
Brisa de Angulo – in immagine – è la fondatrice e presidente di “Brezza di Speranza”, un’ong boliviana che lavora con le bambine e i bambini che hanno subito incesto e violenza sessuale.
Questa è la storia di Brisa, così come lei l’ha narrata a Global Citizen (“This Woman Was Raped by a Family Member at 15 – and Now Fights for Children Who Have Survived Sexual Assault”, Phineas Rueckert, 22 marzo 2018).
“Quando avevo 15 anni un parente, che era anche un pastore per la gioventù, venne a vivere in casa mia e cominciò ad abusare di me. Poi cominciò a stuprarmi.
Ci furono un bel po’ di intimidazioni e minacce affinché io restassi zitta. Perciò, rimasi silenziosa per parecchi mesi – per otto mesi – in cui lui mi violentava ripetutamente, più volte al giorno, quasi ogni giorno. Diceva che se avessi fatto resistenza avrebbe stuprato le mie sorelle e fratelli più piccole/i di me.
Durante la faccenda, minacciò anche che se qualcuno fosse venuto a saperlo, tutto sarebbe crollato. I miei genitori lavoravano con i bambini, per i diritti umani, per i diritti delle donne, e così lui usava questo come minaccia, dicendo: “Come si sentirebbero i tuoi genitori se sapessero che mentre stanno tentando di proteggere altre persone estranee, nella loro stessa casa io mi sto facendo la loro figlia?”
Sapevo che li avrebbe distrutti, e lui usò questo per mantenermi zitta. Entrai in un periodo di profonda depressione. Abbandonai la scuola. Sviluppai bulimia e poi anoressia. Tentai due volte di suicidarmi. La mia vita stava semplicemente andando in rovina. I miei genitori non avevano idea di cosa stesse accadendo, ma erano devastati. Sapevano che c’era qualcosa di sbagliato, ma non sapevano cosa.
Scoprirono cosa stava accadendo dopo uno dei miei tentativi di suicidio e fu allora che decidemmo di portare il mio caso in tribunale. Fu allora, anche, che cominciò la seconda ondata di vittimizzazione nei nostri confronti, perché tutti volevano che io tacessi. La mia casa fu incendiata due volte. Sono stata presa a sassate. Sono stata rapita, più volte, e quasi uccisa.
C’era un mucchio di intimidazione proveniente dal sistema giudiziario, e dalla comunità, perché ero una delle prime adolescenti a denunciare uno stupro. Il pm minacciò di mandarmi in prigione se avessi continuato a parlare di quel che mi era successo. I giudici non volevano trattare il mio caso: continuava a rimbalzare da un tribunale all’altro e alla fine lo mandarono al tribunale agricolo, dove si trattano casi che concernono animali e piante. Non ero nemmeno considerata un essere umano.
Ho dovuto portare il mio caso più volte alla corte costituzionale, ho dovuto affrontare tre processi per via di tutti gli errori nelle procedure e al terzo processo il mio aggressore è scappato. Perciò sta fuggendo dalla legge ed è ricercato dall’Interpol.
Durante la vicenda, ho capito di non essere sola. C’erano molte ragazze che stavano passando quel che passavo io. C’erano molte bambine che soffrivano in silenzio nelle loro case, e a farle soffrire erano in maggioranza membri delle loro stesse famiglie o persone che conoscevano, e non avevano alcun posto in cui andare. Io avevo il sostegno di mia madre, di mio padre e dei miei fratelli e sorelle, ma la maggior parte di queste bimbe non avevano nessuno. Non volevo che attraversassero quel che io avevo attraversato.
Perciò, ho deciso che avrei usato il resto della mia vita per rendere le cose un po’ più facili e più sicure per le bambine e i bambini. A 17 anni diedi inizio all’unico programma per l’infanzia sessualmente abusata nell’intera nazione della Bolivia. Ciò avveniva nel 2004 e sino a oggi siamo stati in grado di fornire gratuitamente assistenza legale e sociale e servizi psicologici ad oltre 1.500 minori.
Quando abbiamo cominciato, la percentuale di condanna per i crimini sessuali era dello 0,2% e l’abbiamo portata al 95%. Per cui è andato tutto nella direzione opposta. Negli ultimi 3 anni, abbiamo avuto il 100% di condanne.
Abbiamo avvocati che seguono i casi dall’inizio alla fine, passando per gli appelli o ogni altro sviluppo, e abbiamo un’assistente sociale che lavora con le famiglie. Sappiamo che la maggioranza delle bambine e dei bambini ha famiglie che usano intimidazioni nei loro confronti o tentano di mantenere il loro silenzio, perciò lavoriamo molto intensamente con l’assistente sociale per assicurarci che la famiglia abbia le conoscenze e il sostegno di cui la vittima ha bisogno per continuare il processo di guarigione.
Forniamo anche un ampio spettro di terapie, in tipi differenti – arte, musica, yoga, meditazione, ludoterapia, terapia cognitiva – così che ogni bambina/bambino possa trovare il suo proprio modo di guarire. E’ tutto centrato su di loro. Siamo una squadra impegnata a essere presente per i minori e il nostro consiglio consultivo è composto interamente da bambini. In pratica sono loro a dirci cosa facciamo di giusto o sbagliato, cosa vogliono che cambi. Il centro è in sostanza diretto dalle sopravvissute e dai sopravvissuti.
Quando io ho cominciato a parlare, circa 15 anni fa, ero l’unica che lo stava facendo e mi sentivo molto sola. E’ molto eccitante vedere altre donne prendere il controllo e spezzare il silenzio e la cospirazione del silenzio, e dire: “Ehi, siamo qui, siamo importanti e questo è quel che ci è accaduto.”
So che per la maggior parte gli abusi sessuali sono scopati sotto il tappeto, perciò anche se moltissime di noi sanno quel che succede non è visibile. Dobbiamo continuare a unire le voci e a mostrare che questo è un grosso problema e mettere la vergogna là dove deve stare: non sulla vittima, ma sull’assalitore.
Questa battaglia va avanti da un tempo assai lungo e i cambiamenti sono piccoli e limitati e tristemente abbiamo persone in posizioni di potere che non vedono la necessità di lavorare davvero sull’istanza. Ci sono bisogni più urgenti nelle menti – infrastrutture, guerre, qualsiasi altra cosa. Anche se c’è molta consapevolezza sul tema all’interno della società, io penso che dovremmo veder passare molti, molti anni per vedere un reale e drastico cambiamento. Non si tratta solo di cambiare le leggi. Si tratta di cambiare l’intero concetto di come vediamo il mondo, come vediamo i bambini, come vediamo le donne. Sino a che non cambiamo e cominciamo a vedere bambini e donne come esseri umani e rispettarli e a riconoscerli come soggetti di diritti umani, il mondo non cambierà. Potremo mutare alcune leggi e altre cose, ma nei momenti critici cadremo nelle vecchie abitudini.
Per quel che mi riguarda, vedere che grazie ai miei sforzi una bimba ottiene giustizia è davvero curativo. Non c’è nulla di più gratificante ed emozionante di vedere una/o di questi bambini, che sono stati così frantumati, aver di nuovo sogni e sorridere di nuovo. Dico spesso alla gente che se qualcuno mi offrisse un lavoro da 10 milioni al mese non lo prenderei, non lo degnerei neppure di considerazione, perché non c’è al mondo nulla che possa darmi la stessa gioia e la stessa soddisfazione di bambine/i che sorridono di nuovo e sognano di nuovo.
Abbiamo creato una società di guaritori feriti, dove sono le nostre ferite a guarirci l’un l’altro.”
Maria G. Di Rienzo
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