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Poiché lei è la causa per cui pensiamo e creiamo.

Poiché lei è la causa per cui componiamo canzoni.

Poiché lei è la causa per cui i disegni appaiono mentre tessiamo.

Poiché lei è la causa per cui raccontiamo storie e ridiamo.

Noi crediamo in antichi valori e nuove idee.

da “This is how they were placed for us”, di Luci Tapahonso, poeta Navajo, docente universitaria di lingua e letteratura inglese.

La “lei” di cui parla vi è probabilmente già nota per averne letto qui o altrove, è “Changing Woman”, la “Donna Cangiante” che ha un posto assai elevato nel pantheon tribale.

Ne cantano anche

https://www.youtube.com/watch?v=e01OQWOeaVw

le Nizhóní Girls (“nizhóní” significa “belle”), gruppo rock femminile Navajo e Pueblo, composto da Becki Jones alla chitarra, Lisa Lorenzo alla batteria e Liz McKenzie al basso. Le tre trentenni chiamano il loro sound “desert surf”.

Nizhoni Girls

Sono attiviste per i diritti delle donne e dei popoli indigeni, nel 2018 hanno organizzato l’Asdzáá Warrior Fest – un festival per le donne a cui queste ultime hanno partecipato in massa non solo per ascoltare la band ma per discutere di istanze relative alle loro comunità, offrono seminari in cui insegnano gratuitamente musica a bambine/i e ragazze/i, tengono concerti nelle scuole della riserva. Altro? Hanno magliette strepitose (non solo quelle che vedete nell’immagine: la mia preferita è quella con su scritto “Femminista radicale indigena”) e sono indicate come “role models” dalle giovani Navajo e Pueblo.

Antichi valori, nuove idee. Belle, bellissime davvero.

Maria G. Di Rienzo

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(brano tratto da: “Waking up to our power: witchcraft gets political”, di Aamna Mohdin per The Guardian, 8 novembre 2019, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. L’immagine di Grace Gottardello è di Christian Sinibaldi. L’evento a cui si fa riferimento nell’articolo, il “Witchfest – Festa della Strega”, tenutosi il 9 novembre nel quartiere di Croydon a Londra, ha offerto una corposa e molto interessante serie di seminari, conferenze, spettacoli, ecc. Il gruppo che lo organizza, Children of Artemis, ritiene si tratti attualmente del più grande festival di questo tipo al mondo.)

grace

L’evento arriva nel mentre le streghe emergono dai ripostigli delle scope in tutto il Regno Unito per occupare l’immaginazione popolare. In aggiunta alla nuova versione di prodotti “cult” televisivi, come “Sabrina, la Strega Adolescente” (rifatto come “Le spaventose avventure di Sabrina” da Netflix) e “Charmed”, ci sono streghe che realizzano podcast e condividono consigli con l’hashtag #witchesofinstagram, che vanta oltre tre milioni di post. E così tanti libri sono stati scritti che Publishers Weekly ha dichiarato una “stagione della strega”. (…)

Christina Oakley Harrington, proprietaria della libreria Treadwell a Londra specializzata in occultismo, dice: “La gente che si interessa di stregoneria non è quella più insicura e ansiosa, il loro desiderio di apprendere la magia è molto legato alla sensazione che il mondo abbia un disperato bisogno di cambiamento.” Per queste attiviste, ha aggiunto Harrington, l’identità di strega è un “mantello che dà potere”, che dà loro energia e forza per prendere posizione. (…)

Grace Gottardello, che si descrive come “strega comunitaria”, dice che per la gente di colore la stregoneria ha avuto il significato di riconnessione alle proprie radici ancestrali e alla costruzione di comunità, così come il significato di reclamare potere.

Gottardello, che si è trasferita nel Regno Unito quando aveva 18 anni, paragona un po’ la sua infanzia nell’Italia del nord a quella di “Sabrina, la Strega Adolescente”. Ha appreso erboristeria, cerimonie per la luna nuova e lettura dei Tarocchi dalle sue zie. Ma mettendo da parte questi rituali familiari, Gottardello descrive il suo crescere in un villaggio da donna nera largamente come un’esperienza di isolamento e sofferenza. La piccola città era incredibilmente razzista, ha detto, e la parola “strega” non doveva neppure essere pronunciata a voce alta.

E’ stato solo quando ha vissuto nel Regno Unito che è stata in grado di costruire una comunità e di ricollegarsi a se stessa. “Stavo recuperando la mia identità, la mia connessione alle tradizioni di mia madre e il mio essere nera. La stregoneria è molto di più che mettersi alla prova con i Tarocchi o i meme astrologici. Non fraintendetemi, i meme mi piacciono, ma la stregoneria è anche un attrezzo comunitario con cui proteggiamo noi stessi.”

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(vedi articolo precedente)

feff 2019

Il Far East Film Festival (FEFF) è sempre pieno, oltre che ovviamente di film, di occasioni, incontri e materiali – e da questo punto vista parteciparvi anche per un solo giorno è gratificante.

“Innocent Witness” non riserva grosse sorprese come trama, cosa che già sapevo prima di vederlo, ma oltre a esaltare la bravura della giovanissima attrice co-protagonista (su cui pesa l’intera struttura della storia), convoglia un messaggio di fondo sulla diversità e sul rispetto di cui non solo la società coreana da cui proviene ha bisogno.

Ci sono piccoli momenti magici che non aggiungono o tolgono nulla allo svolgimento del plot, ma che si incidono nella memoria emotiva di chi guarda:

* L’anziano padre dell’avvocato, un uomo spiritoso e ostinato che nonostante gli acciacchi trasmette un’incrollabile gioia di vivere, dopo aver sottolineato che il figlio non gli ha mai presentato una fidanzata, dice: “La gente comincia a chiedermi se ti piacciono gli uomini.” E davanti allo stupore del figlio aggiunge: “Non mi importa se porti a casa un ragazzo, purché sia gentile.”

Questo minuscolo passaggio mette con semplicità l’importanza di una relazione dove esattamente deve stare: la felicità di chi quella relazione intrattiene, che è meglio garantita se si ha a che fare con una brava persona e per essere una brava persona il sesso non conta nulla.

* L’avvocato comprende presto che la ragazzina testimone ha un’intelligenza stratosferica (come molte persone autistiche) e una personalità affettuosa e onesta. Nel mentre comincia ad affezionarsi a lei commette un errore molto comune, quello di compatirla. “Se solo non fosse autistica…”, comincia a dire alla madre della ragazza, che immediatamente lo interrompe: “Se non fosse autistica non sarebbe la stessa persona, non sarebbe la mia Ji-woo.”

Ti amo così come sei, per quello che sei. E questo è il secondo ingrediente fondamentale per far funzionare qualsiasi relazione affettiva.

Probabilmente tutto ciò è scontato per il regista Lee Han quanto lo è per me o per molti/e di voi che leggono, ma date un’occhiata in cronaca ai crimini dell’odio, alle conseguenze del bullismo, al sistematico disprezzo per chiunque non si conformi ai modelli prescritti e saprete subito perché c’è più che mai necessità di ripeterlo.

La mia valutazione complessiva sulla pellicola, compresa la prevedibilità di alcune scene e un finale con abbracci e fiocchi di neve che sa troppo di già visto, è quindi “più che sufficiente” – non altrettanto posso dire dell’organizzazione relativa alla sua proiezione:

1. Signori/e del FEFF, le vostre “maschere” devono avere istruzioni precise ma soprattutto uguali: non potete far correre gli spettatori da un piano all’altro del cinema perché uno dice “potete entrare dovunque” e l’altro “no, qui entrano solo gli abbonati” e il terzo ti fa entrare solo perché è chiaro che sei parecchio incazzato. I dieci euro di biglietto erano identici per tutti. La cosa mi ha seccato particolarmente perché sto soffrendo di una fastidiosa tendinite e i tre piani li ho fatti su e giù con il bastone.

2. In sala erano presenti il regista e gli attori Jung Woo-Sung (l’avvocato) e Lee Kyu-Hyung (il pubblico ministero) e sentire quel che avevano da dire sarebbe stato molto piacevole. Purtroppo la presentatrice ha farfugliato qualcosa in simil-inglese e ha schiaffato il microfono in mano a ciascuno di loro lasciando che si arrangiassero da soli. Non è stata in grado di porre una domanda che fosse una. Il traduttore dal coreano (il molto noto critico cinematografico statunitense Darcy Paquet) ha tradotto qualcosa in inglese a voce sussurrata e a beneficio di non si sa chi. Io ho capito mezze frasi in ambo le lingue tirando le orecchie e presumo che altre persone abbiano fatto lo stesso, ma il grosso del pubblico ha dovuto accontentarsi del “buongiorno” detto in italiano da Jung Woo-Sung (grazie, ricambiamo anche se erano le cinque del pomeriggio passate).

Per quel che riguarda il povero Lee Kyu-Hyung, poiché non condivide lo status di star del protagonista pur essendo a mio parere un attore migliore, non lo si è presentato, non si è compiuto lo sforzo di tradurne l’intervento in italiano o in inglese e non ha ricevuto neanche un applauso. Andiamo, FEFF, avete anni e anni di esperienza: si può fare di meglio.

Maria G. Di Rienzo

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Felice nella mia pelle

(“Being a woman in rock was me against the world”, di Liisa Ladouceur per Globe and Mail, giugno 2018, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Serena Ryder

Quando Serena Ryder suona a un festival musicale, si accorge sempre se ci sono donne nello staff. “Mettono i cestini per l’immondizia nei bagni. – dice ridendo – E’ una delle molte piccole cose a cui gli uomini non pensano.”

Vincitrice di un Juno Award (ndt.: premi conferiti a musicisti canadesi per i loro avanzamenti artistici e tecnici), la cantante e autrice di “Stompa e ““What I Wouldn’t Do”, è stata in tournée in lungo in e in largo sin dagli anni dell’adolescenza e ha testimoniato molti cambiamenti nell’industria durante gli ultimi tre anni.

“La cosa che trovo completamente diversa, proprio ora, è che c’è maggior senso di comunità. – dice – Quando ho cominciato a fare tournée, sentivo che essere una donna nel mondo rock equivaleva a essere sola contro il mondo intero. La mia strategia di sopravvivenza era diventare “uno dei ragazzi”. Ero brava a bere. Pensavo di dover essere dura tutto il tempo e di non dover mai esprimere le mie emozioni. E’ stato solo quando ho cominciato ad avere più relazioni con altre donne della mia età nella comunità artistica che la mia vita è migliorata molto.”

Una delle alleate di lungo corso di Ryder è la sua manager, Sandy Pandya, che lei descrive come “una regina guerriera, così potente e allo stesso tempo così capace di empatia.” Le due donne lavorano insieme da 15 anni e stanno per imbarcarsi in un nuovo progetto: un collettivo artistico chiamato “Art House”.

“Abbiamo comprato quest’edificio insieme, nella parte occidentale di Toronto, – spiega Ryder – per raggruppare artisti: pittori, cantastorie, musicisti, quanti più possibile, in uno spazio dove possono creare insieme con persone che fanno già quel lavoro da lungo tempo e possono offrir loro scorciatoie che aggirano le stronzate. Sono impaziente di veder tutte/i fiorire.”

“Art House” avrà uno studio di registrazione sul retro, dove Ryder registrerà il suo prossimo album. Il mese scorso il disco del 2006 con cui ha sfondato,”If Your Memory Serves You Well”, è stato ristampato su vinile e lei si sta preparando per la stagione estiva dei festival – bagni accoglienti per le donne inclusi.

“Mi sento fortunata a essere nata nella pelle in cui sono. – dice – Essere una donna in una comunità crescente di donne forti mi ha dato la forza e il bilanciamento di cui sono assai grata.”

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