e della gente marginalizzata e ho scoperto durante i “Che si fottano Cinquanta” che amo veramente me stessa, senza scuse o codicilli. Ho smesso di cercare approvazione generalizzata, di preoccuparmi se vado bene o no e se quel che indosso, mangio, leggo o dico è giusto o no.

Tuttavia, ciò ho avuto un costo. Mi è stato detto che appaio assai controllata e intimidatoria, “feroce” è una parola usata spesso per descrivermi e io trovo il tutto sconcertante.

Ben lontano dall’essere solo un altro decennio, io penso che i 60 potrebbero essere un punto di svolta. Sì, salterò dalla mezza età alla vecchiaia, ma potrei anche saltare dai “Che si fottano Cinquanta” agli “Assapora Sessanta”. Rallenterò? Smorzerò i miei spigoli? Ho notato che sto già consolidando le amicizie importanti e staccandomi da quelle che sono diventate negative o “sottraenti”, che è l’unica parola a cui riesco a pensare per descriverle. Spero sempre di fare nuove amicizie e nei miei 60 potrebbe esserci più tempo per questo.

C’è, naturalmente, l’inevitabile treno espresso del tempo, che sfreccia via da te mentre invecchi. Mentre i 60 si avvicinano percepisco che il tempo si sta esaurendo o, quantomeno, sta diventando più prezioso – una frase fatta che più stereotipata non si può ma nondimeno vera. Avevo pensato che arrivare a 60 anni sarebbe stato solo un altro compleanno, ma mentre la data si avvicina capisco di essermi sbagliata. Ho la sensazione che qualcosa stia finendo e perciò, ovviamente, qualcosa sta per cominciare.

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Non morire, ti dico

(“The Leash”, di Ada Limón, poeta statunitense contemporanea – in immagine – trad. Maria G. Di Rienzo.)

ada

IL GUINZAGLIO

Dopo la nascita di bombe di divisioni e paura

le frenetiche armi automatiche scatenate

uno spruzzo di pallottole in una folla che si tiene per mano,

il cielo brutale che si apre in fauci di ardesia metallica

che inghiotte solo l’indicibile in ognuno di noi, cosa

resta? Persino il fiume nascosto nel deserto è avvelenato

reso arancione e acido da una miniera di carbone. Come puoi

non temere l’umanità, non voler leccare il letto

del torrente sino a che si secca, succhiare l’acqua mortale nei

tuoi stessi polmoni, come veleno? Lettore, io voglio

dirti: Non morire. Neppure quando pesce argenteo dopo pesce

viene a galla con la pancia in alto, e il paese precipita

in un crepitante cratere di odio, non c’è ancora

qualcosa che canta? La verità è: non lo so.

Ma qualche volta, giuro di sentirla, la ferita che si chiude

come un’assai arrugginita porta di garage, e posso ancora muovere

le mie membra viventi nel mondo senza troppo

dolore, posso ancora meravigliarmi di come la cagna corra diritta

verso i camioncini a rotta di collo giù

per la strada, perché lei pensa di amarli,

perché è sicura, senza alcun dubbio, che le chiassose

ruggenti cose la ameranno a loro volta, il suo piccolo soffice sé

vivificato dal desiderio di condividere il suo dannato entusiasmo,

sino a che io strattono il guinzaglio per salvarla perché

voglio che sopravviva per sempre. Non morire, dico,

e decidiamo di camminare un altro po’, gli storni

alti e frenetici sopra di noi, l’inverno che arriva per mettere

a giacere il suo cadavere freddo su questa piccola porzione di Terra.

Forse facciamo sempre sfrecciare il nostro corpo verso

la cosa che ci annienterà, implorando amore

dal frettoloso passare del tempo, e perciò forse,

come l’obbediente cagna alle mie calcagna, possiamo camminare insieme

pacificamente, almeno sino a che non arriva il prossimo camion.

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