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Ieri su alcuni quotidiani:

“Quali sono le dosi giuste di alcol per la donna? La risposta è nell’immagine: un semibusto femminile con due abbondanti coppe di vino che rappresentano il seno.

senza fine

Non è l’etichetta di una nuova cantina, ma la campagna di sensibilizzazione dell’assessorato regionale alla Salute (della Sicilia) contro l’abuso di alcol fra le donne, comparsa due giorni fa sul sito istituzionale “Costruire Salute” e rimossa dopo appena 24 ore per la sollevazione di cittadini, associazioni di donne e medici sui social.”

Non sono riuscita a sapere se il benintenzionato consiglio fosse rivolto anche agli uomini. In caso, la figurina doveva arrivare almeno alle ginocchia, perché le abbondanti coppe erano di sicuro tre e posizionate sul basso ventre, giusto?

Maria G. Di Rienzo

P.S. Per sapere quanto salutari sono tali immagini e come perfettamente “sensibilizzano” le donne, l’assessore può leggere (o farsi leggere, se non conosce l’inglese)

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/00224499.2016.1142496

e cioè il resoconto di 130 studi compiuti negli ultimi vent’anni che ribadiscono i danni provocati dall’oggettivazione sessuale.

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Riccione, uscita dell’autostrada, 2020:

escrementi pubblicitari

Questa geniale, innovativa, creativa pensata dei pubblicitari (il sesso fa vendere, l’umiliazione delle donne anche – che novità!) fa obiettivamente schifo. In termini più educati del mio, ciò è stato detto abbastanza volte da indurre il proprietario della macelleria Ugolini a dichiarare: “Chiedo scusa. Rimuoverò al più presto il manifesto. Non volevo offendere la sensibilità di nessuno e tanto meno quella delle donne.”

Desidero qui ribadire a lui (quale simbolo odierno di una tendenza sociale) e agli incompetenti misogini a cui ha commissionato il cartellone che la nostra sensibilità è l’ultimo dei problemi in ballo. La lotta contro la pubblicità sessista e oggettivante negli spazi pubblici non ha nulla a che fare con puritani sentimenti di disagio per la nudità dei corpi, con la “decenza” o il moralismo: si tratta del contrasto a un sistema patriarcale che costantemente rinforza le diseguaglianze fra i generi e della conseguente normalizzazione della violenza di genere in tutte le sue forme – per tipologia e posizionamento, per esempio, gli annunci pubblicitari hanno un deciso effetto di sdoganamento e normalizzazione delle molestie sessuali.

Negli spazi pubblici è impossibile evitarli: consapevolmente e inconsciamente ricordano alle donne che sono vulnerabili e imperfette e che è loro dovere conformarsi a un’idea precisa di femminilità, mentre conferiscono agli uomini i privilegi del giudizio e del controllo.

“E’ un’affermazione di potere. E’ un modo per farmi sapere che un uomo ha diritto al mio corpo, ha diritto a discuterlo, analizzarlo, valutarlo e a far sapere a me o a chiunque altro nelle vicinanze il suo verdetto, che a me piaccia o no.” Laura Bates, Everyday Sexism Project.

Inoltre, gli effetti devastanti della pubblicità sessista sulla nostra psiche e quindi sulla nostra salute (un altro tipo di violenza di genere) sono scientificamente dimostrati da decenni: 2002, meta-analisi di 25 studi riporta che la maggioranza delle adolescenti si sente significativamente peggio rispetto al proprio corpo dopo aver visto le immagini di donne proposte dai media; 2008, meta-analisi di 77 studi riporta che l’esposizione ai media è fortemente legata ai problemi di immagine corporea nelle donne – per capirci meglio, i “problemi” si concretizzano in anoressia, autolesionismo, depressione, stress e persino suicidio, eccetera eccetera. Un solo dato: dal 1970 i disturbi alimentari nelle donne sono aumentati del 400%.

“Le donne e le bambine si paragonano a queste immagini ogni singolo giorno. E il fallimento di assomigliare ad esse è inevitabile, poiché sono basate su una perfezione che non esiste.” Jean Kilbourne, ricercatrice universitaria, documentarista, conferenziera, scrittrice.

Infatti le foto dei corpicini senza testa e senza volto – culi, i culi sono sufficienti a definire le donne – sono abbondantemente ritoccate per rimuovere da esse ogni traccia di umanità (i pubblicitari considerano queste tracce “difetti”) e dar loro girovita impossibilmente stretti e pelle luminosa da incontri ravvicinati del terzo tipo. Spesso sono pure “candeggiate”, per così dire, perché il modello proposto è stato pensato come ideale per i (ricchi) consumatori occidentali, ma si è rapidamente diffuso a livello globale: creando un proficuo mercato di creme sbiancanti e tinture ossigenanti che succhia via autostima e soldi a donne di tutto il mondo.

Quindi, signor committente e signori pubblicitari, la mia sensibilità è perfettamente a posto: sono le mie ovaie che girano a paletta.

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “Global gender equality will take another 100 years to achieve, study finds”, di Jessie Yeung, per CNN Business, 17 dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)

italia

Molte di noi non vivranno per vedere l’eguaglianza di genere raggiunta in tutto il mondo, secondo un nuovo studio che predice come la pietra miliare sia distante almeno 100 anni.

L’annuale Global Gender Gap Report del World Economic Forum posiziona l’Islanda come il paese con maggior eguaglianza di genere per l’undicesimo anno consecutivo, seguito dai vicini nordici Norvegia, Finlandia e Svezia. Siria, Pakistan, Iraq e Yemen sono agli ultimi posti.

Il rapporto analizza 153 paesi nel loro progresso verso la parità di genere, concentrandosi su quattro temi principali: partecipazione economica, conseguimenti nell’istruzione, salute e sopravvivenza, potenziamento politico.

“L’inchiesta di quest’anno mette in luce la crescente urgenza di azione. – dice il rapporto – Con l’attuale tasso di cambiamento, ci vorrà circa un secolo per raggiungere la parità, una sequenza temporale che è semplicemente inaccettabile nel mondo globalizzato di oggi, in special modo fra le generazioni più giovani che palesano visioni sempre più progressiste sull’eguaglianza di genere.”

Alcuni dei quattro temi mostrano del progresso; per esempio, 35 paesi hanno già raggiunto l’eguaglianza di genere nell’istruzione e tutti i paesi dovrebbero raggiungerla entro 12 anni: progresso che è largamente dovuto ai recenti avanzamenti nei paesi in via di sviluppo, dice il rapporto. La salute e la sopravvivenza delle donne stanno anche migliorando, con 48 paesi oggetto della ricerca che hanno raggiunto quasi la piena eguaglianza.

Per altre aree, tuttavia, ci vorrà più tempo. La partecipazione e le opportunità economiche quest’anno per le donne sono regredite: “solo una manciata di paesi” si stanno appena avvicinando all’eguaglianza e il mondo avrà bisogno di 257 anni in più per ottenerla pienamente. Di media, solo poco più di metà delle donne adulte sono nel mercato del lavoro di fronte al 78% degli uomini, dicono gli autori del rapporto.

Il divario di genere nella rappresentazione politica pure ristagna: nessun paese ha completamente chiuso la differenza e, globalmente, la stima dà 95 anni per raggiungere l’eguaglianza.”

Potete leggere l’intero rapporto qui:

http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2020.pdf

L’Italia arretra al 76° posto, surclassata da nazioni quali Bosnia Erzegovina, Montenegro, Kazakistan e Botswana. Se lo trovate consolante vi dirò che facciamo meglio del Suriname (77)…

Ma chissà, forse il prossimo anno raggiungeremo la posizione n. 41 come la Giamaica? Il ventesimo posto dell’Albania no, vedete ogni giorno quanto tempo ci vuole in Italia per trattare le donne da esseri umani.

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Uno stop

Vi annuncio uno stop di qualche giorno per il blog: sino a guarigione del mio braccio sinistro, che ora da assai dolorante mi rende terribile il picchiettare sui tasti.

La vostra Cat Lady tornerà presto, magari con un arto bionico…

Maria G. Di Rienzo

alja horvat - cat lady

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Jennifer Gunter è una ginecologa che è diventata famosa negli ultimi anni per le sue battaglie contro la pseudo-scienza e in genere contro le patacche e le bufale vendute alle donne dai “guru” del benessere. Il mese scorso ha dato alle stampe “The Vagina Bible” – “La Bibbia della Vagina”, il cui sottotitolo ne spiega l’intenzione: “separare il mito dalla medicina” (Twitter ha bloccato la sua promozione, perché “vagina” è per loro una parola oscena, ma tutti gli insulti sparati contro le donne tramite tweet no).

vagina bible

L’8 settembre Eva Wiseman ha condotto per il Guardian una lunga intervista con la ginecologa e nell’articolo ha inserito un estratto del libro, che di seguito traduco:

MITI E MEDICINA:

Prezzemolo in vagina

Il ramoscello. Infilato su per la vagina ogni notte, per tre o quatto volte, per indurre le mestruazioni. Guardate, non me lo sto inventando, lo sto denunciando. Sembra che alcune persone – sbagliando – pensino che il prezzemolo possa stimolare le contrazioni uterine. Non ci sono prove che l’applicazione vaginale di prezzemolo possa fare ciò, ma persino se potesse ciò non vi farà avere le mestruazioni. E’ il regresso del progesterone che causa le mestruazioni, non le contrazioni uterine.

Uova di giada per la tua “yoni”

E’ l’idea che se metti un sasso di giada a forma d’uovo nella tua vagina ciò ti metterà in sintonia con la tua energia femminile o qualcosa del genere. Le uova di giada sono state pubblicizzate come antico segreto delle concubine e regine cinesi. Io ho fatto ricerca su questo e ho pubblicato i miei dati su una rivista medica a revisione paritaria – non lo sono affatto. La sola cosa antica al proposito è l’assenza di scienza.

Le pillole anticoncezionali causano aumento di peso

Questo è stato molto ben studiato e la risposta è no. Non si tratta di non credere alle donne, sto facendo l’esatto opposto. Si tratta di ricevere le segnalazioni delle donne e studiarle. Questi dati riflettono veramente l’ascolto delle donne da parte di medici. Numerosi studi hanno dimostrato che non c’è collegamento fra pillole anticoncezionali e aumento di peso. Le condizioni di vita associate all’iniziare una nuova contraccezione possono essere collegate al peso, ma la pillola no.

La contraccezione ormonale causa “infertilità”

Per niente ma il patriarcato, tentando di spaventarti affinché tu ti astenga dal controllare la tua salute riproduttiva, ha investito in questo mito. Tristemente, molti sostenitori della salute “naturale” fomentano questa stessa paura. Con l’iniezione può esserci un ritardo di parecchi mesi per il ritorno alla fertilità, ma nel giro di un anno tutte le donne ritornano alle condizioni standard. Come per tutti gli altri metodi contraccettivi, una volta che si smetta di assumerli o che siano stati rimossi, si torna in direzione della gravidanza il mese successivo.

Acqua di lusso

L’ultima è la cosiddetta “acqua alcalina”. L’acqua ha pH 7 e l’acqua alcalina è stata modificata affinché il suo pH sia 8 o 9. Questa è un’estensione della cosiddetta dieta alcalina, promossa per “neutralizzare l’acido nel tuo corpo” (finto linguaggio medico) e curare praticamente tutto, persino il cancro. NON LO FA. Perché tutte maiuscole? Perché delle persone hanno seguito la dieta alcalina per il cancro e sono morte. L’uomo autore del libro che ha contribuito a rendere popolare il trend alcalino è stato arrestato per aver esercitato la professione medica senza licenza e ha ricevuto una condanna a 3 anni e 8 mesi di prigione. Questa è una truffa di proporzioni epiche.

Magneti in prossimità della vagina per la vampate di calore

A volte temo che mi slogherò il collo per quanto i miei occhi roteano su queste affermazioni e la “scientificità” (ehm ehm) che ci sta dietro.

Yogurt per le infezioni da candida

Non contiene i ceppi di lattobacilli che sono importanti per la salute vaginale. Quando una donna mette yogurt in vagina, sta mettendo in essa altri batteri e le conseguenze di ciò non sono note. Può dare una sensazione di sollievo poiché ha la consistenza di una crema, ma i rischi non sono conosciuti e sarà comunque inefficace.

Clisteri di caffè

Buon Dio, no. Ci sono persone, persino alcuni medici, che promuovono questa roba per curare la depressione! Io – non – posso – proprio. Parlando in senso medico, credere che il caffè nel retto possa curare qualsiasi cosa è grottesco. Voglio dire, perché berlo non otterrebbe lo stesso effetto? E’ un’idiozia surreale di proporzioni epiche.

Fare vapori alla vagina

Questo è pubblicizzato per “ripulire” l’utero. Si lega al mito distruttivo che l’utero sia sporco o che le mestruazioni siano una pulizia dell’utero. L’idea dell’utero pieno di tossine è usata, letteralmente, da numerose culture per escludere le donne dalla società – una caratteristica che definisce il patriarcato. Perciò dire alle donne che questo è vero è promuovere un’idea patriarcale.

Riflessioni finali

Potere e salute sono collegati. Tu non puoi essere una paziente con del potere ed avere i risultati che vuoi per la tua salute con informazioni inaccurate e mezze verità. Io sono stata assalita per essermi esposta contro le informazioni errate e la disinformazione che sono offerte alle donne come degne di considerazione. Una vera scelta – valutare la tua proporzione di rischi / benefici e prendere una decisione basandoti su tale informazione – richiede fatti. Ed è questa ricerca per dare fatti alle donne che mi tiene sveglia la notte. E’ la ragione per cui continuo a lottare.

Il patriarcato e l’olio di serpente hanno avuto una lunga durata, ma io ho chiuso con il modo in cui hanno impatto negativo sulla salute delle donne e fanno di essa un’arma. Perciò non smetterò di agitare la mia mazza sino a che ognuno avrà gli attrezzi per essere un paziente con del potere e quelli che cercano di mantenere soggiogate le donne tenendole distanti dai fatti che riguardano i loro corpi chiuderanno la bocca e andranno a sedersi a fondo classe. Questa è la mia “vagenda”.

Maria G. Di Rienzo

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“Abbiamo ragazze e donne messe sotto crescente pressione affinché siano “belle”, con bambine di otto anni che si preoccupano del loro peso. In una società che usa l’aspetto di una donna per determinarne il valore ciò non è sorprendente.

L’oppressione relativa al corpo è così prevalente nella nostra società che noi la notiamo a stento.

Anche il capitalismo contribuisce a perpetrare questa forma di oppressione: ogni giorno ci sono venduti programmi dietetici, libri sulle diete e modificatori corporei.

Lo svergognamento del corpo è diventato un enorme affare.” Kate Dickinson, attivista.

Dai giornali italiani, 19-20 luglio 2019:

“Si era sottoposta a un intervento di bendaggio gastrico perché voleva dimagrire, ma è morta.”

“Brindisi, giovane mamma muore dopo 10 ore in sala operatoria per un bendaggio gastrico.”

Annalisa Z., 35enne, sposata e con un figlio di 6 anni, si è sottoposta a “un intervento di chirurgia estetica che consiste nel restringimento dello stomaco. Entrata alle 9 del mattino in sala operatoria, da lì non è più uscita. Nel tardo pomeriggio i medici hanno avvertito i familiari che la donna non ce l’aveva fatta.”

annalisa

Questa è l’immagine di Annalisa che alcuni quotidiani hanno pubblicato e che io ho modificato nei colori per renderla meno immediatamente riconoscibile: l’ho ritenuto un minuscolo gesto di rispetto. Nello stesso spirito, ho omesso il cognome intero.

Avrei potuto evitare di mettere la foto qui, certo, ma era necessario. Perché io non riesco a capire per quale motivo questo corpo non fosse “normale” e che ragioni ci fossero per sottoporlo a un intervento altamente rischioso (donne e uomini muoiono come mosche di interventi di “chirurgia estetica” allo stomaco e non solo in sala operatoria – vedi nota a piè di pagina). Io vedo una giovane donna affascinante, dal sorriso leggermente sarcastico o con una traccia di sfida, che mostra il piacere del proprio unico stile.

Non so quale specifico percorso l’abbia portata in sala operatoria, ma ritengo dei fallimenti a livello umano ancor prima che professionale i medici che su questa strada ha incontrato.

So, invece, di cosa fanno esperienza ogni donna, ragazza e persino bimba che non rispondano agli standard irrealistici del modello corporeo imposto in quest’epoca e reiterato da tutti i media sul mercato, da pubblicità e prodotti “culturali” e dalla mandria di sfigati che spalmano insulti sui social media.

Completi estranei ti urlano per strada di perdere peso e di vergognarti.

Amici e parenti dicono le stesse cose, in tono meno aggressivo (non sempre) e assicurano di farlo “per la tua salute” (di cui non sanno una mazza).

Se discuti animatamente o litighi con qualcuno, per qualsiasi motivo, il tuo interlocutore (o la tua interlocutrice) non potrà astenersi dal farti notare che sei grassa, che non ti scopa nessuno (e se hai una relazione fissa compatirà il tuo povero partner), che non avendo – per lui/lei – valore a livello di attrazione sessuale non ne hai assolutamente come persona.

Chiunque tu frequenti su base quotidiana o comunque ripetuta – compagni di scuola, insegnanti, colleghi, superiori, commessi, operatori sanitari, baristi, autisti di autobus ecc. – pensa di essere autorizzato a esprimere sul tuo corpo giudizi non richiesti: e dopo averti oltraggiata si aspetta che sia tu a scusarti.

E persino ove ci si arrampica sugli specchi per essere “inclusivi”, i corpi di donne non conformi sono sempre e costantemente bullizzati ed esclusi.

Questo ha un nome: abuso emotivo e psicologico. Trauma.

Questo ha conseguenze. Disturbi alimentari, depressione, crollo dell’autostima, autolesionismo, suicidio. Non sono “solo parole”, vedete. E’ vetriolo. Sfregia, deturpa e infine uccide.

Maria G. Di Rienzo

Nota: 20 luglio 2019 – “Chieti, operata per ridurre il peso, muore dopo venti giorni”. Dopo il primo intervento “al quale era seguito un controllo” che dichiarava tutto a posto, la donna lamentava una febbre cronica che gli antibiotici non hanno trattato. Operata una seconda volta “per accertare l’eventuale presenza di infezioni” si è aggravata ed è morta. Però da adesso in poi non avrà più i “problemi di obesità” citati dagli articoli sul suo decesso (abominevoli): una bella fortuna, eh?

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C’è il segreto d’ufficio, la riservatezza della cartella clinica, un ospedale nella cui “Struttura di Malattie Infettive (…) vengono seguiti da anni centinaia di pazienti con vari orientamenti sessuali, senza alcun pregiudizio e senza che con alcuno siano mai evidenziati problemi, anzi il personale della Struttura collabora attivamente con le organizzazioni Lgbt della zona con riscontri sempre positivi”. Infine, chi ha redatto la lettera da cui è tratto il brano riportato sopra non ha alcun problema con la lingua italiana (sarcasmo) e l’ospedale di Alessandria, che la invia intemerato alla stampa, merita almeno una medaglia per la sua aperta mentalità che consente di curare pazienti di qualsiasi orientamento sessuale invece di indicare loro il prossimo treno per Treblinka – come se le cure non fossero semplicemente quel che sono, funzione e scopo di una struttura sanitaria, ma gentile concessione del personale. Per inciso, al di là del loro orientamento affettivo-sessuale, questi fottuti pazienti PAGANO. Ognuno di loro e soprattutto se lavoratori dipendenti: questi ultimi due volte, direttamente alla fonte (stipendio) e con i ticket.

Come avrete capito, sto parlando del referto di dimissione dall’ospedale in cui il solerte medico alessandrino ha scritto del suo paziente “omosessuale, compagno stabile” perché “l’anamnesi – spiega la lettera – deve raccogliere tutte le informazioni personali e cliniche utili all’eventuale processo di cura”. Ma l’omosessualità non è una patologia, una condizione di rischio, un indicatore di squilibri ormonali ecc. e la raccolta di informazioni non spiega ne’ il sottoporre al test Hiv (risultato negativo) un paziente che arriva al pronto soccorso con grave mal di testa, ne’ il consigliargli di vaccinarsi contro l’epatite (???), ne’ quel che è accaduto nell’ambulatorio:

“Da subito, il medico che mi ha visitato si è posto in una maniera strana. Il mio compagno era in camera con me e ha chiesto a lui direttamente chi fosse. Ha risposto. Gli ha detto non proprio gentilmente di uscire dalla stanza. La prima cosa che poi ha domandato a me è stata: “Conferma che è il suo fidanzato?”. Penso che a marito e moglie nessuno chiederebbe mai questo tipo di conferma.”

Dice ancora la lettera: “L’azienda ospedaliera è molto dispiaciuta di leggere che un nostro paziente possa essersi sentito ‘discriminato’ ” e mette quest’ultimo termine fra virgolette, ovviamente, perché loro la discriminazione non la riconoscono e anzi scaricano la responsabilità su chi l’ha subita: “Nel caso specifico, l’informazione è stata concordata tra il medico e il paziente”. No, il sig. medico ha fatto domande inappropriate, ha ricevuto comunque risposte oneste e non il “vada a quel paese” che meritava e ha deciso senza chiedere consenso cosa scrivere nel referto.

Non so se la coppia protagonista di questa vicenda deciderà di intraprendere azioni legali, quel che voglio sottolineare ora è che non si tratta di un caso isolato e che non tocca solo le persone lgbt. C’è una categoria di esseri umani che i medici prendono a pesci in faccia a priori: le donne e in particolar modo le donne che mi somigliano.

caduceo

In precedenza ho accennato all’incidente del 31 marzo che mi ha procurato una lesione al tendine d’Achille della gamba destra. Non vi dettaglio tutta l’odissea, altrimenti facciamo notte, ma essa è iniziata al pronto soccorso dell’ospedale Ca’ Foncello, dove non sono stata presa sul serio (un infermiere si è persino spinto a chiedermi sprezzante se era così che di solito sopportavo il dolore), dove quindi il medico di turno ha sbagliato diagnosi e mi ha mandata a casa con la caviglia fasciata e il consiglio di metterci su del ghiaccio senza accorgersi della rottura del tendine. Sul referto di dimissione sta scritto che sarei guarita in 10 giorni: siamo al 14 luglio, io non cammino normalmente e devo fare affidamento su pesanti antidolorifici per arrivare alla fine della giornata.

Ovviamente, quando i dieci giorni sono diventati un mese e passa ho chiesto al medico di base cosa fare. Abbiamo deciso per l’ecografia. Ho cambiato ospedale, ma l’atteggiamento nei miei confronti non è mutato di una virgola. Sentite come l’operatore annoiato e silente del S. Camillo, che mi ha degnato delle mere istruzioni su come stare sul lettino e nulla più, mi ha comunicato l’esito dell’ecografia – e solo perché io l’ho chiesto.

“Ha un tutore?” Attimo in cui trattengo la tentazione di ribattere “Non mi hanno ancora dichiarata incapace”, poi rispondo: “Perché, altrimenti il tendine si rompe?” “E’ già rotto.”, e se ne esce dalla stanza. Più visto. I successivi tentativi di accedere al reparto ortopedico del Ca’ Foncello sunnominato per avere la grazia di una terapia falliscono: nel primo sono “cacciata” dalla struttura perché hanno già troppa gente, nel secondo dovrei accedere tramite pronto soccorso e visto il trattamento me ne vado io.

La visita al professionista privato (112 euro per 15 minuti di infastidita sofferenza snob, sua) non dà risultati: “Bisognava intervenire prima”. “Ma come potevo intervenire prima se non mi hanno diagnosticato la lesione?” “Io le dico le cose come stanno.” “Io pure. In sintesi, cosa faccio adesso?” Il professionista non lo sa: ci sarebbe un’operazione ma visto che il tendine non è completamente staccato la fanno raramente. E io devo farla, dove? Be’, l’esperto non sa neppure questo, per cui mi dà un numero di telefono di un suo collega per un’ulteriore visita a pagamento (sì, ciao).

Ma il meglio deve ancora venire. Considerato che il reparto ortopedico ospedaliero di Ca’ Foncello è off limits e che S. Camillo non lo ha, provo all’Ulss 2. La dottoressa che incontro si occupa di ossa e articolazioni ufficialmente, ma la sua specialità dev’essere aggredire le pazienti che hanno il mio aspetto: vecchia, non truccata, vestita (poveramente) casual e non conforme al BMI. Per inciso, poiché ha un aspetto anoressico, neppure lei è conforme, ma è il medico e tanto basta perché la merda debba prenderla io.

Spiego la situazione. Risposta semi-urlata: “Come? Cosa? Ma suo marito non le ha detto di fare un’altra visita?” Questa tecnicamente si chiama “negazione di agenzia”, cioè la tipa presume che io non sia in grado di prendere decisioni per me stessa e abbia bisogno di un uomo che le prenda per me.

Pazientemente, dopotutto sono una trainer alla nonviolenza riconosciuta a livello internazionale, riferisco di aver fatto altre visite e di aver acquistato un tutore che però non riesco a indossare, perché è molto pesante e la gamba offesa si gonfia terribilmente dopo solo quindici minuti. Risposta nello stesso tono aggressivo: “Allora vede che qualcuno le ha detto di mettere il tutore!”

Questa invece è negazione tout court che mi dà in faccia e spensieratamente della bugiarda. Non le chiedo come si permette ma ribadisco, sempre in modo educato, di non aver avuto indicazioni al proposito e che chi mi ha fatto l’ecografia ha solo domandato se ne avevo uno, dal che io ho autonomamente dedotto che forse era meglio averlo.

A questo punto mi chiede di sdraiarmi sul lettino e mentre provvedo con difficoltà, perché zoppico e perdo facilmente l’equilibrio, mi strilla alle spalle come una maestra incazzata: “E poi abbiamo il peeeesooo, il peso, eh?” (N.B.: in nessun referto medico in mio possesso, nemmeno il suo, il mio peso è indicato come talmente abnorme da costituire fattore di rischio. Sono larga, ma non una mongolfiera.)

Tuttavia, la dottoressa vuole che io mi scusi, si aspetta le mie giustificazioni, la mia vergogna e l’assicurazione che ritengo l’essere me stessa un problema.

I don’t comply. “Non intendo discutere con lei di questo argomento. Ho già una dermatite da stress, come avrà notato guardandomi in faccia, e non voglio peggiorarla.” SILENZIO. Da questo momento in poi svolge arcigna e ingrugnata le sue mansioni, mostrandomi sempre la sua ostilità ma senza verbalizzarla, poi finalmente mi dà il referto e addio.

E’ in pratica privo di esito anch’esso, prescrive sedute di fisioterapia e non si sbilancia a suggerire null’altro, ma il punto ormai non è questo. Il punto è: perché l’omosessuale maschio o femmina, perché la sottoscritta, perché chiunque non risponda al modellino sociale prescritto è trattato come subumano? E soprattutto in un momento in cui, avendo un problema di salute, è altamente vulnerabile e fragile?

Non ci state facendo un favore, signori medici: è il vostro lavoro e vi stiamo pagando per esso. I vostri personali pregiudizi non dovrebbero entrare nel conto. E mi piacerebbe sapere in quale cassetto avete chiuso a tripla mandata il Giuramento di Ippocrate, che avete prestato e che contiene il seguente interessante paragrafo:

(Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:)

– di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica.

Maria G. Di Rienzo

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manichini

L’immagine riprende una sezione del “reparto donne” della Nike in Oxford Street, a Londra. La presenza del manichino in primo piano fa parte dell’impegno preso dall’azienda a onorare diversità e inclusione, quello per cui l’ex atleta e attivista antirazzista Colin Kaepernick è diventato un loro testimonial. Poi, non è che la Nike sia tutta umana nobiltà e non ci guadagni: le persone di colore e quelle di sesso femminile sono più invogliate a fare acquisti dove si sentono benvenute, ma le donne in particolare sono in effetti più inclini a comprare un capo d’abbigliamento se esso è presentato su un manichino che assomiglia al loro corpo (sul tema c’è anche un recente studio dell’Università di Kent). L’anno scorso, adottando questa strategia, il marchio di biancheria intima “Aerie” ha incrementato le vendite del 38%, contro il passivo prima e il modesto + 1% finale realizzato nello stesso periodo dai prodotti di “Victoria’s Secret” (sempre pubblicizzati dagli “angeli”, le prevedibili modelle sottilissime, abbronzate e ritoccate al computer).

Il manichino della Nike, ancora una rarità fra le migliaia di pupazzi scheletrici in vista in tutte le vetrine del mondo, ha però infastidito i cultori e cantori della “grassofobia” – sono quelli che danno dei malati, dei tossicodipendenti da cibo, degli schifosi pigri e ingordi agli individui le cui caratteristiche corporee non corrispondono agli attuali interessi economici delle industrie farmaceutiche, dietetiche, cosmetiche, ecc.

Su “The Telegraph”, per esempio, è apparso un articolo che in fase di redazione deve aver sciolto con il vetriolo la tastiera della sua ignorante autrice: “Quella (ndt. il manichino) è obesa sotto tutti gli aspetti e non si sta preparando a una corsa nel suo scintillante abbigliamento Nike. Lei non è in grado di correre. E’ più probabile che sia pre-diabetica e che stia aspettando una protesi all’anca.”

Naturalmente una valanga di donne larghe che fanno sport per piacere o che sono delle vere e proprie atlete l’hanno mandata dove meritava di andare. Alcune maratonete, in questo gruppo, hanno chiesto alla cafona giornalista se vuol venire a correre con loro, così vede se riesce a provare le stronzate che spara.

Io non so ovviamente come sia nato l’odio di questa persona per altri esseri umani che semplicemente vivono le loro vite e non le stanno facendo nulla, ma so da dove prende le informazioni scorrette che lo alimentano: da ogni media a sua disposizione. Se oggi, per ventura, avesse scorso dei quotidiani italiani, avrebbe trovato su ognuno di essi un pezzo sull’imperativa necessità – per le donne – di perdere peso, subito e con ogni mezzo necessario (c’è persino il folle “Dimagrire: la dieta del gelato” sulla prima pagina odierna di giornali a tiratura nazionale).

Il dato davvero interessante di tale ossessiva campagna è questo: non ha nulla a che fare con la salute delle donne.

1. Che il grasso sia una “malattia” l’ha detto nel 2013 l’Associazione dei medici statunitensi, di cui fanno parte diversi azionisti o consulenti dell’industria dietetica – e già questo inficia un po’ la dichiarazione (conflitto di interessi), inoltre l’Associazione ha una storia pesante di parametri su patologie stabiliti “ad minchiam”.

Lo hanno detto, ma non sono stati in grado sino ad ora di provarlo scientificamente. Nello stesso rapporto, hanno dovuto tra l’altro ammettere che gli individui “sovrappeso” hanno un rischio più basso di morte prematura degli individui con peso “normale” e che non c’è relazione diretta fra l’essere grassi e il morire prematuramente. C’è ormai una vasta letteratura sul “paradosso” del grasso corporeo, basata sui dati: pazienti con patologie cardiache e peso non “normale” vivono meglio e più a lungo dei loro corrispettivi specchi della fitness.

Dunque, che caxxo di malattia è quella grazie a cui ho un’aspettativa di vita più alta?

2. Guardare un pezzo di plastica sagomato e dedurre che sta per diventare diabetico e dovrà sottoporsi a intervento chirurgico è francamente idiota. Ma non meno idiota del guardare un corpo umano e prodursi nella stessa diagnosi.

Il fatto è che sul diabete di tipo 2, o mellito, l’associazione peso/malattia è fallace: molte persone magre sviluppano il diabete, molte persone grasse no. La ricerca scientifica non dà attualmente al proposito conclusioni definitive: non è chiaro se l’obesità causi il diabete, se sia il diabete a causare l’obesità, o se ambo le condizioni siano causate da fattori terzi come nutrizione povera, stress o eredità genetica. Vedete, io prima di scrivere qualsiasi cosa faccio i compiti a casa – e mi sciroppo interi studi di facoltà universitarie di medicina e serie complete di riviste scientifiche.

3. Un fattore di rischio legato al peso corporeo, certo e comprovato, c’è: è però grandemente sottostimato. Si tratta dell’effetto che la discriminazione, gli svergognamenti, il bullismo nei confronti delle persone grasse hanno sulla loro salute, sulla qualità delle loro esistenze e sulla durata di queste ultime (a cui spesso pongono fine prematuramente e volontariamente, soprattutto se femmine).

Medici e paramedici non sono esenti da pregiudizi in virtù delle loro lauree e diplomi, sono bombardati dalla campagna “grassofoba” quanto gli altri e spesso associano arbitrariamente il grasso alla scarsa salute e la scarsa salute all’immoralità (sei malato di ciccia e se sei malato di ciccia è colpa tua): un gran numero di persone ricevono diagnosi sbagliate perché il dottore di turno si limita a dar loro uno sguardo schifato e a consigliare il dimagrimento – in assenza di terapie adeguate ai loro veri problemi di salute, che con il grasso non avevano niente a che fare, ovviamente queste persone peggiorano e magari schiattano, ma cosa volevano aspettarsi? Erano delle merde ciccione, no? Gli sta bene!

Chi deve soffrire ostilità, battute del menga, reprimende ecc. negli ambulatori finisce logicamente per frequentarli il meno possibile: perciò le donne classificate come “sovrappeso” crepano più spesso di cancro cervicale – ma non lo causa il grasso, è che non vanno a fare il Pap test e se ne accorgono quando è troppo tardi.

Molte donne rispondono alla propria umiliazione continua smettendo di fare ciò che loro piace (pattini, pallone, danza… ma come ti permetti? SEI GRASSSSAAAAA!!!!) e persino uscendo di casa il meno possibile (o non uscendo proprio più: d’estate vai in giro con le spalle scoperte e i calzoncini? Ma come osi mostrarci il tuo lardo che dondola? SEI GRASSSSAAAA!!!!). L’imperativo urlato, costantemente aggressivo e spesso violento, di somigliare alle figurine della pubblicità conduce migliaia di bambine, ragazze e donne a sviluppare disturbi alimentari e problematiche legate all’immagine corporea. Molte ne portano le cicatrici per sempre, molte ne ricavano problemi di salute mentale e fisica, molte ne muoiono – se non le uccide l’intervento di liposuzione o di resezione dello stomaco, possono sempre buttarsi dal balcone o sotto il treno. E lo fanno.

4. Nonostante tutto ciò, c’è in giro il curioso convincimento che lo svergognamento relativo al peso corporeo debba essere accettato da chi lo riceve, perché si tratterebbe dell’espressione di preoccupazione per la sua salute. Una preoccupazione falsa, disinformata, stupida e brutale che nega rispetto, dignità e diritti umani a chi la riceve. Be’, tenetevela. Ai nostri corpi ci pensiamo noi.

La vulgata “grassofoba” dice che chi viene preso a pesci in faccia dovrebbe tenere gli occhi bassi, vergognarsi, assicurare che farà del suo meglio per diventare uno stuzzicadenti e scusarsi per il suo “corpo disobbediente”. Ma è mezzo secolo che io disobbedisco alla violenza patriarcale, ai dettami sessisti, agli stereotipi misogini. Figuratevi se smetto adesso o se smetto di incoraggiare altre/i a fare altrettanto.

Maria G. Rienzo

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Cosa non si fa per le donne. Il titolo recita: “Campagna contro la denatalità: partorisci in Veneto, avrai lettino e ombrellone gratis a Bibione o Jesolo“.

L’articolo schiuma di entusiasmo e spiega che “in alta stagione non è certo facile trovare un posto in spiaggia, ma chi partorirà a San Donà o Portogruaro non avrà pensieri perché il posto è gratis”!

Poiché i reparti maternità delle due cittadine suddette rischiano di chiudere se stanno sotto la soglia dei 500 parti l’anno, l’Usl 4 se n’è uscita con questa straordinaria promozione in collaborazione con Unionmare Veneto (“un’associazione che rappresenta la corrispondente regionale per il Veneto del S.I.B. – Sindacato Italiano Balenari e componente di Confturismo”) e con il contributo di una banca.

“Nel momento della dimissione post-parto alla mamma viene consegnato, se lo vuole, un “Beach pass” che le consente di utilizzare gratuitamente un ombrellone per 15 giorni, scegliendo se utilizzarlo nell’estate corrente o nell’estate 2020. (…) Obiettivo è, da una parte, invogliare a partorire tra il basso Piave e il Lemene e allo stesso tempo garantire un’organizzazione tale che il servizio comprenda anche i benefici del sole e l’elioterapia per mamma e bambino”.

Sull’organizzazione e il resto del servizio non c’è niente – e per quanto anche una profana come me sappia che l’esposizione alla luce serve a ridurre l’ittero nei neonati, mi è pure noto che essa va usata in maniera estremamente cauta e controllata, non sbattendo la creatura in spiaggia con il beach-pass – perché ovviamente questa genialata è tutto frutto della dirigenza Usl e le madri non le ha ascoltate.

Se lo avesse fatto, invece che all’ombrellone avrebbe collegato l’offerta ospedaliera al senso di fiducia e sicurezza di cui una partoriente ha bisogno, tipo: “gli ambienti sono confortevoli, intimi, tranquilli; le ostetriche sono esperte e asseconderanno i ritmi fisiologici del tuo travaglio; non ci saranno pressioni o forzature nei tuoi confronti; potrai muoverti liberamente con l’assistenza del personale e non sarai inchiodata a un lettino; non sarai sottoposta a procedure superflue (depilazioni ecc.) dal punto di vista medico; potrai avere accanto a te durante il travaglio e il parto una persona cara – la cosa più importante per noi è il tuo benessere, da cui discendono un parto sereno e il benessere del nascituro.”

Ma figurati. Scaduta l’opzione spiaggia nel 2020 – e credetemi, l’ombrellone sarà un flop – l’Usl dovrà inventarsi qualche altra promozione ma naturalmente ancora non andrà nel verso giusto, quello del rispetto che non considera le donne incinte un mero target pubblicitario. Ecco quindi qualche suggerimento al sig. direttore Carlo Bramezza (che io conosco per interposta persona, cioè conosco persone che hanno lavorato con lui – e non mi diffondo in merito).

Per esempio, per attirare partorienti a San Donà si potrebbe offrire loro:

– 2 biglietti gratis per il ritorno nei cinema de “Il caimano del Piave” (1951, ambientato proprio a San Donà), per mamma e partner o amica/o, accoppiati a un bonus babysitter di tre ore, così da unire al beneficio culturale una piccola salutare passeggiata – terapia elioterapica mobile – o la breve visita a un bar sponsorizzato: l’Usl consiglia un succo di frutta ma chiuderà un occhio se non resistete alla tentazione di uno spritz;

– una settimana di cene tipiche a base di brodo di rane, cotechino con polenta bianca, trippa di maiale e dadini di lardo in tegame, sardèe in saór, ritagli di fegato macinato (figadéi), pinza e vin brulè: anche il latte materno deve avere un po’ di gusto, perdinci;

– ingresso gratuito a tutti gli eventi relativi alla Fiera del Rosario (1° ottobre) e eventuale posto bancarella se la madre desidera: a) vendere il surplus di regali stupidi che le hanno fatto per la nascita del bambino; b) raccogliere firme per sollecitare cambiamenti ai vertici gestionali dell’Usl 4.

Maria G. Di Rienzo

P. S. : Per Portogruaro direi di concentrare l’offerta promozionale sui vini: una bella cassa di Lison-Pramaggiore Chardonnay, diciamo almeno 12 bottiglie, dovrebbe essere l’ideale.

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La notizia l’ho letta il 21 maggio u.s. – è rimasta a ribollire in un angolo della mia mente, mentre cercavo di rendere razionale la mia rabbia e la mia angoscia, giacché è difficile non commentarla urlando. Sono stata sul punto di cancellare tutto e di mettermi a tradurre qualcosa, che ne so, una poesia motivazionale. Ma no. No perché c’è una giovane donna, nel napoletano, che sta rischiando di morire di… immagine.

Venticinquenne, laureata a pieni voti in scienze infermieristiche, in quel momento della vita in cui la preparazione per i sogni è finita e cominci a cercare di realizzarli, “aveva un solo disagio”, ci dicono i quotidiani. Il suo peso.

“Tutte le diete sperimentate non avevano prodotto risultati.” E ci credo. Come ho già dettagliato in altri articoli, le diete falliscono nell’oltre il 90% dei casi. Questo è un dato di fatto, scientifico, provato, che chissà come mai non è finito in nessuno dei cinquecento spot pubblicitari che avete ricevuto oggi sulla necessità imperativa di dimagrire – se siete donne: lo si fa per la vostra salute, perbacco.

Infatti la ragazza in questione nel dicembre scorso “decide di tentare la strada della chirurgia per dimagrire drasticamente. Si affida ad una clinica convenzionata del salernitano dove, il 3 dicembre, si sottopone ad un intervento di resezione di una parte dello stomaco per via laparascopica.”

E nessuno le dice che sta aumentando di quattro volte – altro dato scientificamente controllato – la probabilità di morire poco dopo. Meglio cadaveri che “cesse ciccione”, in ogni caso, vero?

“Sei giorni dopo la ragazza ritorna a casa per cominciare la sua nuova vita. Qualcosa, però, va storto. (la ragazza) è sempre più inappetente, mangia poco e vomita tutto ciò che riesce a ingerire.”

Adesso il suo peso è inferiore ai cinquanta chili, non si regge in piedi, è ricoverata in ospedale e sua madre sta disperatamente chiedendo aiuto: “Non sappiamo più a chi rivolgerci. Vorrei solo che qualche specialista, leggendo questa storia, potesse raccogliere il nostro appello e studiare il caso di mia figlia, che si sta spegnendo giorno dopo giorno. Non voglio accusare nessuno. Voglio solo che (nome della figlia) torni a vivere e a sorridere.”

Vita quotidiana: aprite un giornale, accendete la tv, usate i social, cercate qualcosa su internet, andate a scuola – al lavoro – a far la spesa – in ambulatorio – a trovare vostra zia… e siete inondate da immagini e parole che vi dicono come il vostro corpo di donna sia inaccettabile. Dal colore alla forma alla taglia all’odore… fate schifo, siete brutte, non siete degne di essere amate ne’ di avere sogni per il futuro: inoltre, per un po’ di deficienti (con laurea o senza) siete anche malate – persino quando le analisi mediche dicono l’esatto contrario.

Nessuno dei vostri talenti, nessuna delle vostre caratteristiche ulteriori alla vostra rispondenza al modello di corpo in voga ha un ruolo nel definire chi siete. La misura e il senso della vostra esistenza stanno nella soddisfazione dello sguardo maschile e nel numero di mutande rigonfie relative. Se c’è un posto per il vostro corpo non conforme – che il discorso sociale separa continuamente da voi presentandovelo come un “disagio” o uno “sbaglio” su cui intervenire – è quello del comico (potete raccontare barzellette alle feste), o quello dell’amica-paragone con cui confrontarsi per trovare sollievo (sono meno grassa di lei!), o quello della figura materna da cui spremere ascolto e consigli e consolazione che per quelle brave con il peso giusto sono dovuta ricompensa: per voi no, qualsiasi altra preoccupazione esprimiate, andiamo, è sempre una sciocchezza di fronte al vostro assai visibile problema principale… dimagrire, dimagrire, dimagrire!

Chiunque, solo guardandovi e financo per la primissima volta, è titolato a esprimere il suo giudizio negativo, a classificarvi in stereotipi (come se tutte le persone larghe avessero lo stesso retroscena, le stesse esperienze, le stesse motivazioni, la stessa relazione con se stesse e il proprio corpo – siete macchiette, pupazzi, non complessi esseri umani allo stesso modo di ogni altro/a), a darvi consigli – ordini – prescrizioni affinché intraprendiate azioni per cambiare chi siete, a ironizzare su di voi o a insultarvi ferocemente. E non è neppure sufficiente: per tutto ciò, il farabutto o la cretina di turno aspetta le vostre scuse.

Dovete mostrarvi mortificate, contrite, vergognose, nonché assicurare che farete il possibile per cancellare il vostro corpo (il quale non è separato da voi, è chi voi siete) e avvicinarlo il più possibile al modello (scientemente inarrivabile) che le industrie dell’estetica vi stampano sui manifesti pubblicitari. Il problema, vedete, è che in questo modo non si distruggono solo la vostra autostima e il vostro conto in banca. Come la vicenda riportata all’inizio dimostra, andando ad aggiungersi alle conseguenze dell’anoressia e ai suicidi, quest’enorme abuso può reclamare la vostra vita in ogni momento.

Perciò, per favore, ribellatevi. Quando vi monta dentro un sentimento di furia riguardo ai modi in cui siete trattate, trasformatelo in determinazione a lottare. Ci sono un mucchio di cose su cui dubitate, non è vero? Quel che la televisione dice, quel che avete visto sul web, quel che ha detto il tale o la tale… non siete sicure, perciò richiedete altri pareri, fate le vostre ricerche, costruite le vostre opinioni.

Adesso ditemi, il vostro corpo – e quindi voi stesse – merita minore attenzione del verificare se la notizia sull’ultima offerta di cellulari nasconde qualche trucco? Quel che vi dicono ossessivamente su di voi di trucchi ne contiene parecchi, compreso il comando a non esprimere la vostra rabbia poiché ciò vi renderebbe meno “femminili”, ma il vostro essere femmine è un dato di fatto, non un atteggiamento ne’ un accessorio. Non avete nessun motivo di stare zitte, poiché il farlo vi mantiene solamente impotenti e marginalizzate, vi lascia sole a maneggiare un dolore imposto per ottenere la vostra sottomissione e tutti gli stramaledetti soldi che cosmetici, vestitini striminziti di moda, diete e interventi di chirurgia invasiva spremono da voi.

Non morite di immagine, sorelle mie. Vi prego.

Maria G. Di Rienzo

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