Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘portogallo’

Nel 2015, in Portogallo, due uomini aggredirono una donna che era stata l’ex moglie del primo e aveva in passato avuto una relazione con il secondo. Mentre uno la teneva ferma, l’altro la picchiava con una mazza chiodata. La donna finì in ospedale, per fortuna non in pericolo di vita.

In questi giorni i compari hanno ricevuto la sentenza finale per il loro reato: un anno sospeso di galera – ciò significa che sono a piede libero – e una multa. I giudici del tribunale di Porto hanno rigettato le richieste del pubblico ministero di una pena più severa perché i due uomini “sono depressi” (quanto depressa sia una presa a botte con una mazza chiodata non è rilevante) e inoltre: “Si legge nella Bibbia che l’adultera dovrebbe essere punita con la morte.” Ricordando le “sentenze simboliche” per gli uomini che assassinavano le loro mogli nel 19° secolo, hanno aggiunto: “Questi riferimenti sono meramente intesi a sottolineare che la società ha sempre condannato con forza l’adulterio da parte di una donna e perciò vede la violenza di un uomo tradito e umiliato come qualcosa di comprensibile.”

Le organizzazioni femministe portoghesi, in particolare “União de Mulheres Alternativa e Resposta” (Umar – Unione delle donne per l’Alternativa e la Reazione) e “Por Todas Nos” (Per Tutte Noi) stanno preparando manifestazioni di protesta in tutta la nazione. A Lisbona la dimostrazione avrà luogo venerdì prossimo, a Porto avverrà sotto lo slogan “Lo sciovinismo maschile non è giustizia, ma crimine”. Nella propria dichiarazione pubblica Umar definisce la sentenza “rivoltante” e atta a perpetuare “l’ideologia che biasima la vittima”, inoltre attesta: “Citare la Bibbia non si accorda allo stato di diritto nel nostro paese”.

umar

Io credo che i due giudici (un uomo e una donna), pulendosi il didietro con le leggi nazionali e con tutte le convenzioni internazionali contro la violenza di genere che il Portogallo ha firmato – Istanbul per dirne una – e vittimizzando ulteriormente la donna assalita abbiano fatto delle cose importanti:

1) hanno dimostrato senz’ombra di dubbio che a regolare la bilancia delle relazioni fra i sessi sono “due pesi e due misure”;

2) hanno riconosciuto che la violenza contro le donne ha le sue radici in una dimensione sociale e hanno spensieratamente avallato entrambe;

3) hanno mostrato al mondo che si può essere “talebani” usando qualsiasi religione a disposizione.

Ora, per tanta maestria, dovrebbero essere rimossi dal loro incarico e andare a predicare per le strade o in qualsiasi sacro ostello sia disposto a ospitarli. Non abbiamo bisogno di profeti nei tribunali. Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

mara nei panni di zinga

Mara Menzies (in immagine) è una narratrice e creatrice di storie che vive a Edimburgo, in Scozia. E’ una delle più amate “cantastorie” a livello internazionale e per ogni tipo di pubblico, anche se è particolarmente devota ai bambini. Nata in Kenya, prima di emigrare con la sua famiglia a 13 anni, Mara crebbe ascoltando i racconti degli anziani, dei viaggiatori e di chiunque avesse qualcosa di interessante da condividere. Questo aspetto delle relazioni comunitarie sembrava essere assente nel suo nuovo paese. Mara si concentrò su altri tipi di arte sino a che non rimase incinta: il desiderio di collegare la figlia alla sua origine africana la spinse a scrivere una delle sue storie preferite – su un coccodrillo e una scimmia – e il libro divenne il ponte che la portò sul palcoscenico. Lo “Storytelling Centre” di Edimburgo le diede il benvenuto a braccia aperte. Da allora Mara ha girato con performance e seminari non solo l’intero Regno Unito: ha incantato e insegnato in Kenya, Singapore, Giamaica, Sri Lanka, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti.

Collaborando con danzatori, musicisti, artisti tradizionali e digitali Mara crea con i suoi racconti la possibilità di sognare, perché sa che la narrazione sta alla radice di ciò che noi siamo come esseri umani. Le storie ci commuovono, ci spingono all’azione, ci istruiscono, ci indicano visioni del mondo – il modo in cui scegliamo di vivere in esso, dice l’Artista, spesso può cambiare forma grazie a una singola, semplice, storia.

Le sue vanno dal folklore (“Come il gatto finì per vivere in casa”) alla rivisitazione di personaggi storici, come il rivoluzionario keniota Dedan Kimathi (“La storia dei sette giorni”). L’anno scorso Mara Menzies ha scelto di rappresentare una delle tante figure femminili colpevolmente ignorate dalla Storia che hanno contribuito a fare: la regina guerriera Nzinga (qui sotto c’è una sua statua).

queen nzinga statue

Nzinga, vissuta fra il 16° e il 17° secolo, guidava i regni di Ndongo e Matamba situati in quel che oggi è l’Angola: le poche notizie su di lei ci dicono solo che resistette all’invasione coloniale portoghese con tutto quel che aveva e che durante la sua permanenza al potere abolì la schiavitù – pare che prima di ascendere al trono fosse lei stessa una schiava.

Tuttavia la sua vicenda è molto più complessa e intessuta di lotte interne, di rivalità fra fratelli, di omicidi politici (lo stesso figlio della regina fu assassinato), di tradimenti subiti e di clamorose vittorie. Ho tradotto un pezzetto della performance di Mara su Nzinga da un video:

“Il figlio di Mbandi era un sempliciotto come suo padre.

Abbiamo l’opportunità di un nuovo inizio, ma lo sciocco ragazzo mi dice del suo piano di creare buone relazioni con i portoghesi.

Io parlo gentilmente, dicendogli come loro lo useranno per danneggiare l’interesse della giustizia e dell’armonia tramite l’avidità.

Lui litiga, con me! Mi dice che questo è per il più grande bene dei Ndongo.

Io lo guardo negli occhi e vedo: lui crede davvero che lavorare con i portoghesi sarà per il nostro bene.

Non capisce che non ha importanza quanto soddisfiamo questa gente, loro non ci vedranno mai come null’altro che sciocchi insignificanti.

I miei occhi bruciano.

Non posso permettere questo.

E quindi faccio a Aidi quel che mio fratello ha fatto a mio figlio.”

Dopo che Nzinga ebbe sconfitto i portoghesi per trentacinque anni, sia sul piano militare sia sul piano economico (distruggendo le loro rotte commerciali), questi ultimi si arresero e negoziarono un trattato di pace. Nzinga morì molto molto dopo, all’età di 81 anni. Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

L’immagine perfetta

(“A mais perfeita imagem” – “La più perfetta immagine”, di Ana Luísa Amaral, poeta portoghese contemporanea. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

ana luisa

Dovessi io spazzare ogni mattina

le foglie acuminate di questo arbusto

dal terreno che le alloggia,

avrei una perfetta metafora della ragione

per cui sono arrivata a non amarti.

Dovessi far pulita ogni mattina

la lastra di vetro di questa finestra e sentire

al di là del mio riflesso la trasparenza assente

del nulla, capirei che l’arbusto

non è che un piccolo inferno senza la sua fiamma decasillabica.

Dovessi io guardare ogni mattina

la ragnatela intessuta fra i suoi rami,

comprenderei anche l’imperfezione

che rode il suo stame da maggio ad agosto,

disarmando la sua geometria, il suo colore.

Dovessi persino, ora, vedere questa poesia a mo’ di conclusione,

noterei come i suoi versi aumentano, non rimati,

in un’incerta e discontinua prosodia che non è da me.

Come un vento fiacco, erode.

Imparerei anche che l’anelito

appartiene ad una tela tessuta in un altro tempo.

Il ricordo di una bellezza insistente si è posato

su qualcuno dei miei neuroni: il fuoco di una pira funebre.

La più perfetta immagine dell’arte. E dell’addio.

arbusto

Read Full Post »

(tratto  da: “African Women in Europe Victims of Human Trafficking” di Beatrice Mariotti per InDepth, 4.7.2011. Beatrice Mariotti lavora per l’ong “Solwodi” – Solidarietà con le donne in difficoltà – a Berlino. Trad. Maria G. Di Rienzo)

Mentre  i paesi europei si arrovellano per trovare una soluzione a Lampedusa, che è diventata il simbolo dell’assai disprezzata migrazione africana in Europa, poca attenzione viene data alle donne africane ed ai bimbi africani in Europa, coloro che devono confrontarsi con le nuove forme di schiavitù e colonialismo di cui fanno esperienza giorno dopo giorno nei democratici stati del “Nord” per altri versi attenti ai diritti umani.

Sebbene dati precisi non siano disponibili, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite stima che circa due milioni e mezzo di persone l’anno siano trafficate attraverso i confini in tutto il mondo. Dopo lo spaccio di droghe, il traffico di esseri umani è, assieme a quello di armi, la seconda industria mondiale del crimine (con un giro di 7/10 miliardi di dollari annui) e l’Ufficio su droghe e crimine delle NU lo dice in rapida crescita.

Eurostat stima vi fossero 90.000 donne africane migranti in Europa nel 2007, ma paesi quali l’Italia, la Francia, l’Irlanda ed il Portogallo non avevano fornito alcun dato. Nel 2009, davvero pochi paesi ne hanno forniti: l’Italia ha tuttavia riportato di avere 30.000 donne africane migranti. Il tedesco “Bundesamt fuer Statistik” ha riportato nel 2009 la presenza di mezzo milione di migranti africani (uomini e donne) in Germania. Solo a Berlino, ci sono circa 30.000 africane migranti, metà delle quali non documentate. (…)

Solwodi (acronimo di Solidarity with Women in Distress) è un’ong fondata in Kenya che da più di 25 anni contrasta il traffico di esseri umani in Kenya come in Germania, e in tutta Europa. Negli ultimi tre anni ha lavorato a Berlino principalmente con donne africane vittime del traffico. Queste donne sono l’esempio più evidente del fallimento
dei programmi bilaterali di cooperazione e delle politiche di sviluppo. Esse sono il segno concreto che qualcosa non ha funzionato nel discorso dei diritti umani.

Ad ogni modo, esse sono anche l’evidenza che la “verità” non ha bisogno di avvocati, che la verità difende se stessa e trova la propria via sottoterra come il fuoco attraverso le ceneri, sino a che irrompe e cambia i sistemi dal basso, mostrando che il potere della vita e la dignità delle persone non possono essere ristretti o soffocati.

Queste donne sono qui, in mezzo a noi, e nonostante la loro sofferenza non hanno perso speranza e potere interiore. Le loro storie sono molto simili. Hanno lasciato i loro paesi a causa della povertà. Qualcuno doveva sostenere la famiglia. E’ stato loro offerto lavoro in Europa.  Non c’era alternativa, quindi non c’era senso nel fare troppe
domande.
Sono partite, affrontando un lungo viaggio attraverso il deserto ed alcune non ce l’hanno fatta. Altre sono arrivate in Italia o in Spagna. L’unico lavoro per loro è stato la prostituzione. Parte di esse sono state inviate in Germania, parte in altri paesi del Nord per soddisfare la richiesta, come se fossero merci, facili da ottenere, da usare e da gettare via.

Questo tipo di mercato nero sta fiorendo qui nel bel mezzo del cosiddetto “mondo civilizzato”, dove le donne africane sono vittime di abusi, ignorate, marginalizzate e trattate dai nostri uffici pubblici come un fardello per le nostre società. In Germania, molte di quelle che si sono liberate dalla schiavitù moderna hanno tentato di avere un figlio da un uomo con un permesso di residenza permanente, l’unico modo per loro di restare nel paese e di non essere rimpatriate dopo essere state sfruttate e derubate di tutto, compreso il rispetto per se stesse. Le leggi sono chiare, non c’è altra maniera. (…)

Lovely (non il suo vero nome) sta ancora vivendo con un “Duldung”, una sorta di permesso temporaneo che non consente a chi lo possiede di assicurarsi lo standard minimo grazie a cui sopravvive ogni nativo tedesco: “Ho lavorato in numerosi paesi europei come prostituta. Dovevo lavorare in strada anche quando ero incinta. A Berlino ho partorito un bimbo prematuro a causa dello stress e degli anni di abusi. E’ stato difficile, molto difficile, ma io sono forte e so che ce la farò e che mio figlio avrà un futuro migliore in Germania. Un giorno mi piacerebbe lavorare per un’organizzazione come la tua, ed aiutare le altre donne ad avere una possibilità, una seconda possibilità. Dio mi ha dato il potere di andare avanti e di lottare per la mia vita.”

Brigid (non il suo vero nome) ha l’Aids a causa degli abusi che ha subito, grazie alla forte domanda di “merci” come lei: “Mi auguro vita e amore, ecco cosa spero per me stessa. C’è un mondo fatto di oscurità che tenta di prevalere, ma io so che l’amore è
più forte. L’amore, una famiglia, io sogno questo. Vedo il futuro di fronte a me ed è luminoso.” Con queste parole Brigid descrive un suo dipinto, che ha fatto al Centro di Solwodi. Il suo talento è incredibile, così come la sua forza interiore.

La nostra società vuole davvero perdere l’occasione di riapprendere la speranza, come Lovely, come Brigid, come le molte donne africane che nonostante gli enormi travagli attraversati sanno ancora danzare, cantare, ridere e ringraziare Dio per il dono della vita?

Read Full Post »

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: