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(7^ Conferenza mondiale sulle donne nello sport – l’8^ si terrà in Nuova Zelanda nel maggio 2022)

In questi giorni la stampa riporta quasi contemporaneamente l’addio al ciclismo della 25enne Maila Andreotti (venti titoli italiani su pista) e la denuncia di dieci bambine (dai 9 ai 14 anni) giocatrici di pallavolo: molestie sessuali e violenze psicologiche sono lo sfondo di ambo le notizie.

Per quel che riguarda la giovane ex ciclista gli articoli possono entrare nei dettagli – massaggiatori e allenatori guardoni, volgari, dalle mani lunghe e verbalmente violenti; delle ragazzine si sa solo che accusano l’allenatore di essere entrato di notte nelle loro stanze, per molestarle, durante un campeggio estivo.

Ho svolto un po’ di ricerche al proposito e ho scoperto che, a livello internazionale, di violenza di genere nello sport si parla da un bel pezzo, ma le parole – tutte giustissime – continuano a non tradursi in fatti concreti:

1998 – La seconda Conferenza mondiale sulle donne nello sport adotta un documento chiamato Windhoek Call for Action (“Chiamata all’azione di Windhoek”, Namibia, ove si tenevano i lavori), ove si chiede a tutti i soggetti coinvolti nelle attività sportive di assicurare “un ambiente sicuro e di sostegno per le ragazze e le donne che fanno sport a ogni livello, intraprendendo misure atte a eliminare tutte le forme di molestia e abuso, violenza e sfruttamento”;

2005 – Al Parlamento Europeo passa una risoluzione che chiede con urgenza a stati membri e federazioni sportive di “adottare misure per la prevenzione e l’eliminazione delle molestie sessuali e degli abusi nello sport”, fra cui “l’informare le atlete e gli atleti e i loro genitori dei rischi di abuso e dei mezzi legali disponibili al proposito” e “il fornire addestramento specifico agli staff delle organizzazione sportive”;

2007 – Il Comitato olimpico internazionale rilascia un comunicato in cui attesta che:

“Molestie sessuali e abusi accadono in tutti gli sport e ad ogni livello”, “Membri dell’entourage dell’atleta che sono in posizioni di potere e autorità appaiono come i principali perpetratori”, “Le ricerche dimostrano che molestie sessuali e abusi hanno un serio e negativo impatto sulla salute psicologica e fisica dell’atleta. Può dare come risultato la compromissione delle performance e condurre all’abbandono dello sport da parte dell’atleta. I dati clinici indicano come gravi conseguenze malattie psicosomatiche, ansia, depressione, abuso di sostanze, autolesionismo e suicidio”;

2016 – Esce la relazione finale dello “Studio sulla violenza di genere nello sport” condotto da apposita Commissione Europea:

La discriminazione subita dalle sportive di ogni età in ogni disciplina “è endemica”, ha spiegato una delle atlete che hanno partecipato allo studio, “a causa dello sbilanciamento nelle opportunità disponibili, nel denaro investivo, nelle attrezzature fornite, nella copertura dei media, nell’importanza posta sugli eventi, nel modo in cui gli allenatori e i dirigenti agiscono, e dei pregiudizi consci e inconsci che si ripetono ogni singolo giorno”. L’industria sportiva nel suo complesso percepisce le donne che ne fanno parte come inferiori, qualsiasi sia il loro ruolo. Devono superare se stesse e andare oltre ogni limite per essere considerate “qualificate” come i loro colleghi uomini: la società considera lo sport “intrinsecamente maschile”. (Per esempio, se cercate su internet qualcosa come “donne nello sport” per immagini, i primi risultati sono “grid girls”, majorettes, reggiseni, disegni e foto dall’alto grado di oggettivazione sessuale.)

Violenze e abusi, ribadisce lo studio europeo, sono conseguenze dirette della classificazione degradata delle donne.

Maria G. Di Rienzo

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