Ehi, sapete già che io sono parziale e ho pregiudizi, vero? Bene. Anche voi. E chiunque voi conosciate o conoscerete in futuro. Tutti. Esperienze, traumi, insegnamenti, ambiente ci hanno fornito opinioni automatiche su molte cose (persone, gruppi di persone, azioni, ecc.) che non conosciamo a sufficienza e su cui non abbiamo mai riflettuto ne’ indagato. Perché semplicemente non possiamo passare la maggioranza del nostro tempo chiedendoci: “La mia idea n. 1.249 da dove viene? E la 1.250? E…” Dobbiamo anche procurarci da mangiare e il biglietto per il teatro, vedete.
La parzialità è normale: nessun essere umano è onnisciente, nessuna mente umana è onnicomprensiva, i nostri punti di vista non sono mai a 360°. Il pre-giudizio è normale: sulla mappa cognitiva è una fase non “fissa”, un’opinione che precede il giudizio, aperta alla ricezione di informazioni, suscettibile di cambiamento.
I problemi arrivano se, per qualsiasi motivo, l’opinione aperta si solidifica in una convinzione stabile e pervasiva al punto da influenzare il nostro comportamento. Per esempio, se la nostra intera famiglia, città, nazione, condivide l’idea sarà per noi molto più difficile interrogarla, sarà così “comune” e così “scontata” che persino se ci ferisce in prima persona troveremo arduo contrastarla.
Se l’opinione non è più aperta alla trasformazione ed è ripetuta come tale per abbastanza tempo, magari in contesti di conflitto (valori, risorse, bisogni), il passo successivo è il fanatismo. Il fanatismo diventa rapidamente un’occupazione a tempo pieno: è come un avido buco nero, deciso a risucchiare la maggior parte della vita del fanatico.
E fanatici si diventa quando si identifica l’opinione solidificata come parte vitale della propria identità. Discutere con un fanatico è un’impresa titanica, perché quelle che per voi sono idee o analisi per lui sono una sfida alla sua “essenza”: messa in termini simbolici, percepisce il vostro contrasto alle sue parole come un tentativo di “ucciderlo”. Il fanatismo lo ha sbilanciato a livello psicologico con un pensiero ossessivo e ha gettato dalla finestra pensiero razionale ed empatia, rimpiazzandoli molto spesso con l’odio. L’odio, un’emozione che consuma, ha bisogno di essere continuamente giustificato e alimentato. Ha bisogno di azioni che lo tengano in vita (e dette azioni possono persino essere autodistruttive).
E’ raro che il fanatico si riconosca tale. Sta dicendo l’unica verità. Sta facendo quello che è giusto fare. Similmente, è raro riconosca di essere manipolato da chi profitta del suo fanatismo. Soprattutto quando il fanatismo prende il controllo di un gruppo organizzato o di una nazione, evolvendo in persecuzione di segmenti della comunità / popolazione, c’è sempre qualcuno che ne trae vantaggio in termini di potere (e di danaro).

I soldi fanno girare il mondo
Quello che segue è il brano di un’intervista a Louise Shelley – un’esperta di terrorismo – pubblicata da Der Spiegel il 6.1.2015.
Professoressa Shelley, lasciando da parte per un momento le vittime, cosa costa in effetti ai terroristi effettuare un attacco?
Di primo acchito, meno di quanto ci si aspetta. Ottenere armi o addestrare un piccolo gruppo di terroristi non è eccessivamente dispendioso. Ma penso che questo sia l’approccio sbagliato per fare un calcolo. La questione essenziale è: quali sono i costi del mantenere un’organizzazione terrorista? Hai bisogno di un tremendo ammontare di logistica, hai bisogno di mantenere i combattenti motivati, devi aver cura delle famiglie dei terroristi uccisi e così via. Perciò hai bisogno di parecchi milioni.
Nel suo nuovo libro “Legami sporchi: corruzione, crimine e terrorismo”, lei scrive che ogni storia terrorista di successo comincia come l’avvio di un’attività economica, con il capitale iniziale. Nel caso di al-Qaida, il denaro veniva dalle fortune di Osama bin Laden. Quello dell’IS (Stato Islamico) da dove viene?
Da due fonti. I precursori dell’IS ricevevano donazioni dagli stati del Golfo, ma ora hanno nuovi contributi, più piccoli, da molte realtà locali. Le vie del contrabbando che stanno usando attualmente erano usate anche nel periodo pre-invasione per spaccio di basso livello, come sigarette e pornografia.
Pornografia?
Già, anch’io sono rimasta sorpresa dall’individuare simile commercio nella regione ora sotto controllo dell’IS. L’IS si finanzia largamente tramite il commercio di petrolio, ma ha molte altre attività. E’ un’operazione criminale diversificata.
Con quali attività?
Per esempio, con l’arte saccheggiata. Viene venduta tramite Ebay, alle fiere d’arte o nei negozi d’antiquariato d’alto livello in Europa. Ma non è che porti tutto questo flusso di denaro, perché il mercato è limitato. I terroristi agiscono sul vasto raggio: l’IS tassa i commerci, raccoglie soldi dai passaporti falsi venduti ai combattenti stranieri, vende cellulari, smercia sigarette di contrabbando, rapisce esseri umani e li vende. E naturalmente, c’è il commercio di armi. Altri gruppi terroristi vendono CD e DVD piratati. Poi ci sono le merci contraffatte, il commercio illegale della fauna e quello delle droghe.
Come funzionano le vie commerciali per questi traffici illeciti?
Usano semplicemente le relazioni commerciali tradizionali. Le connessioni fra Iraq, Siria e Turchia sono vecchie di secoli, se non di millenni. Sono state parti di imperi comuni durante la Storia. E la corruzione dei funzionari permette ai prodotti di attraversare i confini.
Significa che le organizzazioni terroristiche si connettono al crimine organizzato sin dai loro inizi?
Non parlerei di connessione, ma piuttosto di partecipazione. Partecipano al crimine organizzato. A volte le organizzazioni terroristiche affidano attività criminali a gruppi della criminalità organizzata, a volte se le tengono in casa, per così dire. Nell’ultimo caso, corrompono funzionari ed eseguono esse stesse le operazioni.
Ma non sarebbe tabù per i jihadisti cooperare con dei criminali?
Domanda interessante. Un mucchio di esperti con cui ho parlato dicono che per gli islamisti i criminali sono “utilizzabili”. Non sono intoccabili. Puoi reclutare membri per la guerra santa fra i criminali, promettendo loro che saranno mondati dai loro peccati. All’interno dell’IS ci sono molti combattenti con un passato criminale.
E va anche bene contrabbandare pornografia, per un “guerriero santo”, sino a che serve un fine superiore?
Quel che IS insegna non è Islam. I terroristi reinterpretano l’Islam per i loro scopi e usano queste interpretazioni distorte per giustificare le loro azioni. Fanno molte cose anti-islamiche. Quando gli imam in Turchia e Arabia Saudita “rieducano” ex terroristi, partono sempre dallo spiegare che il Corano è stato da loro interpretato in modo falso.
Sembrano più gli interessi di una corporazione economica, anziché gli interessi del Califfato.
Sì, è così. Molti documenti dell’IS sono stati confiscati sino ad ora. Analizzandoli, si nota che il gruppo è gestito come una regolare azienda. Hanno meticolosi libri contabili, che segnano le entrate da fonti diversi e le spese per i salari, le mazzette e le armi. Il terrore è anche un affare – un buon affare. Poiché i terroristi operano come un’impresa, è importante contrastarli con una varietà di misure legali che non si limitino alle leggi penali.
Non vorremmo suonare nostalgici, ma che fine ha fatto il terrorismo vecchia scuola? I gruppi terroristici non hanno scopi ideologici, come in passato?
C’è stata un’enorme trasformazione nel terrorismo internazionale sin dalla fine della guerra fredda. Con il declino del sostegno da parte degli stati, i terroristi si sono rivolti di più al crimine di quanto già facessero. Se devi concentrarti di continuo sulla necessità di raccogliere fondi per le tue operazioni, ciò finisce per diventare il centro del tuo pensiero, al posto dell’ideologia.
Sembra che le organizzazioni terroristiche e la criminalità internazionale siano fra coloro che hanno profittato dalla globalizzazione.
Sicuramente. Noi pensiamo ancora all’interno delle strutture statali. Dall’altro lato abbiamo questi gruppi che usano la globalizzazione e il dissolversi dei confini per i loro propri scopi e per guadagnare danaro. Al momento, l’IS sta facendo così tanti soldi con il petrolio che non ha bisogno di usare internet per farne altri. Ma ha le capacità per andare in questa direzione. Basta guardare come usa professionalmente le tecnologie informatiche e i social network per le attività di “public relations” ed il reclutamento. Inoltre, i gruppi sono connessi globalmente, si scambiano informazioni e imparano l’uno dall’altro.
Maria G. Di Rienzo
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