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Posts Tagged ‘sciopero’

malala on strike

Ciao, mi chiamo Malala Haider.

Vivo in Pakistan.

Sono in prima elementare.

Ho sette anni.

Amo la mia Terra.

Sta diventando calda.

Gli animali muoiono.

Io, sciopero per salvare la mia Terra.

Per favore, salviamo la Terra.

(Riportato su World Pulse da Nabila Abbas, su richiesta di Malala, il 27 settembre 2019. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

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(brano tratto da “A sex strike is not enough: women need to down tools completely”, di Suzanne Moore per The Guardian, 13 maggio 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Il titolo fa riferimento alla proposta di Alyssa Milano di uno “sciopero del sesso” come protesta contro gli attacchi ai diritti riproduttivi delle donne, in particolare contro le leggi sempre più restrittive sull’interruzione di gravidanza. Moore apprezza il concetto, ma ritiene che non sarebbe sufficientemente efficace.)

unpaid care work

Se noi donne vogliamo affermare il nostro diritto all’autonomia corporea e il nostro valore economico, fermiamoci e basta. Solo fermiamoci. Non andate a prendere i bambini a scuola. Non caricate la lavatrice. Non sorridete a quell’uomo perché vi sta rendendo nervose. Non comprate i regali di compleanno. Smettete di curarvene, in altre parole.

Perché questa è l’enorme diseguaglianza a livello globale: il lavoro non pagato delle donne, che consiste in maggior parte nel curarsi degli altri. Eravamo solite chiamarlo il dibattito sul lavoro domestico, a cui parte della sinistra dava vagamente riconoscimento; ma la sinistra, proprio come ogni altra parte della vita, funziona grazie al lavoro non pagato delle donne. Lavoro che è visto come volontario.

Ora il dibattito è riemerso come valutazione economica. A Davos, l’incontro alla stazione sciistica dove la gente ricca fa finta che gliene importi qualcosa, quest’anno Oxfam ha presentato un rapporto sul lavoro non pagato delle donne in tutto il mondo. Vale 10 trilioni di dollari (7,7 trilioni di sterline – ndt. 9 trilioni di euro: un trilione equivale a un miliardo di miliardi) – il che sembra proprio un bel mucchio di soldi, ma non posso mettermi a far calcoli perché ho una lavastoviglie da scaricare, un parente malato da visitare, un bambino a cui star dietro. Come sarebbe smettere di lavorare gratis? La maggior parte di noi troverebbe difficile persino separare le nostre vite domestiche da quel che riteniamo l’essere persone decenti. (…)

Il doppio turno del lavoro pagato e del lavoro non pagato è il pezzetto su cui le donne mentono in pubblico – e a se stesse. Per favore non disturbatevi a dirmi che gli uomini ora fanno di più. Vivo nel nord di Londra in un mare di barbe, passeggini e padri che comprano patatine di cavolo: pure, non ho ancora tempo per applaudire gli uomini quando si curano dei loro propri figli.

In Islanda, il 24 ottobre 1975, le donne scioperarono per un giorno. Le pescherie chiusero. I padri si portarono i figli al lavoro. Le salsicce andarono esaurite, perché questo gli uomini diedero da mangiare ai propri bambini. Una legge che garantiva eguaglianza sui salari passò. Questo giorno, che è ancora celebrato, divenne noto come “il lungo venerdì”.

L’idea sembra fantascientifica adesso – persino la nozione base che le donne mostrino tale solidarietà. Però, ora ci troviamo in un momento in cui i diritti delle donne tornano indietro negli Usa, in Polonia, in Spagna e ovunque. Quindi, non è il sesso che bisogna sospendere; è il lavoro non pagato. Bloccherebbe il mondo.

Donne di tutto il mondo, unitevi. Non perderemo le nostre catene: semplicemente le renderemo visibili. Potremmo essere eroi, anche se solo per un giorno. (1)

(1) “Heroes” – David Bowie – https://www.youtube.com/watch?v=lXgkuM2NhYI

Confido di non dovervi mettere il link per la citazione immediatamente precedente… ; – )

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feminsit strike spain2

(Il cartello dice: Questo 8 marzo vogliamo diritti, non fiori)

In Spagna la protesta femminista è andata particolarmente bene, quest’anno: 5 milioni di donne (e uomini) sono scese nelle strade in più di 200 città. La metropolitana di Madrid è stata bloccata, così come 300 treni.

La Commissione 8 Marzo, che ha organizzato l’evento, secondo i sondaggi ha raccolto il consenso di 4 spagnoli su 5 in generale e del 90% delle donne fra essi: “Oggi chiediamo una società libera dall’oppressione sessista, dallo sfruttamento e dalla violenza. – diceva il loro manifesto – Chiamiamo alla ribellione e alla lotta contro l’alleanza di patriarcato e capitalismo che ci vuole obbedienti, sottomesse e zitte. Non accettiamo condizioni peggiori sul lavoro, ne’ di essere pagate meno degli uomini per lo stesso lavoro. Questo è il motivo per cui chiamiamo allo sciopero.”

Il divario di genere sulle paghe, in Spagna, resta al 13% nel settore pubblico e al 19% nel settore privato (statistiche Eurostat 2017).

Manuela Carmena, sindaca di Madrid e Ada Colau, sindaca di Barcellona, hanno apertamente sostenuto la protesta. Carmena ha scritto in un tweet l’8 marzo: “La cosa non riguarda solo il richiedere vera eguaglianza, ma anche affrontare la necessità del cambiamento del modo in cui il mondo tratta le donne.” e Colau le ha fatto eco: “Abbiamo alzato le nostre voci e non ci fermeremo. Basta violenza, discriminazione e diseguaglianza sui salari!”

feminist strike spain3

Maria G. Di Rienzo

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Per andare a scuola (secondaria superiore) dal loro villaggio devono camminare tre chilometri. Ma sono tre chilometri di calvario, perché uomini e ragazzi – specialmente in moto, con i caschi che nascondono i loro volti – le molestano e le aggrediscono per tutta la strada. L’anno scorso, nello stesso distretto, una studente fu stuprata mentre si recava a lezione e le sue coetanee di due paesini smisero completamente di andare a scuola.

Anche le ragazze di Gothera Tappa Dahena, il villaggio indiano di cui si tratta hanno smesso di andare a scuola, ma perché stanno protestando. Dopo aver denunciato le loro difficoltà alle autorità scolastiche (sorde) e al consiglio di villaggio (il capo è solidale ma non ha potere / giurisdizione bastanti a intervenire con successo), sono entrate in sciopero della fame da mercoledì 10 maggio.

School Girls

Sono circa 80, quattro si sono sentite male e sono state portate in ospedale il venerdì successivo. A tutt’oggi le altre resistono, anche alle diffamazioni dei funzionari del distretto scolastico che le giudicano povere “bambine messe su” dai genitori e dal capo villaggio. Oltre al rispetto per le loro persone e alla libertà dalla violenza maschile, le studenti stanno chiedendo che il liceo del loro villaggio sia ampliato alle classi superiori, di modo da evitare la passeggiata delle forche caudine verso Kanwali.

In qualche modo stanno rispondendo anche all’orrore di un nuovo femicidio con annesso stupro brutale commesso ai danni di una ventenne della loro zona. La madre disperata di costei ha chiesto alle altre madri indiane, tramite la stampa, di non mettere al mondo figlie perché altrimenti arriveranno molto probabilmente a vivere quel che lei sta vivendo… ma queste ottanta figlie determinate a lottare e vincere, anche a costo di sacrificare la propria salute o persino la propria esistenza, le danno completamente torto: ognuna di loro è una torcia ardente nel buio, un segnale di speranza, una creatura preziosa per unicità e coraggio. Il mondo non può fare a meno di nessuna di loro. Maria G. Di Rienzo

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bangladesh 8 marzo 2017

Sii audace. Abbi il coraggio di mettere in questione tutte le argomentazioni basate su autorità, storia, religione e costume. Non dare nulla per scontato. Assicurati di analizzare quel che viene detto e fai un mucchio di domande. Contesta “l’unica versione”. Sii critica sulla realtà, ma anche con te stessa. Leggi, leggi molto.

filippine 8 marzo 2017

Sii creativa. I problemi potrebbero essere complessi, perciò preparati a pensare fuori dagli schemi! Immagina nuovi modi di trattare le istanze su cui stai lavorando. Inventa nuovi modi di vedere, di avvicinarsi, disegna nuove lenti per guardare la realtà.

italia2 - 8 marzo 2017

Sii persistente. Per favore, non mollare. Abbi cura di te stessa e impara a scegliere le tue battaglie, ma torna sempre più forte e più fiera! Il non agire è comunque una posizione politica che favorisce lo status quo, per cui prendi il controllo e credi nel potenziale di dar forma a soluzioni nuove e migliori.

istanbul 8 marzo 2017

Testo di Lucía Berro Pizzarossa, 30 anni, uruguaiana, attivista per i diritti riproduttivi. (Trad. Maria G. Di Rienzo.) Le immagini, dall’alto in basso, ritraggono lo sciopero globale delle donne dell’8 marzo 2017 in: Bangladesh, Filippine, Italia, Turchia e Usa.

new york 8 marzo 2017 - foto di kristen blush

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(“Sustaining the Sisterhood After the March” di SanPatagonia, pseudonimo di una giovane argentina studente universitaria e attivista femminista: “una cercatrice, una pellegrina, un’anima… una donna”. 30 gennaio 2017, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Il 21 gennaio mi sono unita in spirito alla Marcia globale delle Donne dalla Patagonia, in Argentina. Tramite Twitter, ho marciato virtualmente in solidarietà con le marce fisiche che si tenevano in tutto il mondo.

Eravamo tutte unite sotto lo stesso cielo con la stessa convinzione che siamo eguali e meritiamo parità e rispetto. Non c’era paura nei nostri passi. Non c’era violenza nelle nostre azioni. Ho testimoniato forza, coraggio e migliaia di voci pronte ad alzarsi.

In quel giorno ci siamo sollevate come una sola persona. Ma c’è un vecchio proverbio che dice: “Dio è nei dettagli”. (Ndt.: io lo conoscevo come “Il diavolo è nei dettagli”)

Io sono un’attivista per l’eguaglianza da quando ho memoria e ogni vittoria che ho celebrato è stata breve e dolceamara – un piccolo passo che può sempre essere riportato indietro.

Sei giorni dopo la marcia ho saputo che una donna di 28 anni della mia città era morta. Suo marito l’ha picchiata a morte. La brutalità della nostra società e il profondo disprezzo per la vita di una donna restano intatti. Proprio l’anno scorso, avevamo marciato per un’altra donna assassinata dal marito.

Mi sorge la stessa domanda, allora e adesso: marciamo e siamo milioni – e poi? Come possiamo educare al cambiamento reale se non abbiamo la volontà di contribuire al cambiamento fra di noi su base giornaliera?

Per due anni di fila, il movimento NiUnaMenos si è sollevato nel mio paese come un urlo imponente per fermare il femicidio e la violenza di genere. L’anno scorso, la marcia nazionale di Ni Una Menos si tenne nello stesso giorno dedicato alla previdenza del cancro e le donne che vestivano di nero furono criticate perché in quel modo mandavano un messaggio negativo nel giorno dedicato al cancro.

Quanto perdute siamo in questi trucchi cosmetici per predarci l’un l’altra in tal modo? Come donne, spesso contribuiamo ai nostri passi indietro. Le critiche più dure, i più profondi e significativi silenzi e le più aspre opinioni tendono ad arrivarci dalle nostre sorelle nella lotta.

Troviamo oltraggiose le uscite dei politici, ma votiamo per loro – quando andiamo a votare del tutto. Condanniamo i picchiatori ma pure siamo disposte a chiamarci fuori se li conosciamo o se fanno parte delle nostre famiglie. Votiamo persino per i picchiatori, di tanto in tanto, anche se le accuse contro di loro sono pubbliche.

Lasciamo sapere ai ragazzi che possono fare qualsiasi cosa e alle ragazze che devono stare attente perché non sono ragazzi.

Usiamo i nostri social network per giudicare le donne che non si sposano o non hanno bambini.

Quando una donna si veste come le pare, senza badare all’età o al tipo di corpo, la chiamiamo pazza; quando una donna osa essere ambiziosa o compie un subitaneo cambiamento nella sua vita o nella sua carriera, la chiamiamo deviata.

Mentre scrivo, sono passati 9 giorni dalla Marcia delle Donne. Tre reporter della CNN spagnola se la stanno prendendo con Ariel Winter (Ndt.: attrice statunitense) per la scelta dell’abito che indossa alla serata dei SAG Awards (Ndt: SAG sta per Screen Actors Guild – Gilda attori dello schermo, conferisce premi per le migliori interpretazioni dei membri dell’associazione).

Posso sentire una donna che dice, sdegnata: “Non si adatta al suo corpo.”

Perché facciamo questo? Il segmento proposto dovrebbe essere divertente e spassoso, ma tutto quel che io vedo è una giovane donna che lavora come attrice e indossa una veste lunga verde. Tutto ciò le appartiene, è suo. Però i suoi detrattori agiscono come se lei appartenesse a loro, il suo corpo, le sue scelte, la sua immagine pubblica. La rete televisiva legittima l’abuso.

Non sento alcuna voce protestare dal pubblico.

Queste cose non accadono a causa di nessun nuovo presidente. Dobbiamo saper essere responsabili.

Il cambiamento non è garantito. Quando marciamo, compiamo i primi passi nella nostra lotta per l’equità. Ma dobbiamo continuare a fare passi in avanti. Dobbiamo sfidare noi stesse a compiere piccole azioni ogni giorno e a rendere la nostra visione realtà.

sciopero-internazionale-8-marzo-2017

P.S. della traduttrice: Ni Una Menos ha chiamato allo sciopero internazionale delle donne per l’8 marzo. A tutt’oggi, oltre che ovviamente dall’Argentina, hanno risposto positivamente coalizioni femministe da: Australia, Bolivia, Brasile, Cile, Corea del Sud, Costa Rica, Cecoslovacchia, Ecuador, Francia, Germania, Gran Bretagna, Guatemala, Honduras, Irlanda del Nord, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Messico, Nicaragua, Perù, Polonia, Russia, Salvador, Scozia, Stati Uniti, Svezia, Togo, Turchia e Uruguay. Ne riparleremo.

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