(Phumzile Mlambo-Ngcuka, sudafricana, dal 7 luglio u.s. ha preso il posto di Michelle Bachelet – dimissionaria perché intende correre di nuovo per la presidenza del Cile – come Direttrice dell’Agenzia Donne delle Nazioni Unite. Phumzile Mlambo-Ngcuka è stata la Vice Presidente del Sudafrica dal 2005 al 2008: è stata la prima donna ad ottenere tale posizione e, in quel periodo, fu la donna di “rango” più alto nella storia del suo paese. Ma, se vogliamo, era già Presidente nel 1983, dell’Organizzazione delle Donne del Natal, affiliata al Fronte democratico unito. Ha un diploma universitario come insegnante (Università del Lesotho, 1980) e una laurea in filosofia (pianificazione e politiche dell’istruzione) conseguita all’Università di Cape Town nel 2003, più una laurea ad honorem conferitale dall’Università di Western Cape lo stesso anno. Nel 2008 ha creato la Fondazione Umlambo che fornisce sostegno alle scuole nelle aree impoverite del Sudafrica e del Malawi. Chi è Phumzile lo lascio dire a lei stessa, con un pezzo tratto dal suo profilo pubblico. Trad. Maria G. Di Rienzo)
“Istruisci una donna e hai istruito una nazione”, Phumzile Mlambo-Ngcuka.
Sono nata il 3 novembre 1955 a Clermont, Durban, nel Natal (oggi KwaZulu-Natal). Mia madre era un’infermiera comunitaria, specializzata in pianificazione familiare, e mio padre era un maestro di scuola. La nostra famiglia era cattolica e discutevamo molto sulle istanze che mia madre affrontava nel suo lavoro, relative ai diritti riproduttivi. Mia madre era determinata ad esprimere le proprie opinioni e a fare la differenza: lei è stata il mio primo contatto con l’attivismo.
Sin da quando ero molto piccola, ero consapevole del mondo che si estendeva oltre le mura della nostra casa: dall’apartheid sotto cui soffrivamo alla fame e alla povertà di cui ero testimone nel mio quartiere. Vivevamo in un paese che aveva così tanto eppure, quando andavo a scuola come una delle bimbe abbastanza fortunate da portare con sé il proprio pranzo, vedevo i miei compagni e le mie compagne che non avevano abbastanza da mangiare. Pensavo: “Queste cose non dovrebbero accadere.” Non avevo le parole per esprimere la diseguaglianza che vedevo, ma sapevo che era là. Dividevo il mio cibo con gli altri bambini che non avevano nulla. E la deprivazione che testimoniavo, nel contesto del ricco paese in cui vivevamo, mi faceva infuriare. Mi infuriava, e mi ispirava.
Quando ero un’adolescente, negli anni ’70, sono stata Leader della Gioventù nell’Associazione delle giovani donne cristiane (YWCA). E’ così che sono diventata una studente-attivista. Ho imparato alla svelta come articolare le mie opinioni e come prendere posizione. E’ stato là, circondata da giovani donne come me e, più importante ancora, da donne più anziane da cui ho imparato moltissimo, che la politica e il discorso pubblico mi sono diventati familiari, che ho cominciato ad essere coinvolta in marce anti-apartheid e raduni. Volevamo abbattere lo stato nella sua totalità per mettere fine all’apartheid. E fu in questo contesto che iniziai a vedere le questioni relative alle donne e a capire come si inserivano nel grande quadro dell’ingiustizia. E vidi anche che il Sudafrica era solo una delle nazioni esistenti, ma che la nostra sollevazione sarebbe stata altamente rilevante per il mondo intero.
E non ho mai guardato indietro. Mentre gli anni passavano, fui abbastanza fortunata da incontrare moltissime donne – in Sudafrica e altrove – tramite il lavoro che stavo facendo. Nel 1984 ho lavorato per l’YWCA a Ginevra, dove ho cominciato a promuovere lo sviluppo dell’istruzione in Africa, Asia e Medioriente. Vedevo chiaramente le connessioni fra l’istruzione dei giovani – in special modo delle giovani donne – e la capacità di creare il cambiamento. Gli avanzamenti che abbiamo visto in Sudafrica a livello politico, sociale ed economico sono stati ottenuti con la lotta e non possono che essere difesi con la lotta: parte di ciò è la lotta continua per i diritti umani delle donne. I diritti delle donne sono diritti umani. Non abbiamo fatto granché per migliorare le condizioni delle donne che si trovano ai margini della società. L’ho visto bene quando ho cominciato a fare politica. Persino un atto piccolissimo, come insegnare ad un gruppo di donne a formare un’associazione artigiana aveva un impatto enorme sulle loro vite.
Nel mio lavoro, oggi, la passione che mi guida è assicurare l’accesso all’informazione per i giovani, specialmente per le giovani donne che non riescono ad avere informazioni accurate sulla salute riproduttiva. Spesso non sanno dove andare, dove possono parlare apertamente senza paura sulla tale questione perché è stata politicizzata o sulla tal’altra perché è tabù. Mi colpisce la fame d’informazione che c’è, una fame che dobbiamo soddisfare. Se non rispondiamo a questo bisogno – aprendo canali di comunicazione, fornendo modi in cui la gioventù possa apprendere e crescere – perdiamo una tremenda opportunità di effettuare cambiamenti reali. Come possiamo dare potere alla gioventù, il potere di prendere il controllo sulle loro vite e sul loro futuro e nel far ciò, cambiare il corso della loro esistenza e di quella delle future generazioni? Questa è la domanda che mi guida.
La povertà e la fame possono far deragliare i progressi che abbiamo fatto. Le donne e i giovani sono esposti a incredibili durezze. Questo ci richiede di fare di più. Le soluzioni alle circostanze che viviamo non possiamo importarle da fuori, dobbiamo trovarle in noi stessi. Come tante altre donne, da giovane io sono stata appoggiata e nutrita dai miei genitori, dalle mie coetanee e da donne più anziane: dobbiamo far spazio alle ragazze, permettere loro di contribuire e di guidare in ogni cammino della vita.