(“The refugee crisis is a feminist issue. We can’t just sit by and watch.”, di Helen Pankhurst per The Guardian, 19 settembre 2016, trad. Maria G. Di Rienzo.)

L’attuale crisi riguardante i rifugiati è uno dei più gravi disastri umanitari che si dispiega attraverso il mondo nell’epoca attuale. Fra una molteplicità di orrori universali, la crisi presenta specifiche minacce e difficoltà per milioni di donne che sono rifugiate: e, come per tutte le istanze femministe, la risoluzione di quest’ultima dipende dalla solidarietà.
Mentre il mondo guardava dall’altra parte, Care International – http://www.careinternational.org.uk/
e Women for Refugee Women- http://www.refugeewomen.co.uk/ – hanno lavorato insieme anzitempo rispetto al summit (Ndt. : quello sui rifugiati organizzato dalle Nazioni Unite il 19 settembre u.s.) per dare alle donne rifugiate una piattaforma in cui narrare le loro storie – storie di dolore e di durezze che hanno fatto luce su come questa crisi sia davvero molto una crisi delle donne.
Prendete Nadia. Costretta a lasciare il nativo Iraq quando era incinta di quattro mesi, ha cercato una relativa sicurezza attraversando il confine con la Siria. Quanto dev’essere disperata una persona per considerare l’ingresso in Siria come il minore fra due mali? Nel caso di Nadia, la sua motivazione fu l’aver visto un’auto piena di ragazze Yazide come lei bruciate vive dagli estremisti, un destino che lei temeva fosse in agguato per la sua stessa famiglia.
Dopo un breve periodo disperato in Siria, Nadia intraprese il viaggio verso la Grecia in un barca insicura che perdeva acqua quando era incinta di nove mesi. Il suo figlio non nato morì durante il viaggio, risultato inevitabile della denutrizione e dello stress. Al suo arrivo in Grecia, Nadia fu sottoposta a un affrettato taglio cesareo: “Non mi permisero neppure di vedere il mio bambino – ricorda – L’hanno semplicemente portato via e sepolto in una tomba comune… Ho pianto e pianto per giorni. Non posso nemmeno visitare la tomba di mio figlio.”
Quando Care e Women for Refugee Women chiedono trattamenti dignitosi e giusti per i rifugiati, lo fanno per donne come Nadia. Come un’altra donna, Dana, riassume: “In Siria, tu puoi morire a causa di una bomba, un giorno, ma durante questo viaggio tu muori ogni singolo giorno.” Dana, madre di due bambini, attualmente vive in un campo profughi in Serbia. E’ arrivata portando poche cose, ma con addosso un peso di miseria che nessuna donna, nessun essere umano, dovrebbe portare.

E storie come queste ne hai 10 per un centesimo in tutta Europa, proprio in questo momento. Quando la situazione di una donna è così disperata che è costretta a fare del “sesso di sopravvivenza” per assicurarsi che un uomo la protegga durante il suo viaggio, questa è un’istanza femminista. Quando una donna è costretta a fare centinaia di miglia a piedi, in stato di avanzata gravidanza e con bambini malnutriti fra le braccia, questa è un’istanza femminista.
Quando le ragazzine sono date in spose a un’età così giovane da spezzare il cuore, perché ciò è visto per loro come la maggior probabilità di sopravvivenza; quando le donne abortiscono spontaneamente sul ciglio della strada in un paese straniero; quando le madri sono costrette a mandare via i figli da soli sui gommoni, nel buio, non convinte che avranno l’occasione di rivederli vivi; quando le donne raggiungono il Regno Unito e si abusa di loro e le si degrada, o le si tiene in detenzione per il crimine di aver chiesto rifugio: queste sono istanze femministe. Urgenti, disperate, oltraggiose istanze femministe. E, come femministe, noi dobbiamo agire.
In vista dei summit sui rifugiati globali, noi stiamo facendo alcune richieste molto semplici ai leader mondiali. Primo, assicurare più sostegno per le donne rifugiate nei paesi in via di sviluppo; secondo, stabilire rotte protette, sicure e legale per le donne rifugiate vulnerabili, di modo che esse non debbano affrontare viaggi pericolosi nelle mani dei trafficanti; terzo, intraprendere azioni per proteggere donne e bambine dalla violenza sessuale e dal traffico di esseri umani. E quarto, in special modo per il governo britannico, dare alle donne rifugiate in Gran Bretagna dignità e udienze oneste.
La crisi relativa ai rifugiati è controversa e, in questi tempi turbolenti, chiedere di offrire protezione addizionale ai rifugiati incontra sempre maggiore opposizione. Ma io guardo alla rappresentazione che i media fanno dei rifugiati – l’oggettivazione, la disumanizzazione – e vedo la Storia ripetere se stessa: la stessa Storia che ha indotto i miei antenati a fuggire per salvare le proprie vite.
Perché io sono la figlia e la nipote di rifugiati. Dal lato famoso delle suffragiste Pankhurst, il compagno di mia nonna Sylvia era un anarchico italiano che finì per chiamare il Regno Unito la sua casa; e mia madre originariamente venne dalla Romania, fuggendo l’ascesa del fascismo.
Ogni volta in cui nella Storia vediamo vasti segmenti di persone cacciati fuori – o peggio, spazzati via – puoi star sicuro che ciò è accompagnato, da qualche parte, da propaganda che insinua come quelle vite siano vite a perdere. Come Paese, siamo stati dal lato giusto della Storia quando il fascismo e il nazismo hanno preso piede. Dobbiamo assicurarci che vada allo stesso modo oggi.
La vergogna di questa crisi non sarà candeggiata nei libri di Storia; lascerà una cicatrice nella nostra coscienza collettiva per generazioni. Abbiamo la responsabilità individuale e collettiva di agire ora.
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