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IFJ Gender Council Conference

Dozzine di giornaliste delegate – da Asia, Americhe, Europa e Medioriente – si sono riunite a Santander in Spagna il 25/26 maggio scorsi, accolte dalla sindaca della città Gema Igual, per la conferenza “Donne e giornalismo: la lotta per l’eguaglianza” organizzata dalla Federazione Internazionale dei/delle giornalisti/e – per la precisione, e per la disperazione di parroci rintronati e complottisti-giender, dal suo “Consiglio per il Genere”. La Federazione rappresenta più di 600.000 reporter in 146 nazioni.

Fra le donne intervenute vi sono state, tra le altre, le giornaliste di Gran Bretagna, Kuwait, Pakistan, Perù, Spagna, Russia… e Italia (grazie amiche – non ho visto nessun quotidiano del nostro paese registrare quel che è avvenuto, ma ciò non costituisce una novità ne’ per voi ne’ per me).

Un brano del documento finale:

“Incontratesi a Santander, Spagna, il 25 e 26 maggio, le delegate (e i delegati, suppongo, giacché nelle foto ci sono un paio di uomini) condannano:

* La violenza e le molestie affrontate dalle donne giornaliste in tutto il mondo. Le statistiche della Federazione mostrano che almeno una giornalista su due ha sofferto molestie sessuali, abuso psicologico, molestie online e altre forme di abuso dei diritti umani.

* Il divario di genere sui salari, che è una realtà in ogni continente e che non ha impatto solo sulla vita lavorativa delle donne, ma anche sul loro pensionamento.

* L’aumentata precarietà delle condizioni lavorative affrontate dalle donne giornaliste, in special modo quelle costrette a lavorare senza contratto, in mancanza di protezioni sociali, pensione, ferie pagate e altri benefici sociali.

* La discriminazione, inclusi i fattori politici, legali, culturali, razziali e sociali, affrontata dalle donne giornaliste nelle loro carriere e comunità, che le impoverisce.

Le delegate chiedono ai sindacati e alle associazioni dei giornalisti di costruire un movimento globale di solidarietà per sviluppare un responso collettivo alle istanze suddette, incluse mobilitazioni e campagne politiche e sui luoghi di lavoro.

* Paga eguale per eguale lavoro.

* Fine del “soffitto di vetro”.

* Basta precariato – affinché vi siano condizioni di lavoro decenti per tutte le donne.

* Gli Stati agiscano urgentemente per applicare le leggi contro la violenza di genere in tutte le sue forme e i datori di lavoro si assumano le loro responsabilità per la sicurezza delle donne giornaliste.

* Si introducano o si applichino leggi che contrastino le molestie sessuali.”

Il consesso ha creato un piano d’azione generale e segnalato azioni chiave che coprono con esattezza i passi necessari all’azione nonviolenta – la condivisione di esperienze, la creazione di reti, il riconoscimento degli alleati attuali e l’individuazione degli alleati possibili ecc. – complimenti!

Leggere nel finale che si intende agire per “sostenere un giornalismo etico con prospettiva di genere e contrastare gli stereotipi di genere, l’oggettivazione e il biasimo delle vittime” mi ha anche fatto pensare che nel mondo della stampa forse non proprio tutto è andato a rotoli. Solidarietà, rispetto e gratitudine per chiunque abbia partecipato a questo lavoro. Maria G. Di Rienzo

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Leggo oggi che una manciata di lavoratrici precarie è riuscita ad incontrare la Ministra Fornero. Disoccupate, licenziate, precarie della ricerca, della comunicazione e del sociale. Hanno dovuto occuparle la sala stampa per farcela, ma va bene lo stesso: mostrare un po’ di realtà agli insigni economisti governativi non può che esser loro di giovamento. Purtroppo, ascoltate le storie personali di queste donne, alcune giovani madri, la Ministra è rimasta nel paese delle fiabe. Ha esordito con una frase dotta ed illuminante, “ E’ un momento di crisi per tutti e tutti devono fare sacrifici”: ma a chi non ha niente cosa resta da sacrificare? Personalmente, posseggo solo me stessa, quindi l’unica scelta a mia disposizione è suicidarmi. La Ministra sarebbe così cortese da fornirmi i mezzi necessari? La corda costa, i tranquillanti pure; potrei buttarmi dal settimo piano che è il più alto nel condominio in cui vivo, ma non ho la sicurezza di crepare schiantandomi nel parcheggio. Potrei sopravvivere, magari paralizzata, ed affliggere ancora di più il nostro grande paese-azienda con la pretesa di una lussuosa carrozzella a spese dello stato.

Poi Fornero, messa di fronte all’ipotesi del reddito di cittadinanza, ha professionalmente spiegato che “L’Italia è un Paese ricco di contraddizioni, ha il sole per 9 mesi l’anno e con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro.”

Nel febbraio scorso, il presidente dell’Istat è stato “audito” alla Commissione Bilancio della Camera. Forse Fornero non era tenuta a presenziare, o in quel momento stava preparando un parfait di frutta (però senza avocado e kiwi, perché tutti devono sacrificare qualcosa) e non l’ha sentito, ma Enrico Giovannini – che nessuno può spacciare per un pericoloso bolscevico – ha detto, fra l’altro: “Quasi un italiano su quattro è a rischio povertà. La disoccupazione giovanile è la più alta in Europa dopo la Spagna, ed 80 mila posti di lavoro sono stati persi nella fascia 18-29 anni durante i primi tre mesi del 2011. L’Italia è tra i pochi paesi europei a non disporre di uno strumento specifico di lotta alla povertà, quale ad esempio il reddito di cittadinanza.

Dunque, Ministra, mi aiuti a capire: il problema sono i nove mesi di sole? In paesi europei meno soleggiati gli ammortizzatori sociali sono una misura praticabile? Il problema sono i suoi concittadini, fannulloni, mammoni e sfigati che trovandosi in miseria non mostrano un minimo di imprenditorialità? Cosa dovrebbero vendere, se le loro capacità ed il loro tempo non li volete?

Pensi solo agli 80.000 del 2011 citati dal presidente dell’Istat: sono giovani, sì, ma sono tanti e probabilmente non tutti rispondono ai criteri utili per lavorare in circonvallazione dopo il tramonto o nei festini di Arcore. Poi c’è il problema dei cinquantenni-sessantenni, se mi permette, quelli espulsi dal mercato del lavoro ai quali, però, le nuove norme non permettono di accedere alla pensione. L’opzione lap dance e bunga-bunga è ancora più lontana per loro.

Nel frattempo, fra evasione fiscale, tasse al minimo sulle rendite, fondi europei ingozzati da opere fasulle, agevolazioni e sussidi di ogni tipo, i nostrani imprenditori si strafogano di tutto il disponibile: fa bene a preoccuparsi dell’eventuale piatto di pastasciutta che potrebbe toccare a un poveraccio qualsiasi, non se lo merita, non è nato ricco, e non è nemmeno riuscito a “sposare un figlio di Berlusconi”; questo era il consiglio alle precarie dell’illustre predecessore che il suo sodale Monti non smette di ringraziare per l’enorme responsabilità dimostrata nei suoi anni di governo. Dunque, bisogna far attenzione a come si trattano i servi, perché altrimenti si montano la testa e si “adagiano” e non chiamano più il piccolo padrone “signorino”: questo è ciò che evinco dal suo discorsetto. Il problema, signora Fornero, è che l’Italia non è casa sua, e che il welfare del paese non è uno dei suoi conti bancari, e che il suddetto paese non è la sua azienda. Non le dobbiamo nulla, e per di più la stiamo pagando con le nostre tasse. Il governo italiano non deve produrre profitto, deve lavorare per il benessere dei suoi cittadini. Di tutti i suoi cittadini, non solo di quelli che le sono simpatici o che rispondono alle norme comportamentali che lei giudica degne: forse non l’ha mai sentito dire, ma ognuno di noi, come nasce, oltre ad avere sul gobbo 31.000 euro di debito pubblico, è titolare di qualcosa chiamato “diritti umani”: un tetto sopra la testa, acqua potabile, accesso all’istruzione ed alle cure sanitarie, esistenza sicura e dignitosa senza discriminazioni basate sull’etnia, il sesso, la religione, l’opinione politica, l’origine sociale o nazionale, l’orientamento sessuale… e sì, dimenticavo, CIBO. Il nostro paese ha firmato una miriade di trattati internazionali che dicono, più o meno, che quel piatto di pasta al pomodoro non è una sua gentile concessione. Per cortesia, cucini un po’ di meno, e studi un po’ di più. Maria G. Di Rienzo

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