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the letter

Voto la missiva in immagine qui sopra come “miglior lettera di Natale del 2017”, anche se è stata scritta il 6 dicembre.

L’Autore è l’australiano Stephen Callaghan, che ha una figlia dodicenne di nome Ruby. A scuola, il giorno precedente, la ragazzina e le sue compagne sono state mandate in biblioteca “a farsi belle”, mentre i compagni di sesso maschile sono stati portati dal locale ferramenta per un “viaggio di studio”.

“Egregio signor Preside – dice la lettera – devo attirare la sua attenzione su un grave incidente accaduto ieri nella sua scuola, ove mia figlia Ruby frequenta il 6° anno.

Quando Ruby è uscita per venire a scuola ieri era il 2017, ma quando è tornata a casa nel pomeriggio veniva dal 1968.

So che è così perché Ruby mi ha informato che le “femmine” del 6° anno dovranno andare in biblioteca ogni lunedì pomeriggio a farsi i capelli e il trucco, mentre i “maschi” andranno da Bunnings (ndt. nome del negozio di ferramenta).

Lei è in grado di fare una ricerca negli edifici scolastici per vedere se c’è una lacerazione nel continuum spazio-temporale? Forse un condensatore di flusso guasto (ndt. dal film “Ritorno al futuro”) è nascosto da qualche parte nei bagni delle ragazze?

Mi aspetto che la faccenda sia corretta e che mia figlia e le altre ragazze a scuola siano restituite a questo millennio, ove le attività scolastiche non sono strettamente divise lungo linee di genere.

Distinti saluti, Stephen Callaghan”

La sarcastica presa di posizione del papà di Ruby, da lui messa online, ha raccolto una marea di messaggi di approvazione, ma ha anche rivelato che il problema sembra vasto e diffuso: un bel po’ di genitori e studenti hanno denunciato situazioni simili.

“Ruby e io vorremmo ringraziarvi per i grandiosi commenti di sostegno. – ha scritto in seguito l’uomo – A 12 anni, mia figlia sta cominciando a notare che c’è un mucchio di gente pronta a dirle cosa può o non può fare basandosi sul fatto che è di sesso femminile.

Lei vorrebbe che questo cambiasse. Anch’io.”

E io pure. Maria G. Di Rienzo

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(“As a man with no daughters, here are my views on feminism”, di Jonn Elledge per New Statesman, 11 ottobre 2017. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Quando leggo storie su molestie sessuali, la cultura dello stupro o il mansplaining (1), mi sento completamente e decisamente indifferente. C’è una ragione per questo. Io – a differenza degli uomini che dichiarano a voce alta di deplorare il sessismo perché sono padri di figlie – non ho figlie. Come uomo senza figlie, sono del tutto incapace di provare dell’empatia verso qualsiasi donna.

Non è che le donne non abbiano avuto un ruolo nella mia vita. Una delle mie maggiore influenze formative è stata mia madre, la quale non solo mi ha nutrito e vestito, ma si è spinta al punto di crescermi nel suo grembo e persino mi ha partorito. Io ho sempre apprezzato la gentilezza che lei mi ha mostrato, in larga parte perché non avrei mai desiderato passare la mia infanzia affamato e nudo, o non essere nato del tutto. Grazie, madre, per avermi sfornato. Sei stata di grande aiuto.

Oggi molti dei miei colleghi sono pure donne: molte hanno un lavoro nonostante siano donne. Non è grandioso? Io devo ancora imparare a distinguerle l’una dall’altra – penso che una di esse potrebbe essere bionda – ma la cosa importante è che le riconosco come persone con cui lavoro, alle quali inoltre capita di essere donne. Facciamo loro un bell’applauso.

Forse, la mia più grande ragione nel comprendere che alcuni esseri umani sono donne è che la mia stessa moglie lo è: allo stesso tempo essere umano e donna. Sì! Io, un uomo, sono in effetti sposato con una donna. Perciò, lo capirete, l’idea che io in qualche modo possa essere sessista è ridicola. Cosa potrebbe esserci di più femminista dell’essere sposato a una femmina vivente e respirante?

Pur essendo conscio di tutte queste donne ed essendo qualche volta abbastanza valoroso da parlare con loro, mi trovo a essere incapace di provare empatia verso le donne come classe. Non sono del tutto sicuro, infatti, che esistano sul serio. Io sono certo di esistere perché so che posso provare emozioni, come gioia e dolore e la linea della metropolitana di Piccadilly.

Ma le donne provano emozioni proprie? Come possiamo saperlo? Come può veramente saperlo, qualcuno di noi?

Sono umane, poi, le donne? E se lo sono, perché Katy Arbour è stata così stronza con me in cortile, quella volta che le ho chiesto di uscire insieme nel 1994? Perché ha fatto ridere tutti sui miei capelli?

Presto ci sarà la guerra. Milioni bruceranno. Milioni periranno di malattia e miseria. Perché una singola morte dovrebbe avere importanza, al confronto di tante?

Nel mentre non provo al momento empatia per le donne, credo ciò potrebbe cambiare se dovessi produrre della mia progenie. Questo perché mia figlia non sarebbe semplicemente una donna: sarebbe la miniatura di donna di mia proprietà, cresciuta del seme degli homunculi che giacciono in attesa nei miei lombi.

Mi aspetterei quindi che il mondo la rispettasse, in parte a causa del mio naturale impulso genitoriale a proteggerla e in parte per il mio egualmente naturale impulso a vederla in primo luogo come un’estensione di me stesso anziché come un essere umano di suo.

“Le donne meritano rispetto! – direi – Perché alcune di esse potrebbero essere mia figlia!” Questo è il modo in cui noi uomini parliamo quando vogliamo far sapere che siamo uomini buoni.

Si potrebbe arguire che i miei sentimenti per mia madre o mia moglie, o le mie amiche o colleghe o diavolo, non sono mica un sociopatico, dovrebbero significare che sono in grado di concepire le donne come persone – esseri umani che meritano rispetto, tanto quanto le persone vere come me. Al che io risponderei: “Bernie avrebbe vinto. Hillary Clinton dovrebbe tenere la bocca chiusa.”

(1) https://lunanuvola.wordpress.com/2014/07/14/mo-ti-spiego/

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Tre anni fa, dopo una campagna condotta da genitori disgustati dal contenuto sessista e stereotipato di libri quali “Attività per ragazze” e “Attività per ragazzi”, la casa editrice inglese Usborne annunciò che avrebbe smesso di pubblicare simili testi.

Il loro “Growing Up for Boys” (Crescere/La crescita per ragazzi) è del 2013 e ancora in circolazione ma ultimamente un padre, il sig. Ragnoonanan, ha chiesto pubblicamente se non ci sono cose migliori da insegnare ai propri figli maschi, a cui il libro indirizza messaggi come questo:

A cosa servono i seni? Le ragazze hanno i seni per due ragioni. Una è produrre latte per gli infanti. L’altra è far apparire la ragazza cresciuta e attraente. Virtualmente tutti i seni, al di là della taglia e della forma che finiscono per avere quando una ragazza esce dalla pubertà, possono fare entrambe le cose.

breasts

Dal messaggio dell’uomo su Twitter la protesta si è allargata sul web e soprattutto su Amazon, che il libro lo vende, ove recensori ambosessi lo hanno sepolto di stroncature.

Fen Coles, co-direttrice della Letterbox Library, una biblioteca specializzata in libri per bambini e testi per le scuole e i genitori, ha spiegato alla stampa perché lei stessa trova la faccenda problematica: “Il linguaggio usato, tenendo in mente che questo è un libro “per maschi”, suggerisce fortemente che i seni delle ragazze esistono per i ragazzi, per il loro apprezzamento, per il loro sguardo. Se vogliamo incoraggiare i nostri bambini ad avere relazioni sane gli uni con le altre e se vogliamo costruire una cultura del consenso, suggerire che parti del corpo esistono solo per il loro “uso” da parte di un’altra persona, apparentemente al di fuori del controllo da parte della persona a cui quella parte del corpo appartiene, al minimo toglie potere e al peggio è molto pericoloso. Questo è un linguaggio mal concepito, regressivo e irresponsabile, usato in ciò che è inteso come libro educativo.”

La casa editrice si è scusata, ovviamente. Metterà a posto il libro. Tanto, la sua parte di danno l’ha già fatta. Maria G. Di Rienzo

P.S. Il titolo – Insegna bene ai tuoi figli – fa riferimento a una canzone di Crosby, Stills, Nash & Young.

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(brano tratto da: “Fathers Should Teach Their Daughters to Be Heroes” di Sambridhi, attivista femminista nepalese, per World Pulse, 12 luglio 2017. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

padre e figlia sulla spiaggia

Un padre femminista è qualsiasi padre che dica a sua figlia, sin da tenera età, che lei può fare qualsiasi cosa. Un padre femminista è qualcuno che rinforza sua figlia passo dopo passo e le insegna a parlare per se stessa. Un padre femminista ama le sue figlie e riconosce l’importanza di crescerle in modo che non accettino stronzate da nessuno. Un padre femminista può non essere sempre presente per dar man forte alla figlia, ma si è assicurato che sua figlia sapesse come essere la super-eroina di se stessa. Lui non mette i figli maschi davanti alle figlie. Crede e pratica semplicemente l’eguaglianza. (…)

Abbiamo bisogno di più padri che non limitino le loro figlie, che le incoraggino ad assumere rischi e a imparare dai propri errori. I padri in tutto il mondo dovrebbero ricordare alle figlie che il loro genere non è inteso a tenerle indietro. I padri dovrebbero insegnare alle loro giovani figlie a sognare di essere differenti: non solo principesse, ma guerriere, avventuriere, viaggiatrici, intellettuali e eroine. Le figlie possono essere eroine che lottano per quel che è giusto, eroine che salvano il mondo.

Se sei il padre di una bambina, dille che credi in lei e nei suoi grandi poteri, dille che credi lei possa diventare qualsiasi cosa. Se lo fai, il mondo vedrà di certo molta più magia.

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(“One Minus One Minus One”, di June Jordan 1936-2002, poeta di origine caraibica nata a Harlem – New York. Trad. Maria G. Di Rienzo. June ha scritto 28 libri variando fra saggi, memorie, racconti, poesie e testi per bambini; il suo saggio “Report from the Bahamas”, che indaga le possibilità e le difficoltà dell’identificarsi e stringere coalizioni in base a razza, classe sociale e genere, è oggi un testo universitario per i corsi di studi di genere, antropologia e sociologia. June, bisessuale, è stata anche una straordinaria attivista femminista per i diritti civili e delle persone LGBT.)

June Jordan

UNO MENO UNO MENO UNO

Questa è la prima mappa del territorio

che devo esplorare come poesia,

ancora e ancora

Mia madre che mi assassina

per avere una vita che le appartenga

Cosa direi

(se potessi parlarne?)

Mio padre che mi cresce

affinché io sia una vita

di sua proprietà

Cosa posso dire

(in questa solitudine)

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(“Advice for Raising a Daughter”, di Roxane Gay, 23 marzo 2015. Trad. Maria G. Di Rienzo. L’Autrice risponde alla domanda di un lettore.)

padre e figlia

Ho una figlia di sei mesi che sto crescendo assieme alla mia forte e brillante moglie. Quali sono le cose meno ovvie o le più importanti che devo conoscere come padre?

Caro papà (non il mio, ovviamente),

riabbassa sempre l’assicella del water. Abbi speranze per tua figlia, ma amala e sostienila per quel che è. Insegnale ad affermare se stessa.

Se vedi qualcuno trattar male una donna per strada, non limitarti ad aggrottare la fronte andando via. Dì qualcosa. Mostra a tua figlia che lei ha il diritto di muoversi nel mondo senza essere molestata da cretini.

Tratta tua moglie nel modo in cui vorresti tua figlia fosse trattata dal partner che un giorno potrebbe scegliere. Davvero, tratta bene tua moglie: perché è forte e brillante e tu la ami e questo è quel che si fa quando si ama qualcuno – lo si tratta bene.

Partecipa più che puoi alla gestione della casa e alla cura di tua figlia, perché è anche la tua bambina e tu ti stai impegnando ad essere un genitore. Interessati a quel che interessa a tua figlia e se si tratta di qualcosa di cui non sai nulla non trattare il suo interesse come fosse misterioso o alieno, perché ciò farà solo sentire tua figlia come se tu e lei non aveste niente in comune.

Condividi i tuoi interessi con tua figlia. Potrà non diventare un’appassionata pescatrice, per esempio, ma le farà piacere sapere qualcosa del suo papà e di come costui ama passare il tempo.

In verità, sono mal equipaggiata per rispondere alla domanda. Non ho figli. Tuttavia, ho un padre. I miei fratelli sono padri. Ho molti amici che sono padri e presto attenzione a come trattano i loro bambini: i loro figli, le loro figlie, i loro piccoli che non hanno ancora deciso a che genere vogliono appartenere.

Uno dei miei fratelli chiama la figlia la sua principessa, ma non la tratta come se indossasse scarpette di vetro. L’altro mio fratello ha giurato di non alzare mai la voce con sua figlia, perché non vuole lei pensi che quel modo di parlarle da parte di un uomo sia accettabile.

Il mio secondo ricordo più caro di mio padre è la volta in cui mi aiutò a costruire un ponte sospeso in legno di balsa per un progetto scolastico. Lui è ingegnere, perciò ha preso la cosa in tutta serietà, ma lo abbiamo fatto insieme. Mi ricordo, decenni più tardi, china sul tavolo da cucina assieme a lui per guardare il nostro ponte mentre penso: “Guarda cosa mio padre mi ha aiutata a fare.”

Il ricordo più caro in assoluto che ho di mio padre riguarda la visita che mi fece una volta in collegio. Stavamo camminando attraverso il campus e lui notò: “Com’è che passeggi sempre da sola?” Io ero una messa un po’ in disparte, socialmente, perciò dissi: “Nessuno vuole passeggiare con me.”

Non era il mio momento migliore. Mio padre annuì gravemente e mi mise il braccio attorno alle spalle: “Passeggio io con te.” E lo fece. Lo fa ancora.

Non serve sapere tutto per crescere tua figlia: abbi la volontà di camminare con lei quando nessun altro vuole farlo, e lei starà bene.

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