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Posts Tagged ‘maternità responsabile’

unfpa 2018

Il 16 ottobre scorso è uscito il “Rapporto sullo stato della popolazione mondiale 2018”, a cura del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, illustrato sopra.

Per quel che riguarda i diritti riproduttivi e di salute delle donne, il potere decisionale evocato dall’immagine è ancora ristretto e irto di difficoltà. “La vera misura del progresso sono le persone in se stesse: – dice nel Rapporto la dott. Natalia Kanem – in special modo il benessere di donne e bambine, il loro godimento dei loro diritti e di piena eguaglianza, e le scelte di vita che sono libere di compiere.”

Qualche estratto, assemblato:

“Nel 1994, i governi si impegnarono a mettere le persone in grado di fare scelte informate sulla loro salute sessuale e riproduttiva riconoscendola questione di diritti umani fondamentali. 25 anni più tardi, l’universalità di tale condizione non è stata raggiunta.

Donne con necessità non soddisfatte di accesso a contraccezione moderna vanno incontro a più di quattro su cinque gravidanze indesiderate nei paesi in via di sviluppo. Ma le necessità non soddisfatte esistono in pratica ovunque, anche nei paesi a bassa fertilità.

Le donne hanno bisogno di conoscenza per esercitare i loro diritti riproduttivi e decidere se, quando e come restare incinte. Tale conoscenza dovrebbe essere impartita ai giovani prima che essi diventino sessualmente attivi. Ogni piano di studi scolastico dovrebbe comprendere educazione sessuale adeguata all’età ed esauriente su diritti, relazioni e salute sessuale e riproduttiva, con un’enfasi sull’eguaglianza di genere.

I deficit nei diritti delle donne sono strettamente legati a quelli nei diritti riproduttivi. La discriminazione di genere può precludere alle donne l’accesso ai servizi sanitari di cui hanno bisogno per fare le proprie scelte sulla contraccezione. Ove le donne sono subordinate in ambiente domestico o soggette a violenza di genere possono avere ben poco controllo sulla propria fertilità.

L’eguaglianza di genere dovrebbe essere sancita in ogni politica nazionale. Stanziamenti sensibili al genere, che selezionano le politiche per direzionarvi risorse pubbliche sulla base del loro contributo all’eguaglianza di genere, possono essere attrezzi importanti per velocizzare il progresso.

Il lavoro sulle norme sociali è pure essenziale. Sebbene le donne nel mondo siano sempre più consapevoli dei loro diritti, le attitudini che si riscontrano fra gli uomini restano le barriere principali. Le donne ovunque si fanno carico di una quota sproporzionata di lavoro di cura non pagato, il che può scoraggiarne alcune dall’avere quanti figli vogliono. Al contrario, per quelle che hanno più figli di quelli che desiderano, le richieste del lavoro domestico possono diventare un insormontabile ostacolo all’assicurarsi lavoro pagato o al partecipare alla vita comunitaria.”

Maria G. Di Rienzo

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(brano tratto da: “Stop bawling” – Obstetric violence in Hungary”, un’intervista a Pálma Fazakas – in immagine – coordinatrice dell’associazione ungherese EMMA, di Judith Langowski per European Young Feminists, 2016. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. EMMA fornisce informazioni su gravidanza e parto, partecipa a ricerche accademiche, offre seminari e gestisce una linea telefonica per le donne e i loro familiari che incontrano violenze e violazioni durante la loro permanenza in ospedale. Inoltre coopera con organizzazioni e gruppi a livello nazionale e internazionale mirando a ottenere per le donne, ovunque, un sistema ostetrico accogliente e rispettoso. Il 20 marzo scorso l’associazione ha organizzato a Budapest una manifestazione di piazza sui diritti riproduttivi, appoggiata anche da eminenti professionisti in campo medico e ginecologico: la manifestazione ha generato un vero e proprio movimento chiamato “La Rivoluzione delle Rose” e mira a suscitare consapevolezza sul fatto che, come Palma dice, “la violenza ostetrica è una forma di violenza contro le donne e primariamente una forma strutturale di violenza. Deve essere trattata per tale, di modo da divenire parte della discussione generale sulla violenza contro le donne.”)

Poche persone hanno sentito parlare di diritti “ostetrici” o “relativi al parto”. Cosa significa e perché essi sono in pericolo secondo te? Una donna in Ungheria può oggi decidere liberamente se, quando, come vuole partorire?

Pálma Fazakas (PF): I diritti riproduttivi non comprendono solo il se e quando una donna vuole avere un figlio ma anche in che condizioni dà alla luce quel figlio: dove vuole farlo e chi ella vuole accanto. I diritti universali delle partorienti hanno profonde radici nei diritti umani e includono il diritto umano alla salute, quello all’autodeterminazione e quello ad avere una vita privata. Ogni donna che partorisce ha il diritto alla salute fisica, emotiva e sociale durante il processo della nascita.

Ha il diritto di scegliere liberamente le condizioni in cui avviene la nascita e gli interventi praticati sul suo corpo (dopo aver avuto informazioni esaurienti su di esse), ha il diritto alla protezione dei suoi dati personali e, infine, a essere trattata sempre con dignità e rispetto, senza discriminazioni.

Sfortunatamente, la donna partoriente spesso deve affrontare molti ostacoli per arrivare a prendere decisioni libere e informate. Poiché non esistono informazioni o statistiche su come gli ospedali trattano le partorienti in Ungheria, le donne si devono basare sul passa-parola fra di loro per sapere come va in un determinato ospedale.

Le discriminazioni avvengono per la maggior parte durante il processo della nascita: tramite suggerimenti negativi (“non funzionerà”, “hai le anche troppo strette”), umiliazioni e commenti irrispettosi (“smetti di ululare”, “mica strillavi quando lo hai concepito”, “non è che faccia così male, via”, “comportati decentemente”), o tramite il non rispetto della privacy della donna (il lasciare la porta aperta durante il parto, l’entrare e l’uscire senza permesso).

In questa situazione, è molto importante per me sottolineare che il sistema legale non può buttare la responsabilità sulla donna, ma che essa appartiene al suo ambiente: noi, il suo ambiente, dobbiamo garantire alla donna la possibilità di esercitare i suoi diritti. Non dovrebbe essere costretta a lottare per farlo.

In che modo cooperate con gli ospedali? Là, il problema è che spesso medici e infermieri non hanno abbastanza tempo per offrire un trattamento dignitoso alle donne incinte. Come può essere cambiata questa situazione?

PF: Le priorità e le prospettive delle donne, dei professionisti e dell’amministrazione politica che organizza la sanità non coincidono. Quel che noi vogliamo è che professionisti e amministratori ascoltino e prendano nota di ciò che le donne ritengono importante. E’ sovente una questione di tempo e prospettiva l’includere i desideri delle donne che partoriscono. E queste due cose sono le più difficili da ottenere quando hai già consumato tutte le risorse. Ma abbiamo bisogno sia di tempo sia di inclusione di prospettive diverse per assicurare dignità durante il processo della nascita.

La salute va oltre l’avere una madre e un neonato vivi. Con ogni nascita una nuova vita, una madre, una nuova famiglia nascono, o la famiglia già esistente cresce, in senso fisico, emotivo e sociale. La nostra associazione crede che l’avere buona cura cominci dalla donna, la madre. Ogni cosa che aiuta la madre serve anche al neonato e alla famiglia e, infine, alla società. La madre e il bambino sono in questo senso un’entità non separabile e i loro rispettivi interessi non dovrebbero essere messi gli uni contro gli altri, ne’ durante il parto ne’ dopo. E la cosa migliore per la madre è includerla nel modo giusto, così che dia forma al processo essendone parte attiva.

Questa prospettiva è completamente differente dal modo in cui i professionisti della sanità sono stati e sono attualmente addestrati in Ungheria. Allo stesso tempo, notiamo che molti professionisti sentono come ci sia bisogno di un cambiamento. E vedono, anche, che questo cambiamento è di beneficio alla loro professione, che può portare loro maggiori soddisfazioni.

Facciamo esperienza di alcune istituzioni dove il dialogo e lo scambiarsi esperienze è possibile. Parlare apertamente, direttamente, costruttivamente: solo questo può farci muovere in avanti.

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(immagine della manifestazione del 20 marzo 2016 a Budapest)

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Il 22 settembre prossimo, ma anche prima, in nome degli elevati principi che hanno spinto la Ministra della Salute a proclamare il “Fertility Day” – in italiano veniva un po’ troppo mussoliniano – potremmo leggere questo documento delle Nazioni Unite: l’Italia è uno stato membro e firma tutto in smemorata allegria.

Analisi tematica: eliminare la discriminazione contro le donne in rapporto a salute e sicurezza. Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla discriminazione contro le donne nelle leggi e in pratica. 2016.

Dalla presentazione: “Il presente rapporto mira a chiarificare il significato di eguaglianza nelle aree di salute e sicurezza, a identificare le pratiche discriminatorie, a esporre la strumentalizzazione dei corpi delle donne in violazione della loro dignità umana e a rivelare le barriere poste a un accesso autonomo, efficace ed economicamente sostenibile da parte delle donne alle cure sanitarie. La strumentalizzazione è definita come soggezione delle naturali funzioni biologiche delle donne a un’agenda patriarcale politicizzata, che ha lo scopo di mantenere e perpetuare determinate idee di femminilità come opposta alla mascolinità o il ruolo subordinato delle donne nella società. (…) La discriminazione contro le donne nelle aree di salute e sicurezza e il negare il loro diritto al controllo dei loro corpi viola gravemente la loro dignità umana che, assieme all’eguaglianza, è riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani come il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo.”

Il punto 5 – L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute non come mera assenza di malattie o infermità, ma come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Nel presente rapporto il Gruppo di Lavoro tratta la sicurezza delle donne come aspetto integrale della loro salute. L’esposizione delle donne alla violenza di genere sia nella sfera pubblica sia nella sfera privata, incluse le situazioni di conflitto, è una componente primaria della cattiva salute fisica e mentale delle donne e della distruzione del loro benessere e costituisce una violazione dei loro diritti umani.

Il punto 7 – Le donne fronteggiano un rischio sproporzionato di essere soggette a trattamenti umilianti e degradanti nelle strutture sanitarie, in special modo durante gravidanza, parto e post parto. Inoltre, sono particolarmente vulnerabili a trattamenti degradanti in situazioni in cui sono private della libertà, come nei centri di detenzione per migranti o negli istituti per la salute mentale.

Sono soggette a trattamento umiliante all’interno del sistema sanitario a causa della loro identità di genere e del loro orientamento sessuale, talvolta espresso in nome di moralità o religione come metodo per punire ciò che è considerato “comportamento immorale”. (fine della parziale traduzione)

Dopo averlo letto, con la Ministra Lorenzin si potrebbe discutere di tantissime cose. Per esempio: parliamo dell’obiezione di coscienza all’interruzione di gravidanza? Parliamo dei fanatici religiosi ammessi nei Consultori pubblici? Parliamo del ginecologo che urla “Porca!” a una ragazza di 16 anni perché non è vergine (l’ho sentito con le mie orecchie mentre aspettavo il mio turno: sì, il vostro intuito non sbaglia, ho visto questo cafone quella volta e mai più)? Parliamo dell’infermiera che nega la contraccezione d’emergenza allo sportello del Pronto Soccorso perché “deve salvare una vita umana”? Parliamo delle molestie alle pazienti da parte di medici e infermieri? Parliamo delle cifre della violenza di genere in Italia? Eccetera.

Sarebbero conversazioni più utili di quella sulla “clessidra biologica” che campeggia in uno degli stupidissimi – e sessisti – manifesti della campagna per la fertilità. Maria G. Di Rienzo

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Noterete, al termine di questo scritto, una lista in colore diverso. Trattasi di una parte delle notizie riguardanti la violenza contro le donne apparse sulla stampa dal 22 luglio al 7 agosto 2016.

Come sempre accade quando ce ne sono “troppe” in un periodo di tempo ristretto e non si può evitare la questione essa diventa “l’emergenza femminicidio” (di cui anche il nostro governo si occuperà a tambur battente… in settembre), fioccano gli autorevoli pareri di sedicenti esperti/esperte per cui “la parità è stata raggiunta e gli uomini sono in crisi d’identità”, mentre i diversamente cerebrati ululano: a) che è colpa degli immigrati; b) che le “feminaziste” complottiste e odiatrici di uomini danno la colpa al patriarcato demonizzando il genere maschile, dal che si originano lunghi sproloqui di – c) maschi “vittime” che evidentemente vivono prigionieri, soli esemplari del proprio genere, in un gineceo di incazzate nere o di donne che li conoscono molto bene (“Mi danno tutto il giorno dello stupratore, del violento, dello stalker, del sessista, del misogino, basta!”) e di – d) femmine “sapienti” e ossequiosamente squittenti (“Sì, hai ragione, sono naziste, il femminismo è un’altra cosa…” Ma cosa le signore non lo sanno, perché non l’hanno mai frequentato neppure di striscio.)

Cominciamo con gli immigrati? Nei 19 titoli ripresi in questo pezzo figurano: fra i perpetratori 4 stranieri e 15 italiani; fra le vittime 3 straniere e 16 italiane. Calcolate le percentuali da soli e smettete di sparare inutili idiozie razziste.

Proseguiamo con la parità raggiunta e il patriarcato morto e l’eguaglianza trionfante che mandano gli uomini in crisi d’identità per cui, di conseguenza, picchiano, stuprano e uccidono: tutte cose nuovissime, non le avevano mai fatte prima quando la parità non era raggiunta, il patriarcato era in salute e l’eguaglianza assai distante, giusto? Dal ratto delle Sabine al massacro del Circeo i casi sono due: o i perpetratori non erano uomini, o la “crisi” era già in atto. Sì, entrambi i casi sono assurdi. E allora vogliamo smettere, per cortesia, di dire falsità solo perché si accordano a un’ideologia che gira attorno all’ombelico di singole persone? Le altre donne non smettono di sanguinare perché voi non state sanguinando. In Italia abbiamo parità ed eguaglianza su un po’ di carte (in primis la Costituzione, art. 3), ma il paese si situa in Europa fra quelli che hanno il tasso più basso di eguaglianza di genere (European Gender Equality Index). Il che significa firmare protocolli internazionali o varare leggi senza far seguire all’atto formale alcuna implementazione: fondi, controllo dell’applicazione, diffusione culturale.

Inoltre: in psicologia “crisi d’identità” indica il non riuscire a stabilire un’identità dell’ego durante l’adolescenza. I soggetti in crisi d’identità manifestano confusione: spesso sembrano non sapere chi sono, a che famiglia o nazione appartengono, quali sono i loro scopi, da dove vengono e dove vogliono andare. Ma i picchiatori, i violentatori e gli assassini non dicono ne’ palesano nulla di tutto ciò davanti ai poliziotti o ai giudici. Lei lo aveva lasciato, lo tradiva, gli stirava male le camicie, non voleva fare sesso con i cacciaviti, non gli aveva dato i soldi per le sigarette, era feega a disposizione e lui l’ha usata, eccetera eccetera. Cioè, queste persone attestano chiaramente: la propria posizione superiore che li legittima a ricevere attenzioni, tempo, sesso, danaro, obbedienza dalle donne; i propri scopi e la propria volontà di ottenerli con qualsiasi mezzo. Spacciarli per sofferenti in crisi non solo fa girare a paletta le mie ovaie (sarebbe un danno trascurabile), ma li giustifica e li deresponsabilizza, fertilizzando il terreno per il prossimo che voglia imitarli ed è questo che io non posso assolutamente accettare.

Da quanto dura la “crisi”, tra l’altro? Alle donne italiane è stato garantito di poter essere testimoni di atti giuridici nel 1877; nel 1919 le donne italiane sposate hanno potuto possedere beni economici separatamente dal marito, nello stesso anno si è aperto loro l’accesso ai livelli più bassi dei pubblici uffici; nel 1946 votano, nel 1963 ottengono l’accesso alla magistratura e nel 1970 ottengono il diritto al divorzio, confermato dal referendum del 1974.

Nel 1975 la legge n. 151 abolisce il dominio legale del marito attestando l’eguaglianza di genere all’interno del matrimonio (nuovo diritto di famiglia); nel 1978 la legge 194 garantisce l’interruzione volontaria di gravidanza; nel 1981 viene cancellata la legge che stabiliva pene minori e attenuanti nei casi di “delitti d’onore”; nel 1996, per legge lo stupro smette di essere classificato come “delitto contro la pubblica morale” e diventa crimine contro la persona. Del 2001 è la legge sulla violenza domestica (quella che permette di ottenere l’ordine di restrizione per la persona violenta), del 2006 è la legge contro le mutilazioni genitali femminili, del 2009 quella contro lo stalking, del dicembre 2012 quella che elimina le distinzioni residue (le principali erano state cancellate dalla già citata legge 151/1975) fra figli legittimi e figli naturali, del 2013 – n.119 – quella sul femminicidio che contiene misure contro la violenza di genere, così come del 2013 è la conversione in legge della già ratificata Convenzione di Istanbul.

Per tutti gli anni ’90 e quelli venuti dopo il 2000 il progresso dell’eguaglianza di genere in Italia si è originato principalmente dalla necessità di adempiere alle direttive dell’Unione Europea sulla discriminazione o sulla parità nel lavoro e dalla bramosia di usare i fondi messi a disposizione dall’Unione stessa. “Nel frattempo i media, e la televisione in particolare, diffondono stereotipi di genere e rappresentano le donne esclusivamente come desiderabili oggetti sessuali.” (The policy of gender equality in Italy – Direttorato generale per le politiche interne del Parlamento Europeo, 2014. Autrice: Annalisa Rosselli, Università di Tor Vergata, Roma.)

Il che dimostra come i lentissimi avanzamenti nella storia dei diritti delle donne in Italia abbiano prodotto più carta (leggi) che cultura. E tuttavia, quel che ha garantito alle donne il veder riconosciuti determinati diritti fondamentali è stato storicamente il lavoro del movimento femminista italiano. Noi femministe non passiamo il tempo a cazzeggiare sui social media per “demonizzare” gli uomini (nessuna di noi considera “gli uomini” un monolito, riconosciamo le differenze fra loro e le apprezziamo senza smettere di riconoscere come iniquo il sistema che li privilegia), passiamo il tempo a cercare di costruire un mondo diverso da questo:

Novara, 22 luglio 2016: Litiga con la moglie e l’accoltella: lei fugge in strada e muore sotto gli occhi dei passanti. (Lui è tunisino, lei italiana)

Ravenna, 29 luglio 2016: Schiaffi, pugni, calci, cinghiate e perfino un fucile: così spaventava la moglie per costringerla ad avere rapporti sessuali con lui. (Sono entrambi italiani)

Roma, 29 Luglio 2016: Calci e pugni alla compagna davanti ai figli piccoli: arrestato 56enne. (Lui è italiano, lei polacca)

Salerno, 30 luglio 2016: Donna somala massacrata di botte: è in coma. (Lui è polacco)

Faenza, 31 luglio 2016: Picchia la moglie perché aveva piegato male i vestiti. (Lui è marocchino, lei italiana)

La Spezia, 31 luglio 2016: Danneggia finestre e scooter dell’ex fidanzata dando in escandescenze e cerca di entrare in casa, arrestato. (Sono entrambi italiani)

Catania, 31 luglio 2016: Donna sgozzata in casa dell’ex di una figlia. (Sono entrambi italiani)

Enna, 2 agosto 2016: A ottant’anni violenta bimba di 10 con la complicità del papà della piccola. (Sono tutti italiani)

Lucca, 2 agosto 2016: Gravissima donna data alle fiamme dall’ex. (Morirà il giorno dopo, 76^ vittima di femminicidio dell’anno. Sono entrambi italiani)

Torre del Greco, 2 agosto 2016: La madre si rifiuta di dargli i soldi per le sigarette, lui l’aggredisce e la manda in ospedale. (Sono entrambi italiani)

Caserta, 3 agosto 2016: Donna uccisa dal convivente con dodici coltellate alla schiena. (Sono entrambi italiani)

Roma, 3 agosto 2016: Perseguita ex compagna e cerca di imporle rapporti sessuali violenti. Fermato con cacciaviti, corda e lubrificante che a suo dire doveva “utilizzare” con la donna, dichiara che non appena uscito dalla stazione di polizia tornerà sotto casa di lei. Arrestato. (Sono entrambi italiani)

Scauri, 3 agosto 2016: Tenta di uccidere la ex moglie a martellate: arrestato. Poche ore prima gli era stata notificata la misura cautelare che gli vietava di avvicinarsi alla donna. (Sono entrambi italiani)

Milano, 4 agosto 2016: Torna dalla moschea accompagnata solo da amiche, il marito la prende a bastonate. La donna ha tre figli. Suo marito le proibisce di imparare l’italiano e di lavorare. (Sono entrambi marocchini)

Napoli, 4 agosto 2016: Vede la ex con un uomo e inizia a picchiare la donna. (Sono tutti italiani)

Padova, 4 agosto 2016: Violenta per due anni la figlia della compagna, a partire da quando la ragazzina ha 13 anni. (Sono tutti italiani)

Bologna, 5 agosto 2016: Uccisa in albergo dall’uomo con cui aveva avuto un rapporto a pagamento. (Sono entrambi italiani)

Genova, 7 agosto 2016: Pensionato uccide la moglie strangolandola. L’uomo era stato denunciato per maltrattamenti in famiglia nel 2012. Poche ore prima la donna aveva chiamato i carabinieri perché il marito la picchiava, i militari lo avevano calmato ed avevano lasciato l’abitazione. (Sono entrambi italiani)

Taranto, 7 agosto 2016: Violenza sessuale sulla paziente al pronto soccorso: arrestato un operatore del 118. (Sono entrambi italiani)

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Dimenticate le streghe, vi raccontiamo le nuove femministe – Tecnologiche, pragmatiche e con un nuovo alleato: gli uomini, anche loro “imprigionati dagli stereotipi di genere”.

Così “La Stampa” del 5 marzo u.s. Ho scorso l’articolo. E’ fatto di Taylor Swift – Beyoncé – Emma Watson e poco altro (campagne ad alta visibilità ma senza i nomi di chi le ha ideate) raccolto dal web. Cioè, le autrici non ci hanno raccontato niente che non fosse relativo alle “celebrità” come se il femminismo consistesse di donne famose che dichiarano di essere “femministe”, di solito con varie precisazioni e distinguo: moderna, che non odia gli uomini, trasgressiva, che cura la propria bellezza ecc.

Sono giovani donne ironiche e superconnesse, non bruciano reggiseni e si depilano le gambe. Spesso non hanno letto Il secondo sesso di Simone de Beauvoir e schivano il lessico del femminismo teorico.”

Io sono una donna di mezza età, femminista dall’età di anni 14, sono connessa dal 1996, credo di riuscire a essere ironica e persino spiritosa di quando in quando, non ho mai bruciato reggiseni (con quello che costano!) e occasionalmente rado la parte inferiore delle mie gambe quando i peli, diventando troppo lunghi, mi causano prurito. Non sono un’eccezione. Nessuna nei circoli femministi a cui ho partecipato ha mai stigmatizzato una sola di queste mie attitudini e moltissime le condividevano.

Di Simone de Beauvoir, che è la santa fondatrice del femminismo solo per chi della materia non sa una beata fava, ho letto unicamente citazioni e estratti; non è mai stato obbligatorio leggere i suoi testi per essere una femminista e inoltre sono schifiltosa in fatto di prosa e purtroppo quella di de Beauvoir mi annoia anche quando dice cose giuste, rivelatrici e sensatissime.

In compenso, assieme alle mie sodali, leggevo e leggo molte altre autrici femministe. Dagli anni ’70 agli anni ’90 dello scorso secolo ho letto testi di Kate Millett, Germaine Greer, Carla Lonzi, Gloria Steinem, Angela Davis, bell hooks (le minuscole sono una sua scelta), Judith Butler, Gerda Lerner, Donna Haraway, Adriana Cavarero, Luisa Muraro, Rosi Braidotti, Luce Irigaray, Vandana Shiva, Robin Morgan, Evelyn Fox Keller… non ho fiato per nominarle tutte, ci vorrebbe un’enciclopedia. Con alcune sono pienamente d’accordo, da altre dissento poco o molto. Cosa sia il “femminismo teorico” ancora però lo ignoro: persino le filosofe, nella lista precedente, elaborano teorie da esperienze concrete e corporee e costruiscono pratiche in base a esse. Perciò, ignoro anche quale lessico le “nuove femministe” stiano schivando, a meno che non sia la propensione a non ascoltare nulla di quel che una donna più anziana di loro può dire.

Anche quello che “vogliono” secondo l’articolo è basato su una contrapposizione simile:

1. “Pensano (…) che per cambiare le cose si debba lottare insieme agli uomini – e molti loro coetanei sono d’accordo. (…) Per molte delle nuove femministe dei problemi degli uomini non si è parlato abbastanza, ed è ora di farlo.” (Sorry, girls, è: INSIEME CON, se non credete a me aprite un vocabolario.)

Infatti, da Mary Wollstonecraft (1759 – 1797) a Gualberta Alaide Beccari (1842 – 1906) a Anna Maria Mozzoni (1837 – 1920) non abbiamo MAI lottato con gli uomini, avuto uomini sostenitori o uomini alleati. E non abbiamo MAI prestato attenzione ai loro problemi:

Rosa Rossi, “Le parole delle donne”, 1978 Ed. Riuniti – Roma, pag. 71:

“Anche diventare “uomo”, nel senso dell’acquisizione di qualità “virili” come separate e opposte a quelle “femminili”, è infatti un progetto sempre costruito su categorie metafisiche (scisse cioè dall’empiricità dei maschi reali) (…) E’ a questo punto della riflessione che si profila il collegamento tra la condizione femminile (…) e il processo generale dei conflitti e dei progetti umani. La possibilità – per tutti – di un minimo o di un massimo di libertà (…) come può essere conquistata fuori di una progettazione comune della vita associata?”

Cettina Militello, “Donna e chiesa alle soglie del terzo millennio”, 1996, Stampa Alternativa – Roma, pagg. 26/27: “(…) occorre che le peculiarità maschili e femminili, quali che siano, si incontrino per dar vita a una riflessione di fede inedita e nuova. Una teologia inclusiva, capace di elaborare nuovi paradigmi, (…) che oltrepassi la dicotomia logos/soma (che iscrive) il maschio nella “ragione” sempre vincolando la donna nella rete di una “corporeità” che non può che essergli sottomessa. (…) Si tratta di riflettere da donne e con le donne, ma anche con ogni uomo di buona volontà, per sottoporre a vaglio e soprattutto espungere i pregiudizi residui.”

2. “Vogliono camminare per strada di notte senza essere molestate ed essere prese sul serio per quello che sono, senza dover rinunciare alla loro femminilità.”

Per quanto mi impegni, non credo di riuscire a “rinunciare” alla mia femminilità: sono femmina e non intendo cambiare sesso. A meno che con femminilità non si intenda la sovrastruttura sociale di genere che comprende principesse, concorsi di bellezza, codice di abbigliamento, pettegolezzi sulle celebrità, sono brutta sono grassa puzzo ho la vagina larga e le tette piccole non piaccio agli uomini non valgo nulla è meglio se muoio. Se qualcuna la trova soddisfacente sono meramente fatti suoi – e non femminismo, però – ma rinunciarvi NON HAI MAI EVITATO MOLESTIE E STUPRI E VIOLENZA DOMESTICA a nessuna, ne’ ha mai fatto prendere una donna “più sul serio” di un’altra. Fosse vero, saremmo entrate in massa nei luoghi decisionali grattandoci il coccige mentre camminiamo a gambe (pelose) larghe e sputando per terra il mozzicone di sigaro, ma non è successo. Non veniamo prese sul serio perché sulla nostra carta d’identità sta scritto “F” e come ci vestiamo non incide un fico secco sui millenni di odio buttati su quella “F” da ideologie, religioni, filosofie, legislazioni, tradizioni, costumi, storiografie, biografie, lezioni scolastiche, eccetera.

3. “Le nuove streghe sono anche pronte a prendersi poco sul serio o a farsi una risata su una battuta un po’ sessista, purché sia – e resti – solo una battuta.”

Oh già, non è che le battute (un po’ o tanto) sessiste fanno pena è che le femministe (vecchie) sono per antonomasia prive di senso dell’umorismo. “Alle cagne il male piace”, per esempio, è una frase divertente da morire, è solo una battuta e purché resti tale (e come si fa a saperlo? Com’è possibile controllare se chi l’ha detta/scritta non è solito pestare la sua ragazza-cagna, convinto che le se la goda a prenderle?) e soprattutto se è un uomo a dirla abbiamo il dovere di ridere come se ci fossimo sparate un bidone di elio su per il naso. Inoltre, ridendo obbedienti normalizziamo quotidianamente la degradazione del nostro genere: è bene prendersi poco sul serio, perché tanto – come abbiamo visto da paragrafo precedente – abbiamo difficoltà a essere prese sul serio da altri. Mi pare che la ricetta trabocchi di perfezione, ma non di femminismo: visto che non posso essere presa sul serio perché le donne sono tutte xyz (leggi “sterco”) e io sono una donna, dimostrerò che sono diversa dalle altre xyz che non ridono quando dicono loro xyz e l’uomo che ha appena detto xyz per questo mi stimerà e mi prenderà sul serio. Proprio. Non funziona, non ha mai funzionato e non funzionerà mai perché avvalora e non discute i pregiudizi e gli stereotipi su cui la “battuta” è costruita. Ridicolizzare le donne è qualcosa in cui la nostra società è già impegnata con tonnellate di commentatori, giornalisti, opinionisti, programmi televisivi, film, pubblicità ecc. 24 ore su 24, non c’è bisogno che le donne stesse diano una mano. Come diceva l’attivista femminista Florynce Kennedy: “Piscia sugli alti papaveri, non sulle altre donne”.

4. “All’approccio teorico e militante delle loro precorritrici preferiscono un’attitudine pragmatica, che guarda alla vita di tutti i giorni più che ai massimi sistemi.”

Difatti, dagli anni ’60 a oggi le precorritrici – che a meno di passaggio a miglior vita, vorrei ricordare, stanno ancora correndo – si sono fatte pere su pere di teoria e militanza e il quotidiano non sapevano che fosse. E’ per questo che, solo per produrre gli esempi più eclatanti, nel 1970 hanno ottenuto la legge sul divorzio, nel 1975 quella che istituisce i consultori familiari e la riforma della legge di famiglia (rimozione del crimine di adulterio, rimozione della discriminazione che colpiva i bambini nati fuori dal vincolo coniugale, maschio/femmina considerati eguali all’interno del matrimonio), nel 1978 quella sull’interruzione volontaria di gravidanza. Sono cose, egregie autrici di un pezzo a mio parere inutile e superficiale, che con la vita di tutti i giorni, la vostra, la mia, le vite delle innominate “nuove femministe”, quelle delle italiane del futuro, hanno molto, molto, molto a che fare. Sono conquiste che hanno comportato lavoro, fatica, persino sangue: Giorgiana Masi, nata nel 1958, fu uccisa nel 1977 a Roma prima di poter compiere 19 anni, mentre partecipava a una manifestazione femminista a sostegno della legalizzazione dell’aborto. Il suo assassino non è mai stato trovato.

Infine. “(…) nonostante la definizione apparentemente univoca del dizionario, secondo cui il femminismo è la «convinzione che uomini e donne debbano avere pari diritti e opportunità», non esiste – e non è mai esistito – un solo modo di essere femministe.”

Certamente. Sin dall’inizio, checché sembriate pensarne voi che avete scoperto il “femminismo intersezionale” grazie a Emma Watson (massimo rispetto, ma la teoria-pratica è in giro da dieci anni prima che lei aprisse bocca), abbiamo avuto separatiste – il sistema si può solo abbattere e riformiste – entriamoci e cambiamo dall’interno e utilitariste – diversi approcci a seconda dei diversi casi, e le persone LGBT hanno avuto sempre sin dall’inizio l’attenzione del movimento femminista, se non altro perché moltissime lesbiche ne hanno fatto / ne fanno parte. Così come l’intersezione dei vari strati dell’oppressione (razza, classe, abilità corporea, età) era qualcosa di cui discutevamo quando io ero un’adolescente, quarant’anni fa.

Adesso, rileggete la vostra affermazione (che suona, mi dispiace, come un pararsi il didietro dal dissenso) sulla “definizione apparentemente univoca” del femminismo e provate a riscriverla:

(…) nonostante la definizione apparentemente univoca del dizionario, secondo cui il razzismo è una “concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze” non esiste – e non è mai esistito – un solo modo di essere razzisti.”

Oppure:

(…) nonostante la definizione apparentemente univoca del dizionario, secondo cui il comunismo è una “dottrina politica, economica e sociale fondata sulla proprietà non individuale ma comune dei beni esistenti e dei mezzi di produzione” non esiste – e non è mai esistito – un solo modo di essere comunisti.”

Il presupposto per cui esisterebbero razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze costituisce la pietra miliare del razzismo. Senza tale presupposto non di razzismo si tratta, ma di qualcosa d’altro – e badate che l’alterità non sta comportando giudizi di merito.

Il presupposto per cui il comunismo è fondato sulla proprietà non individuale ma comune dei beni esistenti e dei mezzi di produzione è parimenti la sua pietra miliare. Senza tale presupposto non di comunismo di tratta, ma di qualcosa d’altro (come sopra per l’alterità).

Se non si è convinte che uomini e donne debbano avere pari diritti e opportunità, idea che è la pietra miliare del femminismo, non si sta facendo femminismo – femminismo è fare, non appiccicarsi un’etichetta in fronte – ma qualcosa d’altro. E per quanto resti valido che il discorso sull’alterità non sta implicando giudizi di merito, quando il fare altro mira a demolire, cancellare, travestire, banalizzare, annacquare il femminismo io ho tutto il diritto (e il dovere) di incazzarmi. Maria G. Di Rienzo

E di restare strega, perché mi va.

E di restare strega, perché mi va.

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Il direttore del quotidiano cattolico “Avvenire”, Marco Tarquinio, così commenta la “nascita surrogata” in casa Vendola: “Il triste mercato dell’umano cresce e ha ingressi di destra e di sinistra. Si smetta di chiamarli diritti.”, si rammarica del “linguaggio politicamente corretto usato in particolar modo dai notiziari del servizio pubblico radiotelevisivo. Un fenomeno impressionante di camuffamento della dura realtà della cosificazione di una madre senza nome, senza volto e ridotta a pura esecutrice di un contratto padronale” e specifica che “tutte le madri surrogate ‘acquistate’ da coppie eterosessuali od omosessuali sono povere e senza potere”.

Magari “oggettivazione” o “oggettificazione” andavano meglio di cosificazione, ma lasciamolo decidere all’Accademia della Crusca, il punto è un altro.

In tutto il mondo gruppi diversi e svariate chiese usano interpretazioni religiose per creare argomentazioni contrarie ai diritti umani, in special modo delle donne. La chiesa cattolica, egregio sig. Tarquinio, non solo non fa eccezione ma da tre anni conduce una lotta al “gender” (un criterio di analisi per le relazioni umane) completamente basata sul nulla, folle quanto violenta.

Non ho da eccepire alla frase “tutte le madri surrogate ‘acquistate’ da coppie eterosessuali od omosessuali sono povere e senza potere”, ma lei si è mai chiesto perché lo sono? Vediamo.

La povertà e la mancanza di potere possono essere viste come semplicemente accidentali: queste donne sono – per caso sfortunato – nate nel posto sbagliato, nella famiglia sbagliata e nell’epoca sbagliata. Ci fanno pena, ma cosa abbiamo noi miseri mortali da opporre al fato?

La povertà e la mancanza di potere possono essere viste come disegno divino: il misterioso e perfetto creatore dell’universo ha deciso così, vuoi per ricompensare degnamente la sofferenza di queste donne dopo la loro morte, vuoi per condurle all’illuminazione tramite triboli e travagli, vuoi perché hanno mangiato una mela proibita all’alba dell’umanità e la devono pagare per sempre. Anche qui, i documentari sulle loro disgrazie ci fanno piangere, ma ci consoliamo con la certezza che dio ne sa di sicuro più di noi… e poi cambiamo canale per vedere un po’ di tette-culi-cosce o la partita.

La povertà e la mancanza di potere possono essere viste come colpa: è probabile che queste donne miserabili non si siano impegnate abbastanza, non abbiano “lavorato duro” come avrebbero dovuto fare, abbiano compiuto scelte sbagliate, ecc. Adesso cosa vogliono, che la collettività si faccia carico del loro mantenimento? Dovremmo dar loro i NOSTRI soldi? Ma sapete quanto costa oggi andare a sciare a Courmayeur come autentici villani rifatti (io lo ignoro, ma potete chiedere a Matteo Renzi)?

Com’è ovvio, sig. Tarquinio, lei e io siamo consapevoli che di altro si tratta. Le donne sono i poveri del mondo (circa 80%), sono gli analfabeti del mondo (circa 70%) e sono le principali vittime di violenza ovunque perché sono donne. Cioè, sono stimate inferiori, incomplete, intrinsecamente incapaci e persino malvagie sulla base del loro sesso: costruire una mistica su un dato biologico e farla passare per “natura” o per “volontà di dio” è quanto la sua chiesa e altre hanno fatto per secoli e continuano a fare. In poche parole, il “genere” lo avete creato (anche) voi, perché è IMPOSSIBILE determinare in base al sesso di nascita le capacità, le attitudini e le inclinazioni di un essere umano. Quindi, attribuire a lui o lei dei “ruoli” predeterminati non è naturale, è prescrizione della comunità, precetto religioso e costume sociale.

Sinteticamente, le donne povere e senza potere di cui si acquistano gli uteri come se fossero macchinari sono tali grazie allo stigma posto sul loro genere e devono restare povere e senza potere per mantenere in essere una struttura di potere piramidale. Sulla vetta di quest’ultima banchettano una manciata di uomini – in maggioranza bianchi – che ricavano profitto dal loro sfruttamento lavorativo, emotivo, familiare, sessuale, ma ai livelli intermedi anche il maschio più derelitto può ricavare senso di legittimazione e scampoli di dominio credendo di essere superiore alle donne: infatti, quando queste ultime si ribellano in qualche modo alla faccenda il maschio stressato, disoccupato, in preda a raptus, depresso ecc. ecc. non ha altra scelta che “raddrizzarle” a botte o scannarle in via definitiva.

Non so se quel suo “si smetta di chiamarli diritti” nasconda un’insofferenza al discorso dei diritti umani in sé, ma ora che le ho detto perché in maggioranza le donne sono povere e senza potere le dirò come le si mantiene tali: negando loro il godimento dei loro legittimi diritti umani, quelli che la Dichiarazione di Vienna definisce “universali, indivisibili, interdipendenti e interconnessi”, in nome della cultura, della religione e della tradizione.

CEDAW, Protocollo di Maputo e Convenzione di Belem do Para obbligano infatti gli Stati firmatari a eliminare costumi e pratiche basati sull’idea dell’inferiorità o della superiorità di un sesso rispetto all’altro, riconoscendo che i ruoli stereotipati imposti a donne e uomini legittimano o esasperano la violenza contro le donne – che è sessuale, domestica, politica, economica… che le rende meri corpi esistenti per la soddisfazione degli uomini, in ogni senso. E che devo dirle, sig. Tarquinio, i governi firmano e i firmatari si fanno ritrarre con la penna in mano e i sorrisi smaglianti, ma spesso poi non applicano quel che hanno sottoscritto: principalmente per non disturbare le chiese presenti sul territorio nazionale, beninteso quelle che hanno potere, soldi, influenza sull’opinione pubblica ed è purtroppo il caso della chiesa sua.

In Salvador, per soddisfare la chiesa cattolica, le leggi che impediscono l’interruzione di gravidanza sono così medievali che le donne vanno in galera per gli aborti spontanei. In Paraguay, per soddisfare la chiesa cattolica, una bambina di 11 anni, rimasta incinta dopo uno stupro, è stata costretta a partorire contro la sua volontà. Nelle Filippine, per soddisfare la chiesa cattolica, l’aborto è illegale in ogni caso.

Astinenza: chiaramente non efficace al 100%

Astinenza: chiaramente non efficace al 100%

E dove la chiesa cattolica fomenta la convinzione che le persone omosessuali siano “sbagliate”, “confuse”, “malate” e così via, accadono cose spiacevoli come la morte di Paola Barraza (Comayaguela, Honduras – 24 gennaio 2016), attivista transgender per i diritti umani. In precedenza, nell’agosto 2015, Paola era già stata attaccata in prossimità della sede dell’ong in cui lavorava (Asociación LGTB Arcoíris): raggiunta da numerosi colpi di arma da fuoco era rimasta gravemente ferita ma era sopravvissuta. Il 24 gennaio scorso gli assassini hanno bussato direttamente alla porta di casa sua e quando ha aperto le hanno sparato tre volte in testa e due al petto. Nella settimana successiva ancora nessun investigatore si stava occupando del caso.

Paola Barraza è morta perché voleva quel che era già suo e le veniva negato: diritti umani. Innumerevoli donne, ragazze e bambine muoiono, sono vendute e comprate, stuprate e battute e vivono esistenze infernali per la stessa ragione: sono viste come meno-che-umane e i loro diritti sono subordinati ai loro supposti imprescindibili “ruoli” nella famiglia e nella società – guarda caso, sono tutti ruoli di servizio agli uomini.

Allora, sig. Tarquinio, se degli uomini pensano sia loro “diritto” comprare l’utero di una donna la colpa non è del “politicamente corretto”, ma sta un po’ più a monte. Per esempio, qualcuno che con questa colpa ha molto a che fare si affaccia a volte da un balcone, la domenica, per benedire urbi et orbi. Maria G. Di Rienzo

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Gli argomenti che i neoliberisti usano per difendere la maternità surrogata sono in pratica esattamente gli stessi che usano per difendere il commercio sessuale. E’ tutto sulla “scelta” o la “libertà di agire”, o è “in che modo una donna potrebbe guadagnare così tanti soldi facendo qualcosa d’altro” oppure “alle donne piace”, tutti gli stessi ragionamenti.

Tenendo a mente questo parallelismo, possiamo vedere che la legalizzazione del commercio sessuale nei paesi in cui l’hanno sperimentata come la Germania, l’Olanda e il Nevada negli Usa, tutto quel che ha fatto è stato incoraggiare i mercati illegali che strisciano furtivamente dietro di esso.

Lo stesso accadrà con la maternità surrogata – non c’è possibilità di cercare una regolamentazione, dobbiamo cercare la sua abolizione.” Julie Bindel durante una conferenza femminista, 16 febbraio 2016.

julie bindel

Julie Bindel, nata nel 1962, è una femminista e scrittrice inglese, co-fondatrice del gruppo di assistenza legale “Giustizia per le Donne”.

Alla gente benestante nel nostro paese non è permesso prelevare organi dai corpi della gente povera ovunque. Sebbene la mancanza di donatori di organi sia un problema riconosciuto, c’è diffuso consenso sul fatto che lo sfruttamento di estreme diseguaglianze economiche non è la soluzione.

A meno che non si parli di maternità surrogata internazionale. (…) Le difficoltà sono presentate come interamente appartenenti alla prospettiva di chi vuole più facile accesso a uteri affittabili. Che le madri surrogate siano anch’esse persone, non proprietà di un mercato instabile, è un dato che va facilmente perso. Tuttavia, non dovremmo perderlo. C’è qualcosa di orribilmente distopico nella crescente accettazione della maternità surrogata transnazionale: comporta un’industria che piazza donne di colore povere in residenze monitorate e le tratta come terra da vasi per la piantagione e la crescita di bambini destinati a clienti più ricchi, di solito bianchi.

Questo è l’esempio più letterale delle donne trattate come uteri ambulanti, pure sembra sia cattiva educazione farlo notare.” Glosswitch, brano tratto da “Paid surrogacy makes disadvantaged women into walking wombs – an unacceptable solution to infertility”, 26 febbraio 2016, The New Statesman.

glosswitch

Glosswitch è lo pseudonimo di un’attivista femminista inglese, madre di due figli, che lavora nell’editoria.

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Tra il 25 e il 31 dicembre 2015 sono morte di parto, in Italia, cinque donne (alcune alla prima gravidanza, alcune con già altri figli). Le indagini sulle cause dei decessi sono per la maggior parte ancora in corso. Onestamente, mi ero trattenuta dallo scriverne sino a oggi nonostante i giornali italiani sembrassero fare a gara per convincermi del contrario; non sapendo un beato nulla delle vicende i professionisti dell’informazione, pur di non ammetterlo, si sono ingegnati a essere assai “disinformanti”. Voluta o meno, la direzione indicata dai testi era chiarissima: dare la colpa alle donne morte. In due articoli ora scomparsi, forse per sopraggiunto pudore, si suggerisce che le partorienti siano decedute perché “troppo vecchie” per fare figli – mentre la loro età va dai 23 ai 39 anni, oppure perché “obese” – e in Italia ormai si definiscono tali tutte le donne adulte che pesano più di 40 chili (bagnate). E possiamo ipotizzare con ragionevole approssimazione che fossero le età andate dai 18 ai 22 anni e tutte le taglie fossero state inferiori alla 38, le donne sarebbero comunque colpevoli di essere “troppo giovani” e “sottopeso”. Noi non andiamo mai veramente bene, sapete.

Il picco è comunque raggiunto in un pezzo odierno che tratta della donna scomparsa a Brescia il 31 dicembre u.s.: Giovanna Lazzari, 30 anni, già mamma di due bambini, morta assieme al feto di otto mesi. Incipit: Il batterio dello Streptococco, sarebbe all’origine “della catena di eventi che hanno portato alla morte della bambina e della sua mamma” a Brescia.

Proprio così, uno Streptococco maiuscolo e mortale con inutile virgola dopo di sé. Ma gli streptococchi – ne esistono diversi, infatti, e non tutti sono patogeni – SONO BATTERI. Il batterio del batterio cos’è, un’evoluzione della bioingegneria, una forma superlativa di infezione, un esercizio poetico del tipo “un batterio è un batterio è un batterio”?

Riportando fra virgolette le parole del direttore generale della struttura ospedaliera in cui Giovanna è morta, l’articolo reitera: Abbiamo approfondito ciò che è accaduto ed è emerso che tutto quello che doveva essere fatto è stato fatto. La paziente è stata gestita nel miglior modo possibile. Era affetta da una forma batterica, un’infezione da Streptococco, che ha scatenato gli eventi che hanno portato alla morte di entrambe. Certamente questo è un batterio che viene contratto normalmente nella vita di tutti giorni, purtroppo per una donna incinta e quindi nelle condizioni della nostra paziente si è rivelato davvero devastante, ma è certamente un’infezione che è stata contratta prima dell’ingresso in ospedale.

Ripeto, vogliate o meno omaggiare della maiuscola il sig. streptococco (io mi rifiuto) vorremmo sapere di quale streptococco si trattava. C’è quello della faringite, quello della meningite, quello della polmonite, quello dell’erisipela, quello di alcuni tipi di necrosi dei tessuti e persino quello necessario a produrre l’Emmenthal. Le uniche cose chiare in questa manfrina sono: 1) chi ha redatto il pezzo non sa cos’è uno streptocco; 2) l’ospedale non ha colpa alcuna, responsabilità zero, fa sempre tutto nel migliore modi e come poteva sapere che la signora si era portata uno streptococco da casa, eh?

Ma se le analisi non le fa un ospedale da 3.700 parti l’anno chi deve farle, io? Maria G. Di Rienzo

dipinto di katie m. berggren

Riposa in pace con la tua creatura, Giovanna.

Eri amata e lo sei ancora.

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Com’è noto alla maggior parte delle persone che mi leggono, nutro purtroppo profonda idiosincrasia per gli italiani che massacrano la loro propria lingua. E’ una tendenza in aumento – abbiamo nel paese un’alta incidenza di analfabetismo di ritorno – e vieppiù mi infastidisce quando è espressa da individui che usano la lingua italiana come strumento nelle loro professioni (giornalisti, insegnanti) o da individui che pretendono di avere la verità in tasca e di doverla non condividere ma imporre a insulti e urla isteriche.

E’, quest’ultimo, il caso dell’illuminato “guaritore” che ultimamente ha indirizzato una misogina “lettera aperta” alle donne (la riporterò via via NON CORRETTA), da lui ritenute responsabili per qualsiasi problema di salute dei figli che mettono al mondo.

Naturalmente trattasi di una goccia dell’oceano di immondizia in cui i media, mainstream e social, annegano le donne 24 ore al giorno e potrei ignorarla a tutto vantaggio della mia serenità e del mio tempo. Non lo faccio per due motivi: 1) chi è incinta o chi ha bambini malati non merita ne’ di essere offesa, ne’ di essere messa in pericolo da “prescrizioni” e “pratiche” tirate fuori come conigli dal cappello dal primo squinternato che passa; 2) trattasi di documento emblematico del massacro linguistico di cui ho detto e spiega in se stesso la ragione principale della mia idiosincrasia: parafrasando Nanni Moretti chi scrive male pensa male e vive male – e persino fa vivere peggio gli altri.

Prima parte della tesi del guaritore: Le malattie non esistono, però io che sono un povero ignorante (falsa umiltà) posso curarle tutte, solo con la mia terapia si resta vivi e in salute.

LETTERA APERTA DI SALVATORE

A tutte le donne che non si dovrebbero sposare, perché rovinano i loro figli, dico questo, il mio cuore è spezzato per quante email arrivano perché io possa curare e guarire bambini di pochi mesi o pochi anni, per esempio una bambina che nasce con la sindrome di Johanson–Blizzard.

Un’altra bambina che è nata con insufficenza renale e da 5 anni fa dialisi, bambini che nascono con la leucemia, bambini che nascono con la sclerosi, epilessia, con la sla e tante tante altre malattie.

Io mi chiedo, durante i miei 45 anni di attività d’informazione che le malattie non esistono e che esiste solo l’alterazione dello stato di salute che assieme a tutte le altre sporcizie interne crea quello che i medici catalogano come “malattie” e ne hanno catalogate più di 5300, ora se io sono in grado di curare ogniuna di queste malattie, se me lo permettessero, significa che io sono Gesù Cristo tornato sulla terra, ma io non lo sono, sono un semplice ignorante, non conosco neanche il corpo umano. Mi chiedo ancora dal momento in cui tutti questi anni tutti coloro che erano ammalati perché alimentati in modo innaturale, anche se si professano vegetariani o vegani, tutte grande cazzate perché sono tutti ammalati, questa gente solo con la mia terapia può ritrovare la salute e la vita.”

E’ difficile trovare il filo del discorso, vi capisco. Il dato principale è mettere in un unico calderone malattie genetiche ereditarie, malattie congenite, tumori ecc. che hanno origini diverse e necessitano di cure diverse e persino di diversi tipi di prevenzione, indossare il costumino di Mago Zurlì e dire: con un colpo di bacchetta magica (la mia terapia) tutto svanirà. Questo è palesemente falso e assai pericoloso. Inoltre, cancella con un megalomane colpo di spugna secoli di ricerca scientifica.

Scusate se vi annoio un attimo con un riassunto utile alla comprensione delle dimensioni di ciò di cui parliamo. Io non mi definisco una semplice ignorante, ma non ho studiato medicina e presumo che anche molti dei lettori non l’abbiamo fatto. Perciò ecco quello che ho derivato dai miei studi – formali sino al diploma di terza superiore, informali da quando so leggere (cioè da prima di andare a scuola e per un totale di anni 51, con cui batto i 45 di Salvatore…).

Lo sviluppo delle teorie evoluzionistiche ha creato la genetica. Darwin e Wallace avevano descritto tramite le loro ricerche come le specie evolvessero in nuove forme (1859, “L’origine della specie”) ma non conoscevano esattamente il ruolo giocato dai geni in tale fenomeno. Più o meno nello stesso periodo un monaco austriaco, Gregor Mendel, descrisse l’unità dell’ereditarietà come una particella che non cambia ed è trasmessa alla generazione successiva e il suo lavoro sta alla base della comprensione dei princìpi della genetica ancora oggi. Haeckel, sempre nella stessa epoca, predisse correttamente che il materiale ereditario si situava nel nucleo e Miescher dimostrò che tale materiale era un acido nucleico. Gli acidi nucleici sono macromolecole che conservano e trasportano l’informazione genetica.

I geni umani si trovano all’interno di ognuno dei nostri 46 cromosomi e determinano le nostre caratteristiche fisiche, la nostra crescita e il funzionamento di tutto il nostro organismo. Anomalie genetiche presenti già alla nascita causano disabilità fisiche e mentali o persino il decesso. Possono essere causate da fattori genetici, fattori ambientali o una combinazione di entrambi.

Ciascuno di noi riceve metà del patrimonio genetico dalla madre e metà dal padre: abbiamo il 50% di probabilità di ereditare una malattia genetica (ereditarietà dominante) se un genitore, malato o portatore sano, ci trasmette il gene difettoso. Alcune forme di nanismo e di malattie del tessuto connettivo sono trasmesse in questo modo.

Altre malattie sono ereditate se entrambi i genitori ne sono portatori sani e trasmettono al figlio il gene anomalo, come nel caso della fibrosi cistica: in questo caso (ereditarietà recessiva) abbiamo il 25% di probabilità che il figlio sviluppi la malattia. Fanno parte di questo gruppo anche i disturbi congeniti a carico del metabolismo (l’insieme delle reazioni chimiche che avvengono nell’organismo).

Altre malattie ancora sono legate al cromosoma X, con la percentuale del 50% di trasmissione, ove la madre è portatrice sana di un gene anomalo, le sue figlie possono a loro volta diventarne portatrici sane e i figli sviluppare la malattia, come per l’emofilia.

Abbiamo poi le anomalie cromosomiche, di solito causate da un errore che si verifica durante lo sviluppo dello spermatozoo o dell’ovulo e si traduce in un numero insufficiente o troppo alto di cromosomi, oppure cromosomi danneggiati o in posizione errata, come per la sindrome di Down (il cromosoma 21 ha una copia in più o c’è del materiale in più proveniente da tale cromosoma).

Alcune malattie congenite sono causate dalla combinazione di fattori genetici e fattori ambientali (teratogeni): si ereditano geni che predispongono alla tal patologia ma non la si contrae a meno di essere esposti a deteminate sostanze: farmaci, alcool, agenti infettivi (per esempio malattie sessualmente trasmissibili), sostanze chimiche, eccetera. Prendiamo una donna incinta che per lavoro maneggia solventi organici – sostanze chimiche che ne sciolgono altre come diluenti, sgrassatori, sverniciatori – o pesticidi: l’ambiente in cui si trova, oltre a essere ovviamente rischioso per lei, aumenta il rischio di malattie congenite per il feto.

Tramite ecografia, analisi del sangue e amniocentesi si possono diagnosticare alcune malattie congenite prima del parto: sia quelle strutturali (malformazioni cardiache e dell’apparato urinario, spina bifida) sia quelle cromosomiche (sindrome di Down).

Fine dell’esposizione. Come i mangiarini naturali del Mago Salvatore – nomen omen – possano intervenire sull’ereditarietà genetica (ricordate? Una particella che non cambia ed è trasmessa alla generazione successiva) non è dato sapere. Ma torniamo al suo commovente appello alle donne che, dopotutto, sta facendo con il cuore in mano e i polsini insanguinati:

Seconda parte della tesi del guaritore: E’ colpa vostra, cagne ingorde e schifose che siete sempre in calore.

Adesso dico questo, se la natura non fa salti e non crea bimbi mostruosi, non l’ha mai fatto, se ciò avviene secondo voi di chi è la colpa? Di Dio? Della Natura? O di quelle porche che mangiano come scrofe e distruggono il sistema immunitario dei loro figli e dopo la loro nascita li alimentano con il plasmon e con le farine decimozero di quella multinazionale che ha massacrato tutti i bambini, rendendoli stitici e ammalati, lo chiamano mulino celestino rosa pallido.

Ora come in altri video ho sempre detto a queste madri, volete fottere? Andate nei bordelli!

O prendete per strada chi volete e ve lo portate a casa!

Ma non mettete al mondo creature rovinate per tutta la vita, quelli che Gesù Cristo disse: “lasciate che i bambini vengano a me”

Guai a coloro che osano far del male ai bambini, pagheranno il fio delle loro colpe!

Se non siete capaci di leggere il mio video come si inizia la depurazione del corpo fisico e psichico e inoltre spiego come alimentarsi durante la gestazione e dopo la nascita del bambino, cosa bisogna dargli per alimentarsi e non prendere mai nessuna malattia, quello che è accaduto duranti gli anni che io informo le persone nessuna di queste madri ha avuto mai un bambino menomato o malato.

Quindi quando avete il desiderio di fottere fate una bella doccia di acqua fredda e il desiderio vi passerà subito ed eviterete di distruggere una vita umana, che poi la colpa la darete sempre agli altri.”

Cominciamo con il nostro moderno appetito da luride maiale, perché in passato non sono MAI nati bambini malformati eccetera. Quindi, chissà cosa aveva mangiato la mamma-scrofa di Woody Guthrie (1912-1967) diagnosticato come affetto dalla malattia – o “corea” – di Huntington nel 1952. Trattasi di malattia genetica neurodegenerativa che affligge la coordinazione dei muscoli e la capacità cognitiva, sicuramente causata da pomodori verdi fritti in quantità industriali (madre) e tonnellate di plasmon (figlio).

Ma prima ancora, cosa mangiava sua altezza scrofa mamma di re Carlo II di Spagna? E quanta farina “decimozero” gli avrà buttato giù per la gola?

carlo secondo re di spagna

Come si può osservare da tutti i ritratti, sua maestà era affetto da prognatismo e cioè la sua mandibola sporgeva rispetto all’osso mascellare. Soffrivano di prognatismo la maggior parte dei membri della famiglia reale asburgica, tanto che la condizione è definita spesso ancor oggi “mento asburgico”. Il prognatismo occorre quando si ripetono matrimoni tra consanguinei: i difetti genetici inespressi nei nostri cromosomi, tramite la consaguineità si rinforzano e si manifestano.

Il che è stato il caso anche per i difetti genetici del faraone Tut (frequenti matrimoni fra fratelli e sorelle), che camminava con il bastone com’è visibile dall’immagine che viene dalla sua tomba.

tut

Chi ha esaminato la mummia di Tut ha trovato le prove della curvatura della spina dorsale e della malformazione dei piedi. In aggiunta il poveretto si beccò la malaria e morì a un’età stimata fra i 17 e i 19 anni. Cosa mangiasse la sua porca madre potremmo andare a ricercalo, ma come avete già capito sarebbe una pura e assai idiota perdita di tempo.

Infine: Salvatore implora gentilmente le scrofe di non sposarsi “perché rovinano i loro figli” e suggerisce, in un epoca e in un paese in cui sono accessibili pillole contraccettive e preservativi, che tali figli scaturiscano dal “desiderio di fottere” delle scrofe, per cui è meglio che le suddette vadano nei bordelli (a fare le prostitute?), si accoppino con il primo sconosciuto che passa per strada o si facciano una doccia fredda per calmare i bollori.

Mago Zurlì, non ci siamo. Sembra quasi che una donna possa concepire solo all’interno di un regolare matrimonio. Ho capito, come lei dichiara, che non conosce il corpo umano, ma dovrebbe almeno sapere che al concepimento è necessario solo l’incontro di un ovulo e uno spermatozoo in condizioni favorevoli, non un certificato del Comune ne’ la benedizione di un prete qualsiasi. Dovrebbe anche sapere che la misoginia (l’odio per le donne) non ha mai curato una beata mazza ed è di assoluto detrimento per la salute femminile. Perciò, per favore, smetta di vomitarcela addosso. Maria G. Di Rienzo

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Maria Fernanda

Maria Fernanda Pineda Calero ha 16 anni, è già all’università dove studia ingegneria civile, un campo che ha scelto perché, oltre a piacerle, è specificatamente dominato dagli uomini e Maria vuole fare a pezzi tutti gli stereotipi sulle donne “incapaci” che incontra. Ama il calcio, ama ballare e ama immensamente i libri della scrittrice femminista Marcela Lagarde. Si definisce femminista lei stessa e in futuro spera di diventare, oltre che ingegnera, un’attivista sempre più efficace.

Sì, perché Maria è anche la Coordinatrice di “Sono nata per volare”, un gruppo rivolto alle ragazze organizzato dalla “Asociación de Mujeres Constructoras de Condega” (“Associazione delle Donne Costruttrici di Condega” – che è la città del Nicaragua dove Maria Fernanda è nata e vive).

Maria si è unita al gruppo quando aveva 12 anni e nelle sue stesse parole “portava addosso il peso di una cultura dove il machismo è molto presente”; non rispettata dal patrigno, non ascoltata dalla madre che la subissava di proibizioni perché femmina (fra cui il divieto di giocare a pallone) e bullizzata a scuola, aveva bisogno di sentirsi dire da altre donne che aveva valore e che per lei c’era posto.

In “Sono nata per volare”, Maria e altre ragazze hanno affrontato argomenti inerenti la salute sessuale, il genere e il femminismo, cose – racconta sempre Maria – “di cui nessuno parlava”. Dopo aver appreso che le donne hanno diritti umani, Maria dice di aver imparato a riconoscere la discriminazione di genere nella sua vita quotidiana e ha cominciato a vedersi in modo differente. Il gruppo le ha dato la fiducia in se stessa necessaria ad affermarsi, in casa e a scuola e ovunque: “Adesso possono dirmi quel che vogliono di me, ma io so che non è la verità. Io sono ciò che sono, non permetto a insulti e prese in giro di metterlo in discussione. Voglio che la gente sappia questo: l’essere donna non mi rende in alcun modo inferiore. Io ho la stessa identica capacità degli uomini di fare qualsiasi cosa.”

Attualmente, “Sono nata per volare” comprende 84 ragazze provenienti sia da zone urbane sia da zone rurali del Nicaragua. La sua azione si sta però dirigendo in modo più intenso alle zone rurali perché è là che le ragazze restano incinte a 13/14 anni (il 27% delle adolescenti nicaraguensi affronta una gravidanza). La conoscenza che il gruppo offre a queste fanciulle, dice Maria, è cruciale per il loro futuro.

Prendete me. Adesso, avere un fidanzato non è una mia priorità. Appoggiarmi a qualcuno neppure. Qualche volta mi chiedo quanti figli avrei adesso se non avessi partecipato ai seminari quando avevo 12 anni.”

Maria G. Di Rienzo

girl flying

P.S. Be’, ma naturalmente il femminismo è qualcosa di vecchiotto e puzzolente maneggiato da signore di una certa età benestanti e bianche, no? Peccato che solo su questo miserabile blog ci siano circa 1.000 storie giovani e anziane, di colore e povere o appartenenti alla classe lavoratice: tutte storie femministe, come quella di Maria Fernanda.

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