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Posts Tagged ‘primavera araba’

L’hanno paragonata a George Orwell, Franz Kafka e Aldous Huxley per il suo primo romanzo, “La Fila” (“The Queue” nella recente traduzione inglese – ed. Melville House). Si tratta dell’egiziana Basma Abdel Aziz (nell’immagine qui sotto), 39enne, che è anche medica, chirurga, neuropsichiatra, sociologa e giornalista. Basma lavora per il Centro Nadeem che si occupa di riabilitazione delle vittime di tortura e tiene una rubrica settimanale sul quotidiano al-Shorouk.

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Il libro è nato da un’immagine che ha colpito Basma mentre camminava in centro a Il Cairo: una lunga fila di persone attendeva davanti a un ufficio governativo chiuso. Ripassando da quel punto, ore più tardi, vide le stesse persone rimaste apaticamente al loro posto – una giovane donna, un uomo anziano, una madre con il bimbo piccolo fra le braccia… l’edificio era ancora chiuso.

Quando arrivò a casa, Basma cominciò immediatamente a scrivere la sua storia sulle persone in fila e non si fermò per 11 ore. Il romanzo è ambientato in una realtà alternativa distopica che ha luogo in un’innominata città mediorientale, dopo una rivoluzione fallita. La narrazione copre 140 giorni, in cui la popolazione civile è costretta ad attendere in lunghe righe di persone per presentare la richiesta dei servizi di base (acqua, cibo, ecc.) a un’autorità dagli ombrosi contorni chiamata “Il Cancello”.

La Fila” è un’appassionante e peculiare critica dei regimi totalitari e degli impatti psicologici che essi hanno sugli individui e sulle famiglie che vivono al loro interno. L’uso che Basma fa dell’ambientazione distopica per affrontare le istanze più difficili presenti ora nelle società arabe è incredibilmente fine e geniale: eventi, personaggi e conflitti hanno inquietanti paralleli nel mondo reale e particolarmente nella “Primavera Araba”.

Questa storia fantastica mi ha dato uno spazio davvero molto ampio per dire quel che volevo dire sull’autorità totalitaria.”, ha attestato Basma in un’intervista. Le sue precedenti pubblicazioni sono state due raccolte di racconti brevi e numerosi saggi sulla tortura e sulle violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza egiziane. Alla stampa anglosassone ha detto di essere preoccupata per il crescente controllo esercitato dal governo sugli scrittori e gli attivisti egiziani: circa una dozzina di suoi amici e amiche sono in prigione per questo. Basma stessa è stata arrestata tre volte per aver preso parte a dimostrazioni di protesta. Ma la sua sensazione è che vivere nella paura è futile. “La Fila” ha fatto questo per lei: “Non ho più timore. Non smetterò di scrivere.” Maria G. Di Rienzo

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(“Mona Eltahawy Doesn’t Need to Be Rescued”, intervista a Mona Eltahawy del New York Times, aprile 2015, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

Mona Eltahawy e libro

Nel tuo nuovo libro “Fazzoletti da testa e imeni: perché il Medioriente ha bisogno di una rivoluzione sessuale” tu scrivi di quando, adolescente, decidesti di indossare l’hijab. Cosa ti spinse a farlo?

Mona Eltahawy (ME): La mia famiglia si trasferì in Arabia Saudita dalla Gran Bretagna quando io avevo 15 anni. Sono stata molestata sessualmente due volte durante il pellegrinaggio alla Mecca. La cosa mi ha fatto sentire il desiderio di nascondere il mio corpo. Feci un patto con Dio, di questo tipo: “Dicono che una brava donna musulmana dovrebbe indossare la sciarpa per la testa. Lo farò se tu mi salverai dall’impazzire.”

Ma hai smesso di indossarlo a 25 anni. Cos’è accaduto?

ME: Ero in metropolitana a Il Cairo, con il mio hijab addosso, e una donna che indossava il niqab – un velo che copre completamente il viso – sedeva di fronte a me. Iniziammo una conversazione e capii che lei voleva io vestissi allo stesso suo modo. Mi disse: “Mangeresti più volentieri una fetta di torta con il suo involucro o una che non ce l’ha?”. Io le risposi: “Sono una donna, non una fetta di torta.”

Perché per te è importante restare musulmana, invece di rigettare del tutto la fede, come ha fatto Ayaan Hirsi Ali?

ME: Io menziono spesso Khadijah, la prima moglie di Maometto. Era un’imprenditrice e ha dato lavoro a Maometto. Era più anziana di lui di 15 anni, era divorziata ed è stata lei a proporre il matrimonio a lui. Se questa è la prima persona che diventò musulmana, c’è qualcosa in questa fede a cui vale la pena aggrapparsi.

Alcune donne del mondo arabo hanno criticato il tuo lavoro, dicendo che ritrai le donne arabe come impotenti.

ME: Io non sto dicendo “Venite a salvarci”. Io credo che nessuno possa o debba venire a salvarci. Io sto mettendo in luce quali sono i nostri nemici: la misoginia e il patriarcato.

Tu hai scritto che tali istanze non sono specificatamente islamiche. Pensi che tutte le fedi abramitiche siano essenzialmente anti-femministe?

ME: Sì. Se le riduci alla loro essenza trattano del controllare le donne e la loro sessualità. Io ho vissuto a Gerusalemme per un periodo, quando facevo la reporter per Reuters, e le famiglie ebree ultra-ortodosse che ho visto mi ricordavano le famiglie saudite.

Tu sei andata in Egitto durante la Primavera Araba. Ma quando sei arrivata hai scoperto che la rivoluzione politica non includeva necessariamente la rivoluzione sessuale.

ME: Eravamo per le strade a marciare con gli uomini, fianco a fianco, ma le donne continuavano ad essere assalite durante le manifestazioni ed è diventato ovvio che gli uomini stavano tentando di spingerci fuori dallo spazio pubblico. Nulla è migliorato per le donne, nulla. E in un’era di rivoluzione questo è assolutamente inaccettabile e irragionevole.

Tu sei stata assalita mentre davi copertura giornalistica alle proteste in Piazza Tahrir. Cosa accadde?

ME: Ero in manifestazione con una mia amica attivista e siamo finite intrappolate da poliziotti in borghese. Poi la polizia antisommossa mi ha pestato, mi hanno rotto il braccio sinistro e la mano destra in due punti e mi hanno assalita sessualmente.

Quali sviluppi ha avuto la Primavera Araba per le donne?

ME: Le donne che sono state coinvolte nella rivoluzione all’esterno se la sono portata a casa. La copertura giornalista si concentra per la maggior parte sugli uomini, sulla politica. Ma io penso che la rivoluzione socio-sessuale sia più interessante e che alla fine salverà l’Egitto. Sia i militari sia gli islamisti sono autoritari, gerarchici e molto paternalistici. La chiave per il cambiamento è l’eguaglianza di genere.

Guardando allo stato della Libia e della Siria oggi, dopo la Primavera Araba, ti chiedi mai se ne è valsa la pena?

ME: No. Sovente paragono l’Egitto ad una casa in cui ogni finestra e ogni porta sono rimaste chiuse per i passati 60/65 anni. Di base, la rivoluzione ha aperto una finestra in questa casa. E tu puoi immaginare la puzza che esce dall’edificio dopo tutti quegli anni. E’ orribile, il tuo primo impulso sarebbe di chiudere la finestra, per via del fetore. Ma l’unico modo per liberarsi dell’odore è continuare ad aprire le finestre, tutte le finestre.

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(resoconto di Karin Råghall, 12.7.2012, trad. Maria G. Di Rienzo)

Le donne hanno svolto un ruolo centrale durante la primavera araba, ma subito dopo le sollevazioni non sono state in grado di reclamare il loro ovvio posto nella società. Perciò, è ora particolarmente importante che la comunità internazionale dia sostegno alle attiviste per i diritti umani delle donne. Questo è stato il messaggio su cui tutte le relatrici al seminario “La primavera araba: un contraccolpo per le donne?” si sono dette d’accordo.

Il seminario, tenutosi il 4 luglio scorso, è stato organizzato dalla Fondazione Kvinna till Kvinna, dall’agenzia svedese per lo sviluppo e la cooperazione internazionale Sida e da Amnesty International. Le relatrici erano Hana Al-Khamri, giornalista yemenita, Marwa Sharafeldin, ricercatrice ed attivista egiziana, Gunilla Carlsson, Ministra per lo Sviluppo e la Cooperazione Internazionale e Fredrik Uggla dell’Ambasciata svedese a Il Cairo. Annika Flensburg di Kvinna till Kvinna ha moderato la sessione.

Marwa Sharafeldin è stata critica verso il governo svedese perché da un lato vende armi al governo saudita e dall’altro fornisce sostegno agli attivisti per la democrazia ed implementa progetti per i diritti delle donne. Non ha senso, ha detto Marwa Sharafeldin, perché il governo saudita sta finanziando gruppi e movimenti – inclusi i Salafiti – che si oppongono alla democrazia ed ai diritti umani delle donne. I soldi del petrolio saudita, ha detto Marwa, sono il retroscena di molte sofferenze inflitte nel nome dell’Islam.

Il seminario ha discusso, tra l’altro, il ruolo della società civile durante e dopo le rivoluzioni, il tipo di sostegno necessario alla corrente fase di costruzione, il ruolo dei diritti delle donne e la relazione fra Islam e femminismo. “In primo luogo”, ha spiegato Marwa, “dobbiamo essere consapevoli che il patriarcato esiste al Nord e al Sud. Dobbiamo anche sapere che il patriarcato è vivo e se la passa bene sia nei contesti laici sia in quelli religiosi. La linea di demarcazione non è fra laicità e religione, ma fra l’equità di genere da un lato e l’oppressione, il patriarcato, un capitalismo feroce dall’altro, che stanno portando a rovina intere comunità.”

Marwa ha anche sottolineato che i gruppi islamici sono presenti in molte forme diverse: progressiste, fanatiche, violente o pacifiche, e che dobbiamo tenere in mente questo ogni volta in cui parliamo di Islam e femminismo, o della situazione attuale in Egitto. “E’ importante comprendere che la religione è parte del tessuto sociale della nostra società. E dovete ricordare che durante i primi 18 giorni della rivoluzione egiziana, nessuno di noi ha chiesto l’implementazione della sharia (legge islamica). Abbiamo chiesto pane, dignità, libertà e giustizia sociale. La ragione per cui Muhammad Mursi, il candidato della Fratellanza Musulmana è stato recentemente eletto Presidente, è che la Fratellanza ha fornito necessità di base alla popolazione, come l’acqua e il cibo, mentre il governo era totalmente assente. La sfida per il movimento femminista in Egitto è il lavorare all’interno del discorso religioso. Quando i conservatori attaccano i diritti delle donne dobbiamo essere in grado di rispondere loro nel loro stesso linguaggio.”

Il suo appello alle femministe svedesi che vogliano dar sostegno alle lotte delle femministe nel mondo arabo è stato questo: “Fate pressione sul vostro governo affinché cessi di vendere armi a paesi come l’Arabia Saudita.”

Hana Al-Khamri, dallo Yemen, si è detta d’accordo. Lo Yemen è vicino all’Arabia Saudita e si trova in una posizione vulnerabile ogni volta in cui il governo saudita si sente minacciato dalla richiesta di democrazia del popolo yemenita. “Un’Arabia Saudita militarmente forte sta paralizzando il processo democratico.”, ha spiegato Hana.

Sulla situazione in Yemen, Hana Al-Khamri ha detto che le attitudini verso la partecipazione delle donne alla politica variano grandemente, sia fra le donne stesse, sia fra i vari leader religiosi. E mentre alcuni di questi ultimi cominciano a mettere in discussione la partecipazione delle donne alle dimostrazioni pubbliche, dicendo loro di andare a casa e di badare ai bambini, altri definiscono un “dovere” delle donne l’essere parte di una rivoluzione. “Nonostante vi siano molti segni di un contraccolpo, per le donne, la loro partecipazione alle dimostrazioni rimane alta. Ultimamente hanno protestato contro la crescente separazione fra uomini e donne durante le manifestazioni con questo slogan: Senza donne non c’è primavera.

Marwa Sharafeldin ci ha ricordato di essere attente a come la religione è usata per scopi politici. I conservatori manipolano il fatto che le persone danno valore alla religione per ottenere i propri scopi politici. “Ci sono alternative”, ha concluso Marwa, “ed altri discorsi religiosi che sono più pluralisti, democratici ed egualitari.”

http://www.kvinnatillkvinna.se

http://www.sida.se

http://www.amnesty.org

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