
Benvenute/i. Questo è il crash course che vi ho promesso ieri. Che ne dite se lo intitoliamo: “E così vuoi occuparti di violenza contro le donne.”?
“So You Want to Be a Rock ‘n’ Roll Star” – “E così vuoi essere una stella del rock’n’roll” – è una canzone del gruppo statunitense “The Byrds” che risale al 1967 ed è stata rifatta numerose volte (Patti Smith, Pearl Jam, Nazareth, Tom Petty and the Heartbreakers, ecc.).
Il pezzo fu ispirato dal grande clamore che all’epoca circondava un “gruppo rock” creato a tavolino, appositamente per gli schermi televisivi: The Monkees (finiranno anche sulla tv italiana), i quali come musicisti/artisti erano pura “immagine” e zero sostanza.
Chris Hillman e Jim McGuinn dei Byrds descrissero la cosa in questo modo:
E così vuoi essere una stella del rock’n’roll
Allora ascolta ciò che ti dico ora
Basta che ti compri una chitarra elettrica
e passi un po’ di tempo a imparare a suonare
E quando avrai i capelli pettinati al modo giusto
e i pantaloni belli stretti
tutto andrà bene…
Cioè: anche se non hai niente da dire in testo e in musica, avrai le sembianze del rocker e, prosegue il pezzo, gli agenti non ti mancheranno, la compagnia a cui hai consegnato l’anima venderà le sue merci di plastica, entrerai nelle classifiche ecc. – senza neppure sapere qual è il costo dei tuoi soldi e della tua fama. Tenete a mente quest’ultima frase, è importante.
Che gliene fregava a The Byrds, si chiederà qualcuno/a, il rock non è in fondo riducibile a due chitarre, basso e batteria? (Senza entrare nel merito, che so, delle tastiere dei Genesis o del flauto dei Jethro Tull…) No, perché quelli erano gli strumenti con cui erano costruite narrative. La musica rock è stata rappresentazione e veicolo per movimenti culturali e sociali, dando vita durante gli anni a innumerevoli “sottoculture” e “controculture” – mods, hippies, punks sono solo tre esempi; inoltre, ereditando la tradizione folk della canzone di protesta, è stata per lungo tempo associata all’attivismo politico e alla rivolta giovanile contro i conformismi e le ipocrisie degli adulti. Perciò nel 1967, creare una band “artificiale” che assumeva gli aspetti esteriori di un gruppo rock, senza trarre nulla dalle radici e dalla storia di questa musica, equivaleva ad annacquarla sino a farne del mero divertimento prefabbricato, privandola delle potenzialità dirette al cambiamento sociale che aveva già dimostrato di saper sfruttare.
Allo stesso modo, creare un’associazione per combattere la violenza contro le donne (ma vale anche per un’associazione ambientalista, antirazzista e così via) non può prescindere da questi quattro pilasti: radicamento storico, conoscenza come processo continuo, coinvolgimento delle portatrici di interesse primario (le vittime di violenza), orizzonte. Significa che dovete sapere da dove venite, essere curiosi e critici delle strade che incontrate, scegliere i vostri compagni di viaggio e sapere dove volete andare.
Potete non essere femministe, ma non potete prescindere dal fatto che il femminismo ha sollevato per primo la questione della violenza di genere, l’ha affrontata e analizzata e contrastata a 360°, ha creato al proposito movimento, legislazioni e strutture, lo sta ancora facendo in tutto il mondo, e se pensate di poter saltare a piè pari tutto questo ed essere al contempo efficaci vi state sbagliando di grosso. La laurea in legge o in psicologia, il lavorare al pronto soccorso o alla stazione di polizia, l’occuparvi di cronaca e indagine per un giornale possono darvi alcuni strumenti in settori specifici, ma non fanno in alcun modo di voi degli “esperti” di violenza sulle donne. Per vedere la questione nelle sue reali dimensioni è più importante ascoltare le attiviste della rete antiviolenza e le vittime di violenza, che organizzare conferenze patrocinate dal Comune dove voi parlate della vostra tesi su Lombroso e dei miti greci. Quel che fate dev’essere teso ad avere un impatto, per quanto minimo, sulla situazione in cui avete scelto di intervenire – la gratificazione del vostro ego viene dopo, non è motivo di stigma, però neppure conditio sine qua non. Ultimo, ma assolutamente non minore, dovete avere in mente una visione condivisa; prima, molto prima, di andare a registrarvi come onlus sedetevi insieme e cercate di dare una risposta collettiva a queste domande: che aspetto avrebbe un mondo privo di violenza contro le donne e come intendete crearlo?
In sintesi, la violenza di genere è un sistema di violazioni dei diritti umani che tocca globalmente una donna su tre. Esiste in un continuum che va dalle molestie in strada al femicidio / femminicidio, passando per abusi domestici, mutilazioni genitali, aggressioni sessuali, stupro, prostituzione e di recente per le “vendette pornografiche” su internet. Ha dimensioni politiche, sociali, economiche, che condividono la stessa radice: la diseguaglianza di genere. La violenza è da essa generata e al contempo da essa alimentata. Gli stereotipi di genere incoraggiano e normalizzano la violenza e gli abusi. Perciò, dovete avere ben chiaro che lavorando contro la violenza non state chiedendo agli uomini di essere gentili con le donne, state chiedendo la piena e completa eguaglianza sociale, economica e politica fra donne e uomini.
Ha senso creare un nuovo gruppo solo se, oltre ad essere ben consapevoli di quanto sopra, il vostro lavoro intende fondarsi sulle esperienze delle vittime e sulla ricerca; intendete promuovere soluzioni pratiche e realistiche; volete essere inclusive e lavorare con persone / gruppi diversi, sapendo che vi sono donne vittime di violenza che sperimentano forme multiple di oppressione; siete in grado sfidare la tolleranza sociale che circonda la violenza di genere e di cercare di prevenire quest’ultima, non solo di proporre metodi d’intervento dopo che essa è già accaduta.
Cosa succede se queste semplici basi non sono presenti? Certo, nessuno vi impedisce di diventare una onlus e, se ci sono fra voi nomi famosi o vostro zio ha gli agganci giusti, neppure di finire in televisione la prossima volta in cui un uomo squarta una donna (caso efferato e clamoroso, perciò “coperto” dai media) o quando ci sono 6 femminicidi in una settimana (troppi casi perché i media possano evitare di occuparsene), ma non avrete niente di utile da dire… e neppure, come dicevano i Byrds, avrete sentore del costo della vostra fama.
Occupare con stereotipizzazioni, osservazioni superficiali e magari vere e proprie stupidaggini quello che potrebbe essere uno spazio di denuncia e aumentata consapevolezza, un richiamo per attiviste/i e l’inizio per altre persone di una diversa percezione sociale sui ruoli di genere, ha un costo – per le vittime di violenza che dite di voler “aiutare”. Le avete appena riaffondate nella stessa melma da cui dite di impegnarvi a farle uscire, però avete scattato un bellissimo selfie con il Ministro Pincopallo, volete mettere?
Tra l’altro, quando condite con citazioni sulla violenza i vostri siti e l’unica frase che riuscite a recuperare da una donna è un verso di canzone in cui la vittima di violenza depreca se stessa… be’, è il momento in cui dovreste capire che qualcosa non sta funzionando. Non vi state nemmeno avvicinando a capire cos’è la violenza di genere, se apertamente o sotto sotto disprezzate e biasimate le sue vittime. E se non volete fare lo sforzo di imparare, prendete una decisione difficile ma giusta e coraggiosa e tornate a occuparvi di gossip. Qua il red carpet è rosso perché è inzuppato di sangue, e se in qualsiasi modo giustificate tale sangue questo – l’attivismo antiviolenza – non è posto per voi. Maria G. Di Rienzo

La vita è piena di scelte difficili, non è vero?
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