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Posts Tagged ‘martin luther king jr.’

(“My Image is Not for Sale” – “La mia immagine non è in vendita”, di Taté Walker, trad. Maria G. Di Rienzo)

Sono una moderna wynian (1) Lakota.
Niente accento.
Niente pitture.
Niente piume.
Non assomiglio a nessun indiano che abbiate visto.
Perché non sono una mascotte. O un archetipo da blockbuster.
Qualcuno vestito come un tassidermista gotico
sta tentando di vendermi la mia stessa cultura.
“I tuoi valori e le tue credenze sono in vendita!”, proclama con la faccia rossa.
“E così la tua terra. La comprerò io per te (se andrai a vedere il mio film).”

(1) sacra datrice di vita = donna

Parlo unicamente per me stessa. La mia prospettiva come donna indigena sta spesso alla periferia di ciò che è popolare credere, perché sono un’indiana di oggi e urbanizzata, sono estremamente orientata al progressismo e sono del tutto capace di cambiare idea quando ce n’è bisogno: stranamente, questo è frustrante per le altre persone.
Vivo con mio marito e mia figlia a Manitou Springs, una piccola città turistica in cui le persone bianche sono il 95%. Il punto è: se cresci circondata da differenze troverai la differenza normale, scontata e persino valorizzata; cresci in una bolla dove tutti hanno uguale aspetto e si comportano allo stesso modo e la differenza mette una lettera scarlatta sul tuo petto. Quale genitore vorrebbe quest’ultima situazione per i propri figli?
Qui, non ci sono bambini di colore nella classe di mia figlia, e in apparenza la classe ha deciso venerdì scorso che “tutti hanno la pelle bianca”: Mimi mi ha detto questo scoprendo la deliziosa pelle color oliva del suo braccio mentre tornavamo a casa da scuola. Non so se il messaggio “siamo tutti la stessa cosa” provenisse dall’insegnante, ma so che hanno guardato un film su Martin Luther King e parlato della segregazione razziale come concetto astratto: “La gente bianca voleva che i bambini bianchi andassero in una scuola, e che i bambini neri andassero in una scuola diversa.”, questo è ciò che mia figlia ha imparato ed è stata in grado di dirmi.

mimi

Avrei potuto facilmente lasciar perdere. Potevo dirmi: “Almeno stanno insegnando qualcosa di Martin Luther King.” Ma, nella mia umile opinione di una che paga le tasse, credo che le scuole dovrebbero insegnare Martin Luther King e diritti civili ogni giorno: quando un giorno o due l’anno sono messi da parte per Martin Luther King o i Nativi Americani, tu cominci a riconoscere ogni altro giorno come una celebrazione del Privilegio Bianco (“Posso parlare la lingua che voglio, vestirmi come mi pare, andare alla scuola che preferisco, trovare lavoro più facilmente, fare più soldi, difendermi, camminare lungo un vicolo scuro con un cappuccio addosso e vivere per poterlo raccontare, bussare alle porte per chiedere aiuto senza che mi si spari addosso, ecc.)
Credo ci siano alcuni soggetti da non gettare come fardelli sulle menti giovani, ma non credo nell’indorare la pillola per rendere un concetto più facile da assimilare. “No.”, ho detto a Mimi, “Il dott. King ha fatto molto di più per il mondo. In alcuni posti i bianchi uccidevano i neri solo perché erano neri. La gente bianca impiccava quella nera agli alberi, feriva donne nere e bambini neri, e non era mai punita per questo. Martin Luther King ha contribuito a fermare questo, insegnandoci che le persone non devono vivere avendo paura l’una dell’altra.” Abbiamo parlato di suo zio, che è nero, e dei suoi cuginetti, che sono neri/nativi, e del fatto che senza persone come Martin Luther King la sua famiglia vivrebbe nella paura, e sarebbe odiata, a causa del colore della pelle. E di come i nativi americani – come lei e me e il suo papà – sarebbero perseguitati e trattati ingiustamente, e di come il messaggio di amore e equità e giustizia e resistenza del dott. King abbia aiutato gente come noi, gente che appare o agisce in modo differente.
Ora, la mia bimba ha cinque anni. Io ho cominciato ad afferrare l’enormità dell’eredità di Martin Luther King al college, per cui sono abbastanza sicura che a breve non marcerà o protesterà contro qualcosa che non siano i prodotti della mia cucina. Ma non è una stupida. Ed è conscia del mondo e nota le ingiustizie attorno a lei. L’altro giorno, nella biblioteca pubblica di Manitou Springs, si è chiesta ad alta voce: “La gente in carrozzella come arriva ai libri?”, dopo essere inciampata e quasi caduta dalla stretta scala della sezione per bambini. L’edificio è abbastanza vecchio da esibire l’etichetta “storico” e non ha accessibilità per le persone disabili. (da un più ampio testo di Taté Walker, 4 aprile 2014, trad. Maria G. Di Rienzo)

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Martin Luther King jr. disse “Ho un sogno.” (28.8.1963), non disse: “Ho una lista di fatti e cifre incontrovertibili.” (anche se sicuramente la aveva). Poiché era un attivista e leader molto intelligente, sapeva bene che fatti e cifre non sarebbero bastati. Che le privazioni fisiche, le fatiche, le sofferenze, l’impegno, trovano giustificazione ed alimento nelle emozioni e nella passione molto più facilmente che nei ragionamenti logici. “Dobbiamo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.” La lotta per arrivare al “nostro giusto posto”, implica il dott. King, è non solo legittima: ha una qualità morale elevata che ci lega insieme. Martin Luther King jr. era uno “sciamano” impeccabile, come gli studiosi di linguistica definiscono chi sa trasformare lo spazio qualitativo culturale annodando o spezzando connessioni con grande abilità e proponendo nuove metafore credibili, che rendono comprensibili e persino tollerabili situazioni altrimenti difficili o disperate. Non per niente, nella “Lettera dalla prigione di Birmingham” il dott. King paragonò gli attivisti per i diritti civili ai martiri del cristianesimo; il posto che costoro occupano nello spazio qualitativo è simbolicamente alto, perciò l’uditorio ha, sempre a livello simbolico, poco spazio e deve riorientare la propria percezione. In breve lo sciamano offre, a livello linguistico, cure simboliche a mali sociali. I suoi farmaci possono essere efficaci o velenosi (la parola “farmaco” contiene in se stessa questa ambiguità), ma per fortuna il sogno del dott. King era bello, al punto che un’intera nazione riuscì a sognarlo con lui, e in tutto il mondo gliene siamo grati.

Ci sono però anche gli incubi. E toccano le stesse corde emotive. E coinvolgono le persone allo stesso modo. Invariabilmente, di fronte ad uno scenario di crisi, le nuove interpretazioni della realtà sono proposte dagli sciamani sotto forma di metafora. Durante la crisi i linguaggi impiegati sono i più basilari, i più “terra/terra”, e le metafore chiave su cui si reggono le culture sono ampiamente evocate ed invocate. Durante la crisi che portò alla II guerra mondiale – e che fu anche una crisi di senso, epistemologica – Hitler usò per lo più uno schema “religioso” e lo volse a fini politici (il salvatore della nazione, dio è con noi, ecc.). I suoi oppositori in Gran Bretagna usarono dapprima metafore orientative basate sulle opposizioni luce/buio o alto/basso; Roosevelt usò le analogie, ad esempio il blocco navale presentato come “quarantena”, qualcosa che isola dalla malattia, dal male.

In Italia, la metafora che la maggioranza delle persone adulte usa come filtro perpetuo è la guerra (o genericamente il combattimento), con tutto un grappolo di concetti legati al militarismo ed alle armi: “La vita è una guerra”, “In guerra e in amore tutto è lecito”, “Abbiamo perso una battaglia ma non la guerra”, “L’esercito dei volontari” (e, l’ho letto con questi stanchi occhi, addirittura “L’esercito dei pacifisti”!), “La battaglia elettorale”, “La conquista dell’amata/del seggio/del posto”, “La breccia aperta” in questo o quello, e poi strategie, tattiche, armi segrete, armi nascoste… per arrivare ai “cittadini con l’elmetto” di recente conio.

La metafora “guerra” implica una struttura in cui mentire, tacere delle informazioni, ingannare gli altri sono semplicemente le modalità della guerra stessa, il cui scopo è vincere. In guerra, ingannare il nemico segnalandogli una falsa posizione delle nostre truppe non è una bugia, e nemmeno una violazione delle regole: è solo uno dei modi in cui si agisce per vincere. La maggior parte della vita degli italiani si svolge attorno a questa metafora. Una conversazione diventa subito un combattimento. Un enorme ammontare di tempo viene speso in conflitti verbali, spesso su argomenti di cui ai “contendenti” non importa poi granché, perché la metafora del combattimento implica che uno dei due debba vincere. Lo stigma che la nostra cultura assegna al perdente, inoltre, è terribile: i termini con cui usualmente si definisce la sconfitta in uno scontro verbale implicano quasi tutti l’umiliazione sessuale del perdente (“trombato”, “fottuto”, ecc.).

Ho cercato di tenere questa premessa al minimo e di certo non vi ho detto abbastanza su cosa una metafora è, su quanti tipi di metafore ci sono e su come agiscono, ma spero di avere almeno reso l’idea. Il motivo per cui l’ho fatto è che questa parte di analisi manca del tutto nell’ambito della politica italiana e, nel suo piccolo, tale mancanza contribuisce a far sì che da oltre vent’anni si ripetano gli stessi errori con quella che comincia a sembrarmi un’ostinazione diabolica (e masochista).

Lo schema seguente indica uno dei modi peggiori sul piano etico per costruire un nuovo soggetto politico, ma la sua efficacia in termini di diffusione e di aggregazione del consenso non ne viene inficiata; come vi ho già detto, le medicine degli sciamani possono essere mortali: in senso ideale e generico per la democrazia, i diritti umani, l’economia, la pace, ecc. e in senso banalmente pratico per gli esseri umani che schiattano in vari modi durante il processo di cambiamento o a cose fatte.

Fase 1. Stante una situazione di crisi le persone sentono vacillare la propria capacità di creare senso, significato, o perdono del tutto la fiducia di poter leggere la realtà: gli elementi nuovi che la crisi introduce generano insicurezza e paura. Non sappiamo perché sta accadendo quel che accade, non sappiamo chi biasimare per la nostra sofferenza.

Fase 2. L’opportunista di turno, quale primo passo per la propria ascesa, crea il nemico. Bossi usa i meridionali prima e gli immigrati poi ma il bersaglio è “la politica di Roma”; Berlusconi usa i politici di professione/comunisti creando una contrapposizione di comodo fra “la politica romana vecchia” e “il nuovo imprenditore di successo”, Grillo e Casaleggio usano i politici in blocco e ovviamente pensano a “marciare su Roma”. Il gioco, stante la distanza di origine storica fra gli italiani e lo stato che dovrebbe rappresentarli, è facilissimo. Adesso sappiamo di chi è la colpa, lo sciamano ce l’ha detto, ma era un pezzo che me la sentivo, che lo sapevo…

Fase 3. Il primo motivatore per stare insieme su questa premessa è ovviamente l’odio. Segue quindi un periodo di clamorosi attacchi e scandalose rivelazioni e minacce sesquipedali dirette ai nemici. I dossier prepagati, le campagne giornalistiche diffamatorie, le macrospie negli uffici (Berlusconi trovava “cimici” grosse come cammelli…), i trecentomila bergamaschi secessionisti con il colpo in canna e i vaffanculo orgiastici collettivi hanno però la sola funzione di legare insieme i “militanti” (altra metafora di guerra) nella loro nuova alterità: sino a ieri hanno votato o sostenuto o apprezzato chi oggi maledicono, ma ora possono sottrarsi come desiderano alla loro responsabilità personale. Sono altri, sono leghisti o azzurri o grillini. Il sogno prende la forma dei “due minuti d’odio” di orwelliana memoria. Andate via, ladri, via tutti, via i comunisti, assassini, delinquenti, basta partiti, dovete morire, porci, putrefatti, via via via!

Fase 4. L’unico frammento di ideologia riscontrabile in tutti e tre gli esempi citati è il rigetto per la sinistra: in un’occasione o l’altra, gli sciamani coinvolti hanno detto tutti che il loro gruppo non è “ne’ di destra, ne’ di sinistra” intendendo, poiché siamo in Italia, “mai mai mai con la sinistra!”. Il trattamento riservato alla destra è infatti sempre diverso: la Lega secessionista fa i governi romani con Fini, e non demonizziamo Berlusconi dopotutto anche a me piacciono le donne, e con Casa Pound abbiamo delle affinità… mentre si augurano morte e menischi a qualsiasi “rosso” apra bocca, accusandolo di tutti i mali del mondo dal diluvio in poi. In questa fase, esponenti della sinistra si danno puntualmente al patetico tentativo di vedere qualcosa di buono nella valanga di insulti e aggressioni da cui sono seppelliti: perché, caspita, quelli che li assaltano hanno vinto le elezioni, o hanno preso il 25%! I numeri so’ numeri! Allora la Lega e l’M5S diventano “costole della sinistra”, Berlusconi “risponde a dei bisogni” e “bisogna valutare perché loro comunque sono sul territorio”.

Un unico frammento di ideologia però, anche se accoppiato a dosi massicce e quotidiane di odio, non è sufficiente a tenere insieme un gruppo a lungo. Basarsi solo su iniezioni continue di rabbia può provocare escalation non desiderate. Gli sciamani lo sanno. Perciò creano una mitologia manicheista in cui i loro seguaci possano trovare significati ulteriori e bearsi in un’illusione collettiva. Bossi si è inventato la Padania e ha abusato dei Celti in ogni modo possibile. Berlusconi ha creato una visione della vita come festino infinito a costo zero (meno tasse per tutti!) di un club maschile intrattenuto da donne mercenarie. Grillo si è inventato il web-panacea universale, la rete-paradiso, e una “democrazia digitale” assai singolare e schizofrenica, dove chi decide è il proprietario del marchio ma tutti i militanti sono convinti di essere lui. Anche i gesti clamorosi si sprecano, nella creazione della mitologia, perciò o si va a versare ampolline d’acqua nel corso del dio Po o si attraversa a nuoto lo stretto di Messina o si fonda un partito dal predellino di un’automobile fra la folla osannante. Lui è l’uomo giusto, l’uomo del destino, l’uomo della provvidenza, l’Unto del Signore, l’uomo forte che farà quel che c’è da fare.

Fase 5. L’imbonitore urlante di turno e/o i suoi seguaci hanno espugnato la cittadella (sì, un’altra metafora militare, proprio come “Arrendetevi, siete circondati”). L’Uomo del Destino, però, non può mantenere nessuna delle sue irrealistiche promesse, innanzitutto quella di distruggere il luogo ove ora siede, il famigerato Parlamento romano. Nessuno fa a pezzi la sedia che gli sostiene il didietro. L’Uomo del Destino, tra l’altro, è riuscito ad arrivare sin là non solo per la diffusione del suo vangelo fra gli elettori, ma perché ha rassicurato in vari modi gli altri poteri in gioco che la sua presenza non li disturberà: e così di volta in volta Confindustria o qualche istituto della finanza internazionale o l’Ambasciatore americano gli esternano il loro apprezzamento. Non può toccare i loro interessi, ma i loro interessi sono in gioco in parecchie promesse che lui ha fatto. Si apre così una lunga parentesi (può durare venti o trent’anni, grazie alla fede degli italiani nel loro idolo) di individuazione e additamento al pubblico ludibrio di altri nemici che impediscono le “riforme”: possono essere interni, ad esempio la solita sinistra antistorica che difende dinosauri come lo Statuto dei Lavoratori o la Costituzione, o esterni come l’Unione Europea e l’euro. Esattamente come si diceva di Mussolini, quest’uomo meraviglioso, questo santo, non lo lasciano lavorare. 

La fase n. 5 è in via di esaurimento per Bossi e Berlusconi, ma è appena cominciata per Grillo. I meccanismi perversi sono identici. Le risposte inadeguate o persino folli della sinistra politica sono identiche. E’ pazzesco che niente di diverso riesca a stracciare il fondale da tre decenni.

Messaggio finale ai leader politici che volessero provarci: rileggete le prime righe di questo testo. Grazie per le cifre e i fatti. Però manca qualcosa. Credo sia l’anima. Maria G. Di Rienzo

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L’aneddoto che sto per raccontarvi le/gli appassionate/i di fantascienza lo conoscono già, ma poiché la sua protagonista l’ha narrato di nuovo con molto piacere di recente, durante il Mese della Storia delle Donne (questo marzo, intervista filmata), lo riporto anch’io per chi è nuovo/a all’ambiente o per chi vuole rinfrescarsi la memoria.

Durante la mia infanzia, mi imbarcavo spesso idealmente su un’astronave, la Enterprise, che compiva missioni quinquennali nello spazio alla ricerca di nuovi mondi e nuove civiltà. Naturalmente sto parlando della serie originale di “Star Trek” (1966) che se non veniva trasmessa sui canali Rai mi andavo a cercare su TeleCapodistria – dove la mandavano in lingua inglese con sottotitoli locali (uno spasso: capivo una parola su dieci ma le lingue erano una mia passione già allora). Credo che a modo suo “Star Trek” abbia contribuito a rafforzare la mia propensione ad essere semplicemente curiosa, e non timorosa, delle persone o delle cose strane e nuove; dopotutto, gli extraterrestri erano sempre, più o meno, tali e quali a noi: avevano solo l’abitudine di far avventurare matita nera e eye-liner in zone del viso che tali manufatti non avevano mai visitato prima…

Dott. Spock

L’equipaggio dell’Enterprise era di per sé una festa dell’incontro e della coesistenza fra persone diverse (compreso un “alieno”, il vulcaniano dott. Spock) per etnia, provenienza, genere, ed ebbe anche il pregio di presentare in tv una donna di colore, per la prima volta, in un ruolo non stereotipato come domestica, balia, serva, ecc.. Sto parlando di Nichelle Nichols, e cioè della Tenente Uhura: donna, nera e quarta in comando nel periodo in cui i neri americani maschi e femmine stavano lottando per essere trattati almeno come esseri umani. Il successo della serie testimoniò sin dall’inizio che la presenza di Uhura era vissuta bene (forse anche i razzisti e i sessisti più accaniti pensavano che avrebbero perso qualche partita entro il 23° secolo…), ma quando in un episodio si mostrò il primo bacio inter-razziale, fra la Tenente di colore e il Capitano bianco Kirk, l’audience andò un po’ in fibrillazione. Il bacio era stato telepaticamente indotto da alieni, ma la sua immagine, avulsa dal contesto dell’episodio, restava piantata là come un monito, l’orribile incredibile sconcertante disgustoso monito che l’amore è cieco ai colori, intesi nei significati arbitrari che noi attribuiamo ad essi.

Uhura

Nell’intervista, Nichelle dice che le reazioni negative di parte del pubblico e i dispetti razzisti del personale dello studio televisivo – tipo il gettare via la posta dei fans – l’avevano convinta a lasciare la serie: aveva già scritto la sua lettera di dimissioni. Ma un visitatore le fece cambiare idea. “C’è un tuo ammiratore, vorrebbe vederti.”, le annunciarono misteriosamente. “E quando mi girai non riuscivo a credere ai miei occhi. Non lo avevo mai incontrato prima. Era Martin Luther King jr.” Il dott. King era entusiasta della presenza di Nichelle Nichols in “Star Trek” ed era venuto a dirle di non essere il solo: sua moglie, altre donne di colore, le ragazze e le bambine di colore, erano fiere della Tenente Uhura. Il suo ruolo simbolico di apripista per le donne afroamericane era troppo importante. Poteva Nichelle restare al suo posto sull’Enterprise, per questo? Nichelle restò. E quando la serie finì, lavorò sino al 1987 come reclutatrice di aspiranti astronauti per la Nasa: il primo astronauta di colore, Guion Bluford, e la prima donna astronauta, Sally Ride, furono due dei suoi successi. Poi Nichelle tornò a cantare, che era la sua originaria vocazione, recitò nei musical, scrisse due libri e non mancò mai, ne’ manca a tutt’oggi, di partecipare alle feste dei “trekkers”, gli irriducibili fans della serie televisiva. E’ la splendida signora che vedete qui sotto. Maria G. Di Rienzo

Nichelle Nichols

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