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Le loro orme

(“Their Prints”, di Sally Festing, poeta, biografa, giornalista, conduttrice radiofonica inglese contemporanea – in immagine in calce. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

orchidea fantasma

LE LORO ORME

Falene, fantasmi, la mia casa ne è piena.

Abito assieme a ondate di silenzio ma le vite

ruggiscono gigantesche per tutte le mie stanze –

appese alle pareti, stipate nelle librerie, colanti

da valigie ferite legate con lo spago.

Ha piovuto la scorsa notte, e i morti sono venuti giù

con le gocce – per radunarsi ove il terreno è piatto

e battuto dal vento. La quiete immagazzina i loro sorrisi.

Io premo il dito dove le loro dita sono state, infilo

parole per farli rotolare indietro, tutti a chiacchierare e bisticciare.

sally

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majandra-rodriguez-acha

“Prendete la città di Puno, in Perù, ove abitano tribù indigene Aymara e Quechua. – spiega Majandra Rodriguez Acha (in immagine) – Usualmente gli inverni sono pesanti in quel luogo e stanno diventando sempre peggiori e anticipati a causa del cambiamento climatico. La mortalità materna è del 45% più alta della media del paese e in parte dovuta a questo freddo intenso. Sono le donne rurali impoverite e i loro bambini che soffrono di più, ma quel che si fa per loro è mandare in dono coperte ogni anno: chiaramente la loro situazione non è prioritaria per il governo.”

Per Majandra i danni provocati all’ambiente sono divenuti prioritari nel 2009, quando giungle e foreste furono invase dalle compagnie petrolifere causando lo spostamento forzato e assai violento di migliaia di persone indigene. Indignata da ciò che vedeva in televisione, andò a prendersi la prima dose di gas lacrimogeno in una manifestazione di protesta, mentre ripeteva lo slogan “La selva no se viende, la selva se difende” – “La giungla non si vende, la giungla va difesa”: aveva allora 19 anni e subito dopo fondò “TierrActiva Perù”, la propria organizzazione di attivisti.

Majandra è oggi consigliera di due gruppi internazionali che lavorano esplicitamente per contrastare il cambiamento climatico e le operazioni che lo favoriscono, “Global Greengrants’ Next Generation Climate Board” e “Women’s Environment and Development Organization”: in quest’ultimo il suo “titolo” è Giovane Femminista per la Giustizia Climatica.

Come lavora in tal campo una giovane femminista? “Ascoltando. Io sono un megafono per voci storicamente soffocate. Credo che le vere esperte delle situazioni siano le persone che le vivono. Nei miei seminari non mi porto dietro presentazioni e non tengo conferenze, mi porto dietro grandi fogli di carta bianca e matite, di modo che chi partecipa possa narrare la propria storia e lasciarne traccia.”

TierrActiva va direttamente nelle aree minacciate o devastate, decentralizza l’organizzazione delle azioni e usa per esse tutti i mezzi e i media a portata di mano: la Mobilitazione per i diritti della Madre Terra nacque dall’allestimento di una radio comunitaria, da laboratori tenuti dalle persone coinvolte a livello locale e dalla costruzione di centinaia e centinaia di enormi pupazzi che poi furono portati in manifestazione con clamoroso effetto visivo. Incontrare le persone sul loro territorio fornisce l’esatta percezione di cosa sta accadendo: chi vive nelle montagne sta affrontando le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai (riduzione della pioggia o scomparsa del suo ciclo), mentre chi vive presso o nelle foreste le vede distrutte da fuochi alimentati dalla siccità.

Majandra dice che far venire alla luce queste narrazioni è critico per parlare di cambiamento climatico: “Non si tratta di tabelle e numeri. Si tratta delle strutture di potere che sfruttano le risorse, danneggiando gli esseri viventi durante il processo.” Un’altra cosa che vede molto chiaramente è la connessione fra il degrado dell’ambiente e le donne: in Perù, dice, questo è particolarmente vero, giacché le donne sono in pratica assenti dai luoghi decisionali e nella sfera politica e tuttavia, la maggioranza delle persone che praticano agricoltura di sussistenza e subiscono i danni del cambiamento climatico sono donne.

La violenza contro la Terra, spiega Majandra, è simile alla violenza sessuale. “Il linguaggio usato è lo stesso, è quello che descrive lo stupro. I modi violenti in cui si estraggono le risorse, si saccheggiano le foreste, si inquinano i corsi d’acqua, hanno forti somiglianze con i modi in cui non si rispettano le donne. Pensano di stuprare la Madre Terra e di farla franca.” Majandra intende mettersi di mezzo. E’ quello che dovremmo fare tutte e tutti.

Maria G. Di Rienzo

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(“Sometimes When it Rains”, di Gcina Elsie Mhlophe, poeta sudafricana contemporanea. Trad. Maria G. Di Rienzo. Gcina è anche attivista, attrice, drammaturga, regista, scrittrice e cantastorie in quattro lingue: inglese, afrikaans, zulu e xhosa. Ha circa 55 anni – non so dirlo con esattezza perché i documenti non vanno d’accordo l’uno con l’altro e in essi la sua data di nascita spazia fra il 1958 e il 1960.)

gcina

A volte quando piove

sorrido fra me

e penso a quelle volte in cui da bambina

stavo seduta da sola

a riflettere sul perché la gente aveva bisogno di vestiti

A volte quando piove

penso ai tempi

in cui correvo sotto la pioggia

gridando “Nkce – nkce mlanjana

Quando crescerò?

Crescerò domani!”

A volte quando piove

penso al periodo

in cui sorvegliavo le capre

e correvo via così veloce dalla pioggia

mentre le capre sembravano godersela

A volte quando piove

penso a quelle volte

in cui dovevamo spogliarci

reggere i piccoli fagotti di uniformi

e libri

sulle nostre teste

e attraversare il fiume dopo la scuola.

A volte quando piove

ricordo i momenti

in cui pioveva a dirotto per ore

e il nostro fusto si riempiva

così non dovevamo andare a raccogliere acqua

dal fiume per un giorno o due

A volte quando piove

piove per molte ore senza interruzione

Io penso alle persone

che non hanno nessun luogo dove andare

nessuna casa che sia loro

e nessun cibo da mangiare

Solo acqua di pioggia da bere

A volte quando piove

piove per giorni senza fermarsi

Io penso alle madri

che partoriscono nei campi occupati

sotto ripari di plastica

alla mercé di freddi venti rabbiosi

A volte quando piove

penso agli “illegali” in cerca di lavoro

nelle grandi città

mentre scansano i furgoni della polizia nella pioggia

sperando che arrivi l’oscurità

così da poter trovare qualche angolo bagnato

in cui nascondersi

A volte quando piove

piove così forte che porta anche grandine

Io penso ai prigionieri a vita

in tutte le galere del mondo

e mi chiedo se ancora amano

vedere l’arcobaleno alla fine della pioggia

A volte quando piove

con i chicchi di grandine che mordono l’erba

non posso fare a meno di pensare che sembrano denti

molti denti di amici che sorridono

Allora mi auguro che chiunque altro

abbia qualcosa per cui sorridere.

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(“The Last Scene”, di Wangchuk per World Pulse, 13 gennaio 2014, trad. Maria G. Di Rienzo. La giovane Autrice, originaria del Bhutan, sta attualmente studiando alla Asian University for Women di Chittagong, in Bangladesh, per laurearsi in Scienze Ambientali. Dice che il suo sogno è “diventare una donna indipendente” e che spera di sconfiggere in se stessa “la timidezza e il silenzio”.)

bhutan rododendri

Mentre l’occhio del cielo azzurro si alzava nel suo dorato aspetto e penetrava da un varco fra i bambù secchi, i miei occhi pieni di sonno furono costretti ad aprirsi. Dovevo svegliarmi per andare a scuola. Mi gettai la borsa blu scuro sulla spalla e mi preparai alla marcia. Nel tempo che ci misi ad infilare i miei piccoli piedi nelle scarpe di gomma, le nuvole cominciarono a brontolare, oscurarono le splendore del sole, ed io sentii il vento gentile rimpiazzare l’aria stantia. Il cielo gridava forte e le sue lacrime pesanti scorrevano giù, sulla Terra.

Aprii un ombrello rosa della mia misura e uscii dalla mia casa calda. Cominciai il tragitto giornaliero verso la scuola attraverso i boschi, sul suolo fangoso, timorosa di scivolare da quella che sembrava una collina di crema di cioccolato appena spuntata dal terreno. Usai tutta l’energia che potevo trarre da una ciotola di riso, curry di patate e tè al burro per raccogliere la sfida del riuscire a camminare normalmente, con scarpette dai tacchi di fango, attraverso lunghi prati verdi. Risalii l’altura dove c’era la mia scuola, nascosta in mezzo ai boschi.

Tenendo con una mano l’ombrello e con l’altra la mia uniforme, mi affrettai per arrivare in tempo all’appello del mattino. Mentre avanzavo i miei piedi non riuscivano a muoversi in avanti, slittavano di continuo. Stava piovendo, ma il sudore gocciolava dalla mia fronte come se stessi lavorando nei campi. Una stilla di sudore entrò nella mia bocca. Sapeva di sale.

bhutan

Nonostante il cammino fosse difficoltoso, l’atmosfera era molto fresca. Rovesci di pioggia cancellavano la sete dei grandi boschi, delle sottili lame d’erba, dei cespugli nani. Tutto sembrava così verde e naturale, come se non potesse svanire mai. L’aria fresca e pulita che entrava nelle mie narici rinnovava il mio respiro, portava via la stanchezza. Avrei voluto rimanere di più a godermi la rugiada che gocciolava dalle foglie e andava a colpire i passanti, e guardare le nubi color del fumo danzare attorno a me, ma dovevo affrettarmi verso la scuola. Mi mossi ancora in avanti, cercando di evitare di ruzzolare da qualche parte scivolando.

Quando finalmente arrivai a destinazione, alzai l’ombrello e girai la testa per assaporare l’ultimo scorcio di bellezza, chiedendomi se in futuro l’atmosfera sarebbe stata la stessa. Perché la bellezza non è mai uguale, non rimane la stessa ogni volta.

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Oggi, 28 giugno, piove. Fra poco troverò una scusa – per me stessa – che comporterà l’andare giù (abito in alto): lo farò ufficialmente per buttare l’immondizia o per raccogliere qualcosa che mi è caduto dalla finestra, e ad occhi chiusi, a piedi scalzi, accennerò passi di danza nella pioggia, girerò su me stessa, aprirò le braccia al cielo. E’ molto presto, nessuno dovrebbe vedere la signora del terzo piano far queste cose folli, ma anche se la vedranno peggio o meglio per loro. Pioggia e vento sono irresistibili, per me, da quando ero una bambina.

bimbe nella pioggia

L’altro giorno, a Gilgit in Pakistan, un “commando” di cinque uomini ha fatto irruzione in una casa ed ha ucciso a fucilate tre donne, due sorelle di 15 e 16 anni e la loro madre. Sono state giustiziate dal fratellastro delle ragazze con l’aiuto dei suoi amici per restaurare l’onore familiare: un video in cui le due fanciulle danzano piene di gioia sotto la pioggia, completamente vestite e nel cortile di casa propria, stava girando sui cellulari del paese. A chi volesse solo aprir bocca per dire “cultura-tradizioni-bisogna rispettare” suggerisco di tenerla chiusa. Non è giornata. E tanto perché lo sappiate: una cultura e delle tradizioni che comportano vicende come questa io non ho il dovere di rispettarle, ma di contrastarle con tutto quel che ho, con ogni goccia di forza di cui nubi e vento mi intridono.

danza nella pioggia di dwikobiubatu

Oggi scendo a ballare nella pioggia assieme alle ragazze pakistane e alla loro mamma. E non è un funerale, è la danza della nostra lotta e della nostra rinascita, è la danza di tutto l’amore di cui siamo capaci. Maria G. Di Rienzo

“Dance in the rain” di Allison Chambers Coxsey

Danzeremo nella pioggia,

a luna nascosta dalle nuvole;

mentre il canto dell’oceano

ci darà la melodia.

nella pioggia

Ondeggeremo fra le gocce di pioggia,

piedi scalzi nella sabbia;

che i nostri cuori facciano dolce musica,

mentre danziamo mano nella mano.

Sussurreremo parole soffici,

mentre dondoliamo gentilmente,

parole che il vento capisce

mentre le soffia via.

Come se fossimo innamorate,

nella quiete della notte;

dimenticando il mondo,

sino alla luce dell’alba.

ragazze nella pioggia

Ondeggeremo fra le gocce di pioggia

in un gentile abbraccio;

mentre il tempo starà fermo,

in qualche posto distante.

Ci godremo il momento,

e il ritornello dell’oceano:

l’una nelle braccia dell’altra,

danzeremo nella pioggia.

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