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(“Indigenous, Afro-Honduran communities join together to fight pandemic”, 11 maggio 2020, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, trad. Maria G. Di Rienzo.)

garifuna - unfpa

Tegucigalpa, Honduras – Nel mentre le nazioni lottano con la pandemia del Covid-19, le comunità indigene e di discendenza africana sono fra le più vulnerabili con molte persone che fronteggiano povertà, scarso accesso alle cure sanitarie e informazioni limitate. In Honduras, membri di queste comunità si stanno unendo per assicurarsi che informazioni e risorse raggiungano i più esposti.

“Dobbiamo essere creativi di questi tempi.”, dice Yimene Calderón, a capo dell’Organizzazione per lo Sviluppo Etnico, che sta lavorando con la comunità Garífuna per aumentare la conoscenza delle misure di controllo dell’infezione e per fornire sostegno alle famiglie in stato di bisogno.

I Garífuna si stanno “mostrando resilienti, facendo affidamento sulla medicina e sul cibo tradizionali, e cercando aiuto e solidarietà per ricevere assistenza dal governo: non individualmente, ma collettivamente, operando come un network.”, lei dice.

Sino ad ora, più di 1.800 casi della malattia sono stati confermati in Honduras. L’esplosione è concentrata lungo la costa nord del paese, dove vive la maggioranza della popolazione Garífuna. Questa comunità ha le sue radici sia in gruppi indigeni sia in gruppi di origine africana. Molte famiglie hanno a capo donne e nonne, con uno o entrambi i genitori che lavorano all’estero per mandare soldi a casa. Come in ogni altra comunità afro-honduregna e indigena, in alcuni quartieri e case manca l’elettricità, l’accesso a internet e l’acqua corrente. L’insicurezza alimentare è comune e molti non sono in grado di accedere a cure sanitarie per la distanza o perché non se le possono permettere.

Molte fonti di reddito – incluse le rimesse, il turismo e il piccolo commercio – sono state gravemente ridimensionate. I più vulnerabili possono non essere in grado di osservare il distanziamento sociale o frequenti lavaggi delle mani e altre misure di prevenzione della malattia. Ma queste comunità si sono anche dimostrate forti e flessibili.

Comunità afro-honduregne e indigene hanno unito i loro sforzi per contenere la diffusione del Covid-19. Lavorando con il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e con la Pan American Health Organization, hanno tradotto le informazioni sulla prevenzione dell’infezione nella lingua

Garífuna, così come nelle lingue Misquito, Tawahka e Chortí. Queste informazioni sono usate dai lavoratori della sanità, dalle reti delle radio comunitarie, da programmi televisivi e da attivisti per la gioventù al fine di promuovere comportamenti sicuri.

I membri della comunità si stanno anche facendo da soli le mascherine di stoffa. “Abbiamo coordinato numerosi gruppi di discussione con medici, infermieri e personale sanitario nella comunità.”, dice Suamy Bermúdez, un dottore Garífuna che sta lavorando con altri per sviluppare una campagna allo scopo di raggiungere case isolate con accesso limitato alle cure sanitarie.

La campagna fornirà informazioni sulla prevenzione del contagio e le medicine tradizionali, disseminate nelle chat, durante conferenze e con manuali. La campagna affronterà anche la questione dei diritti dei popoli indigeni.

“Storicamente, le popolazioni più vulnerabili dell’Honduras hanno subito segregazione e mancanza di investimento nella sanità. – dice Kenny Castillo, portavoce del Direttorato dei popoli indigeni e afro-honduregni del Ministero per lo Sviluppo e l’Inclusione Sociale – Abbiamo aperto canali per affrontare la situazione, includendovi il dialogo per affrontare non solo l’istanza Covid-19 ma lo scenario posteriore ad essa, dove le comunità dovrebbero avere una posizione forte nel richiedere investimenti su salute e istruzione.”

In aggiunta al suo sostegno all’azione comunitaria, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione sta lavorando con altri per sostenere politiche che assicurino alle donne indigene e di discendenza africana i diritti a servizi e informazioni su salute sessuale e riproduttiva, all’empowerment e alla prevenzione della violenza.

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“Accetto qualunque critica, ma non da donne che non hanno figli. C’è chi parla e non è nemmeno madre, forse prima di parlare dovrebbe passare per quel sacro vincolo. Sono arrabbiata con chi non capisce che non strumentalizzo i bambini e che il mio interesse è tutelarli: lo faccio per mio figlio e per tutti i bambini. Perché i figli sono dei genitori e non dello Stato, al contrario di quanto credono alcune parti politiche. Con il disegno di legge ‘Allontanamenti zero’ stiamo toccando interessi per quasi 60 milioni – è questo il valore annuale del sistema infanzia in Piemonte – capisco che ci sia chi si preoccupa. Spostiamo i fondi per darli alle famiglie, è questo che preoccupa.”

Chiara Caucino, leghista, assessora della Regione Piemonte a (come da sito ufficiale) “politiche della Famiglia, dei Bambini e della Casa, Sociale, Pari Opportunità”;

vanta autoscatto con Salvini e striscione a sostegno del suo disegno di legge con l’hashtag “prima i bambini”;

assurta in precedenza agli onori della cronaca: a) per i tagli di bilancio nel sostegno alle persone non autosufficienti e b) per un addetto stampa solito pregare in ginocchio davanti alla tomba di Benito Mussolini e pubblicare “aforismi” di costui su FB (assieme ai doverosi selfies con Salvini, va da sé).

Molte/i hanno già spiegato quanto inutile e dannoso sia un provvedimento che considera i figli proprietà dei genitori (non sono nemmeno una risorsa statale, sono cittadini minorenni che appartengono a se stessi), che alle “famiglie in difficoltà” non darà quegli strombazzati 60 milioni perché li sposta su non ben specificati interventi del servizio sociale a favore del “nucleo” (sempre come da sito ufficiale della Regione), che considera l’allontanamento praticabile “solo in casi estremi, come quelli legati alla violenza e agli abusi conclamati”, mentre le leggi al proposito (184/1983 e 149/2001) prendono in considerazione uno spettro di situazioni estremamente disagevoli per un minore considerando comunque l’affido familiare una misura temporanea (e riconoscendo i diritti all’informazione e al coinvolgimento di minore, famiglia d’origine e famiglia affidataria).

Quel che vorrei invece discutere io è l’impianto ideologico e strutturale delle dichiarazioni della signora Caucino, che ha un incarico politico in un’istituzione laica: quindi, in primis, del sacro vincolo della maternità può discutere in parrocchia, in casa, al bar e persino con zia Pillon (1) durante le riunioni di partito, ma non nel suo ruolo di assessora per difendere un provvedimento contestato sul merito. Agitare rosari sui palchi dei comizi politici (come esporvi bambini, usare i propri figli ecc.) è solo squallida ricerca di consenso tramite strumentalizzazione, perché fra una carica legislativa e Suor Chiara (e Fra’ Matteo) passa una differenza fondamentale e costituzionale.

In secondo luogo, struttura logica: per esempio, se per parlare di bambini bisogna averli messi al mondo, la delega alla Casa della signora Caucino su cosa basa? Ha mai preparato la malta e piazzato mattoni? No? Allora revocatele questo incarico, non accettiamo critiche da chi non ha mai messo in funzione una betoniera. Se lei è autosufficiente, perché ha legiferato su quelli che non lo sono? Eccetera.

Peraltro, il sig. Salvini con cui si fa fotografare commenta (a capocchia) qualsiasi cosa senza mostrare le credenziali relative: accettiamo critiche sulle politiche di accoglienza da qualcuno che non solo non è mai stato soccorso in mare, ma che ha fatto al proposito tutti i danni che l’ignoranza e la malizia possono fare? Può parlare di lavoro uno che non ha mai lavorato? O di musica uno che ha cantato solo cori del tipo “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”? O di fede e cuori di madonne uno che ha mandato in tribunale un prete ultraottantenne reo di aver detto: “Ero straniero e mi avete accolto. O siete cristiani o seguite Salvini.”?

Ecco, è la solita storia delle pagliuzze e delle travi (Luca 6,41).

Maria G. Di Rienzo

(1) è quel signore con il farfallino che ride facendo “hi hi hi” ed è ossessionato dall’omosessualità.

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Per una scrittrice / uno scrittore di fantascienza creare universi è il pane quotidiano. Cercando di rispondere alle domande “cosa succederebbe se” o “cosa sarebbe successo se” puoi descrivere realtà parallele e dimensioni alternative e svilupparle in ogni possibile direzione.

Personalmente faccio questo ogni giorno, che le mie riflessioni finiscano per prendere la forma di una pagina scritta oppure no: ma sono sempre consapevole di vivere nella realtà e non in uno dei miei mondi fantastici. Quando non sei più in grado di distinguere fra le tue fantasie e i dati di fatto non sei meravigliosamente creativo, stai manifestando un disagio psicologico o una vera e propria malattia mentale.

In questi ultimi casi, il dovere morale della comunità che ti circonda è cercare di ancorarti di nuovo alla realtà prima che tu faccia del male a te stesso o agli altri: se tu pensi di avere le ali e noi non le vediamo, non possiamo comunque permetterti di andar giù in picchiata dal tetto di un grattacielo per provare la tua tesi; se tu credi che le persone con i capelli rossi siano tutte figlie di Satana e debbano essere sterminate noi non possiamo permetterti di tenere in mano un fucile a lunga gittata.

Il concetto è chiaro? Bene. Quel che io trovo sconvolgente della società attuale è come abbia perso gran parte del senso comune che serve a tenerci insieme in relativa salute (mentale, fisica e relazionale) come comunità umana.

Quando il papa in pensione, invece di godersi la primavera in giardino leggendo buoni libri e grattando di tanto in tanto la testolina del suo gatto, se ne esce con la teoria strampalata che ascrive al movimento del 1968 lo sdoganamento della pedofilia e spiega con ciò l’esistenza di sacerdoti pedofili nella chiesa cattolica, una società sana non dovrebbe fornire a questi vaneggiamenti alcuna validazione – il contrario di quanto oggi fanno gran parte della stampa italiana e degli opinionisti correlati.

Le violenze sessuali su minori da parte di preti cattolici hanno tristemente secoli di storia negli ordini religiosi, nei seminari, negli orfanotrofi, nei monasteri ecc.: è teoricamente possibile, anche se assai improbabile, che Ratzinger non lo sappia, ma noi sì e almeno per rispetto verso le vittime non dovremmo assecondare ne’ la sua ignoranza ne’, se del caso, la sua confusione o la sua malizia.

Allo stesso modo dovremmo comportarci con un altro che sembra vivere in un – distopico – universo alternativo e cioè il senatore leghista Pillon.

https://lunanuvola.wordpress.com/2019/04/09/un-paragone-insostenibile/

Costui è stato condannato ieri per diffamazione: “dovrà versare 30.000 euro per la sua campagna omofoba” contro l’associazione Omphalus e l’attivista Monni come condizione per la sospensione della pena, mentre il risarcimento del danno sarà stabilito in sede civile. A commento della sentenza, Pillon dichiara di voler ricorrere in appello e non trova di meglio che posare da martire: “Difendere le famiglie dall’indottrinamento costa caro”.

Tutti i giornalisti riportano – ma nessuno fa il suo mestiere ponendo domande:

Quale indottrinamento, signor senatore? I programmi scolastici non li fa l’Arcigay.

Durante il processo lei aveva dichiarato di aver fatto della mera “sferzante ironia”, adesso è diventata una “difesa delle famiglie”?

Di cosa sta parlando, esattamente, senatore? A quale titolo lei sarebbe difensore delle famiglie e di che famiglie si tratta? Chi le starebbe indottrinando, su cosa e perché?

Ha pensato di cambiare pusher? (questa è la domanda di Zonker Harris per il giornalino del college, saltatela pure) (1)

Illusione: forte convincimento che non cambia nonostante l’evidenza si opponga a esso e che potrebbe segnalare un episodio psicotico. Per esempio, un individuo può credere che qualcuno stia rubando i suoi pensieri, di essere sorvegliato o pedinato, di essere dio o che la malvagia lobby omosessuale finanziata dai poteri forti stia indottrinando le famiglie… ma il fatto che lo creda non rende il suo convincimento reale e, ripeto, noi abbiamo il dovere di dirglielo.

Maria G. Di Rienzo

(1) Personaggio del fumetto Doonesbury di Garry Trudeau, qui sotto in immagine.

zonker

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Onorevoli membri della Commissione Giustizia del Senato, oggi 9 aprile a partire dalle ore 14.00 discuterete in seduta plenaria di diversi argomenti, fra cui le proposte del senatore leghista Pillon in materia di affido condiviso.

La rivolta di ampi settori della società civile contro queste ultime vi è di certo nota ed è stata dettagliata sotto il punto di vista giuridico e tecnico non meno che sotto il punto di vista ideale, ove l’idea di famiglia prospettata richiama disagevoli associazioni con una struttura di comando e controllo (tipo una caserma con un marito-padre colonnello, una moglie-madre attendente e dei figli soldatini). A noi contestatori / contestatrici preoccupa anche il conflitto di interessi riguardante il senatore, giacché un disegno di legge che prevede la mediazione familiare a pagamento e la relativa offerta presentata dallo studio legale di chi quella medesima legge presenta, insieme suonano davvero male.

Fra poche ore, il senatore Pillon vi esporrà la sua relazione e voi avrete di fronte lo stesso uomo che in questi giorni siede sul banco degli imputati in un processo per omofobia; se la vicenda non vi fosse nota, sottolineo innanzitutto che non si tratta di un processo alle sue opinioni, ma del fatto che ha orchestrato una vera e propria campagna diffamatoria dell’associazione Lgbt “Omphalos”, affiliata Arcigay, con tanto di manipolazione del loro materiale informativo (volantini “taroccati”, per stare sul colloquiale).

In una serie di performance pubbliche in tutta Italia, questo individuo ha anche ripetuto che “quelli di Arcigay vanno nei licei e spiegano ai vostri figli che per fare l’amore bisogna essere o due maschi o due femmine e non si può fare diversamente e… venite a provare da noi, nel nostro welcome group”. Cioè, ha scientemente trasformato l’opera di sensibilizzazione contro il bullismo omofobo e di informazione sulle malattie a trasmissione sessuale in una squallida manovra per adescare minorenni.

So che in aula il sig. Pillon si è giustificato dichiarando che la campagna diffamatoria era solo “ironia sferzante”, paragonando la stessa alla “satira dei libri di Guareschi”. Giovannino Guareschi, celebrato creatore di Don Camillo e Peppone, dichiaratamente uomo di destra per quanto rigettasse il nazifascismo, si trovò in effetti a doversi difendere in tribunale da un’accusa di diffamazione a mezzo stampa (per la quale fu poi condannato e scontò più di un anno di galera). Aveva pubblicato nel 1954 due lettere in cui apparentemente De Gasperi, durante la II guerra mondiale, esortava gli alleati a effettuare bombardamenti. Guareschi le credette vere, ma le analisi storiche hanno comprovato che si trattava di due falsi prodotti dal neofascista De Toma, che fuggì all’estero a processo concluso.

Guareschi non aveva manipolato personalmente le due lettere. Pillon ha personalmente manipolato il materiale dell’associazione diffamata.

Guareschi aveva buoni motivi per lamentarsi del comportamento del collegio giudicante e si considerò condannato ingiustamente: tuttavia, per questione di principio, non presentò appello ne’ successivamente chiese la grazia. Era, nel senso relativo alla sua epoca, un “galantuomo”. Temo, Onorevoli membri della Commissione Giustizia del Senato, che a tal proposito il senatore Pillon si stia gloriando di un paragone insostenibile.

E’ impossibile accettare che una persona del genere abbia titolo per “riformare” il diritto di famiglia, poiché carente sia a livello di competenze (è evidente che ignora il reale status delle famiglie italiane) sia, come risulta da quanto esposto sopra, a livello etico. Prima di prendere qualsiasi decisione, dovreste necessariamente riflettere su ciò.

Maria G. Di Rienzo

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Dalla stampa, 2 marzo 2019:

“Ho una famiglia normale, non ho gay, non ho niente” – Giuseppe Brini, candidato sindaco del centrodestra a Pontedera, prima versione.

“Mi scuso perché le parole che ho usato possono essere offensive della sensibilità di persone che non debbono essere giudicate per la propria inclinazione sessuale. Mi sono espresso male e probabilmente qualcuno si sarà offeso delle mie parole e me ne dispiaccio.” – sempre Giuseppe Brini, un’ora dopo.

“La frase sui gay è inaccettabile e non rispecchia in alcun modo il pensiero della Lega. (…) Per noi ognuno è libero di seguire l’orientamento sessuale che più lo aggrada e questo è testimoniato dal fatto che abbiamo iscritti e simpatizzanti omosessuali” – Edoardo Ziello, deputato leghista presente all’exploit del candidato.

Nel frattempo, il Ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana, leghista, sponsorizza la prossima kermesse veronese del “World congress of families” (coalizione che esprime visioni retrograde condite di sessismo e omofobia, con qualche punta di delirio del tipo “gay = assassini”). Si evince da ciò che il “pensiero della Lega” in materia non è ne’ chiaro ne’ unanime.

La popolazione italiana conta oltre sessanta milioni di persone. Gli “anormali” di cui è improvvido urtare la sensibilità, perché dai 18 anni in poi votano, sono stimati in oltre tre milioni. Direi che come minoranza è consistente al punto di incrinare la supposizione di anormalità con il solo numero, senza necessità di approfondimenti scientifici che comunque esistono e che confermano l’omosessualità quale variante statistica del comportamento umano: pure, persiste un’ignoranza quasi completa su cosa l’essere omosessuali sia e comporti.

Brini crede si tratti di una “inclinazione”: cioè, queste persone avrebbero semplicemente una disposizione a provare affetto e attrazione per esseri umani dello stesso sesso e se di disposizione si tratta, come quella che un individuo può avere per la musica o per la matematica, possono scegliere di non manifestarla e persino di reprimerla. Fra i relatori del “World congress” di cui sopra, ci sarà di sicuro qualcuno che spiegherà anche come “curarla”.

Ziello dice – non proprio in italiano – che “ognuno è libero di seguire l’orientamento sessuale che più lo aggrada” (andava meglio che più gli aggrada, o che più lo soddisfa) ma l’orientamento sessuale non è una cosa che scegliamo di prima mattina fra le opzioni disponibili quel dato giorno, è qualcosa che sta con noi come il colore dei nostri capelli e la nostra statura. Possiamo colorare i primi e mettere scarpe con i tacchi per fingere qualche centimetro in più, ma i capelli continueranno a crescere castani e tolte le scarpe continueremo a misurare 1 metro e 60. O possiamo fingere di essere eterosessuali, come molte persone hanno fatto in passato e fanno tuttora, e vivere una vita da maschere di teatro non confortevole – e a volte disumana – per noi e per le persone con cui abbiamo relazioni mai del tutto sincere: ma agendo in modo così anormale rispetto a chi noi siamo non ci daranno degli anormali a priori, curioso.

Se quelli che definiscono se stessi e le loro famiglie “normali” intendendo l’ambito eterosessuale dessero un’occhiata più approfondita a quest’ultimo forse dovrebbero rivedere il concetto. In Italia, partner o ex partner eterosessuali, normali, uccidono una donna ogni 72 ore. In Italia, mariti padri compagni conviventi normali ecc. stuprano, picchiano, perseguitano donne e abusano di bambine/i (spesso si tratta della loro prole). In Italia, il maggior rischio per le donne di subire violenza viene dagli uomini con cui hanno relazioni di intimità e il maggior rischio di essere uccise lo corrono quando lasciano il partner o dichiarano di volerlo lasciare.

Il quadro indica una concezione patriarcale e quindi proprietaria della donna (oggetto inferiore che l’uomo giudica, valuta, dirige, prende, possiede e così via), il fondamento della violenza che dobbiamo smantellare, perché se continuiamo a implicare che la violenza è ingrediente inevitabile – necessario – erotico della relazione eterosessuale poi non possiamo stupirci ne’ delle sue cifre, ne’ delle attitudini tenute nei tribunali per cui se sei un uomo e strangoli una donna durante “una tempesta emotiva determinata dalla gelosia” ti dimezzano la pena (Bologna, 3 marzo, sentenza relativa all’omicidio di Olga Matei da parte di Michele Castaldo: “Ho perso la testa perché lei non voleva più stare con me. Le ho detto che lei doveva essere mia e di nessun altro. L’ho stretta al collo e l’ho strangolata.”)

La violenza esiste anche nelle relazioni omosessuali, ma stante la casistica al proposito dovrei razionalmente essere più serena se una mia ipotetica figlia mi dicesse di essere lesbica.

Maria G. Di Rienzo

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(“On surviving the Christmas holidays as a lesbian in Bulgaria” di Lora Novachkova – in immagine – per Open Democracy, 9 gennaio 2017, trad. Maria G. Di Rienzo. Lora, femminista anarchica, si è laureata all’Università di Vienna con una specializzazione in Studi di genere.)

lora

Mi trovo di nuovo in Bulgaria per le vacanza di Natale e Capodanno e sono in un luogo che si suppone essere “casa mia”, con i membri della mia famiglia omofobica che sono convinti di amarmi incondizionatamente.

L’anno scorso, all’incirca nello stesso periodo, ho dato le dimissioni dal mio lavoro come direttrice dei programmi del settore “Diritti e Movimenti LGBTI” del Centro Risorse della Fondazione Bilitis, a causa di un grave esaurimento nervoso. Ero frustrata dal vivere a Sofia, un città coperta di svastiche, e ho deciso che era ora di smettere di aver paura di essere assalita per strada. Mi sono trasferita in Spagna, dove posso di nuovo tenere per mano la mia compagna in pubblica. Tuttavia, non appena è stato il momento di far visita a “casa”, l’illusione è svanita e al suo posto è subentrata l’amara riflessione del dover fronteggiare l’omofobia della mia famiglia così come dell’intera società in cui sono cresciuta.

In maggioranza le persone LGBTI in Bulgaria sono costrette a condurre una doppia vita, o a emigrare per poter esprimere il loro orientamento sessuale più o meno liberamente. Sebbene sia difficile avere le statistiche nazionali sulle attitudini verso le persone LGBTI, i risultati di un sondaggio dell’Unione Europea del 2015 hanno mostrato che il 68% della popolazione si oppone ai matrimoni fra persone dello stesso sesso, che sono stati banditi dal governo nel 1991. La stragrande maggioranza dei bulgari vede questi desideri come malattia o devianza ma mai, per niente, come qualcosa di “naturale” (qualsiasi cosa questa parola significhi).

Ricordo il Natale del 2011, quando mi fu gentilmente chiesto dai miei familiari, che sono cristiani ortodossi come la maggioranza dei bulgari, di consultare un imam per rompere la “malvagia maledizione” che aveva fatto di me una lesbica, perché la mia famiglia crede che la mia omosessualità sia il risultato di magia nera. Ironicamente, i miei genitori non riuscirono a spiegare al tipo di cosa erano preoccupati e si aspettavano che lui lo “vedesse” in qualche modo. E’ una pratica assai diffusa, in Bulgaria, consultare imam di origine turca quando c’è il sospetto di essere sotto l’influenza di magia nera. Normalmente, vai a casa dell’imam e gli lasci una donazione per il suo lavoro. Non so se quello in questione fosse in grado di “vedere” il “problema”, ma pare che il suo lavoro non raggiunse il risultato sperato. Perciò, la procedura dovette essere ripetuta nel 2014.

Questa volta consultammo una “vrachka”, un’indovina di sesso femminile in grado anche di rompere incantesimi. Mi chiese perché, dopo aver avuto un ragazzo per alcuni anni, ho cominciato a uscire con le ragazze. Pensò che la mia risposta non fosse convincente, ma non sentivo il bisogno di arrivare a farle capire qualcosa.

Mentre facevo ricerche per la mia tesi di laurea, in cui indagavo le interconnessioni fra l’omofobia sociale e quella familiare in Bulgaria, mi sono imbattuta in storie simili raccontate da molte altre lesbiche. Io visitai questi “consulenti” perché ero per lo più curiosa come ricercatrice ma anche se non l’avessi fatto i miei genitori avrebbero comunque visto la mia omosessualità come l’influenza di un oscuro incantesimo. Un consulto psicologico è anche, tristemente, non la risposta perché in Bulgaria queste istituzione non possono garantire uno spazio sicuro a causa della natura del soggetto. Ovviamente, in tale contesto omofobico, ci sono un mucchio di psicologi incompetenti che fanno affari non etici rinforzando l’omofobia e traumatizzando le giovani persone LGBTI che dovranno poi affrontarne le conseguenze per tutta la vita. Poiché in Bulgaria non ci sono telefoni amici o qualsiasi altra risorsa pubblica per venire incontro alle necessità delle persone LGBTI, siamo in pratica lasciati a gestire il processo da soli, nei modi in cui possiamo farlo. In simili circostanze (senza l’aiuto di specialisti), la reazione familiare diventa assolutamente cruciale nella percezione che un individuo ha di se stesso.

Tornando alle mie riflessioni sul Natale, non è stato un periodo allegro. Lo sforzo mentale di sopprimere la rabbia verso l’ignoranza della propria famiglia è duro, e dover recitare il ruolo di una persona felice di essere tornata a “casa” non lo rende meno pesante. Per me, questo mondo ha perso il suo significato quando un paio d’anni fa tornai in Bulgaria da Berlino con la mia ragazza e ci fu richiesto di non venire a “casa”. Stavamo insieme da tre anni, e avevamo trascorso metà di questo tempo a Sofia, ma ciò non ha indotto i miei genitori a volerla conoscere. Mia madre non ha mai messo piede nel nostro appartamento. Mio padre osò farlo, ma solo quando lei non c’era. Quando lo incontravo, dovevo raggiungere il posto dove si trovava da sola. La legittimazione per la “mancanza di simpatia” della mia famiglia nei suoi confronti è che lei è più vecchia di me di tredici anni. Come sappiamo, l’omofobia raramente arriva da sola. Più spesso che no, si intreccia con il sessismo, con i pregiudizi sull’età, eccetera.

La scorsa estate i miei genitori mi fecero visita in Spagna. Ero sinceramente entusiasta della loro visita perché per me significava che, per la prima volta, avrebbero incontrato una mia compagna. Chiedemmo perché accettavano di incontrare lei, ma non la mia ex partner con cui ero stata tre anni. Sarebbe stato meglio non chiedere. Mio padre spiegò che l’età della mia compagna precedente lo aveva indotto a concludere che lei era veramente una lesbica, ma poiché la mia compagna attuale ha nove anni meno di me, loro vedevano la nostra relazione come l’esperimento di una persona giovane. Ero sconvolta, offesa e volevo urlare, ma invece ho dovuto sopportare perché quello era solo il primo giorno e dovevano passarne altri quattro. Dopo di ciò, volammo in Bulgaria, dove mi avvisarono di non portarla.

Questo accadde in estate e ora è inverno, nulla è cambiato. La mia compagna e io siamo nella stessa città per Natale e Capodanno, ma ne’ io ne’ lei possiamo portare l’altra a “casa”. Mi chiedo: quante coppie omosessuali smettono di tenersi per mano non appena atterranno all’aeroporto di Sofia?

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wings

(copertina di Natasha Alterici)

Wings” (“Ali”) è una collezione di fiabe femministe nuove di zecca, scritte da Kristen Grace e illustrate da diversi disegnatori e disegnatrici. Si presenta come: “Ottanta pagine di eroine coraggiose, streghe, rompitrici di regole, divoratrici di sogni e molto altro.”

Kristen è ricorsa al finanziamento tramite Kickstarter per realizzare il suo libro – e la somma di denaro che ha ricevuto ha superato quella che le serviva – ma la cosa davvero interessante è la ragione per cui lo ha scritto:

Ho sempre amato le fiabe, ma solo due anni fa ho cominciato a capire quanto potenti sono. Per la prima volta, in quell’occasione, mia figlia cominciò a parlarmi della paura che aveva delle “cattive matrigne”. Suo padre era in procinto di sposare una donna che entrambi, padre e figlia, amavano e rispettavano molto. La mia bambina avrebbe quindi avuto una matrigna sua.

Nelle fiabe, le matrigne sono universalmente maligne, gelose e crudeli. Una matrigna può darti da mangiare veleno o non darti da mangiare affatto. Può aspettarsi che tu lavori più di quanto umanamente puoi fare, può dire menzogne su di te, o farti uccidere. Una matrigna non ti amerà mai.

Ho cominciato a cercare fiabe con matrigne buone per mia figlia e per questa donna amabile. Durante la mia ricerca, ho appreso che le storie sulle cattive matrigne sono comuni a ogni cultura. Non sono riuscita a trovare una storia da dare a mia figlia. Vivendo in un’epoca in cui famiglie allargate, matrigne e patrigni e fratellastri e sorellastre sono normali, ho deciso di scrivere io la fiaba su una matrigna buona per la mia bambina e la sua famiglia in crescita.

Ispirata da donne forti e compassionevoli che conosco, ho continuato a scrivere altre fiabe di cui mia figlia e io avevamo bisogno: storie su ragazze coraggiose e interessanti (con qualche ragazzo, anche) e i loro modi di usare arte, gentilezza e comunità per sconfiggere la solitudine e la crudeltà del mondo.”

Maria G. Di Rienzo

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un cuore per due

Il capitalismo biasima il matrimonio gay perché distruggerebbe le famiglie. Io biasimo il capitalismo! Le famiglie sono separate su base quotidiana da ambo i lati del confine, a causa delle condizioni economiche disperate create dai cosiddetti accordi sul libero mercato, come CAFTA e NAFTA, che beneficiano solo quelli che stanno in alto. In paesi come il Salvador è abbastanza difficile trovare un lavoro che ti permetta di pagarti le spese del vivere. Ancora più duro è se hai più di 35 anni. E dimenticatelo proprio se sei una donna sopra i 35 anni.

Sempre di più, l’unica via d’uscita per le persone è emigrare dove i lavori ci sono. E quando arrivano sono spesso trattati da invasori subumani. Non mi sarei mai aspettata di imparare così tanto, così velocemente, delle condizioni sociali e della storia nascosta che hanno impatto sulla mia vita di ogni giorno – dopo essere arrivata come donna, come immigrata salvadoregna, come persona omosessuale di colore.” Karla Alegria

(Brano tratto dall’antologia “Talking Back: Voices of Color”, a cura di Nellie Wong, ed. Red Letter Press, 2016. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

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(“A project for women empowerment in Latin America”, di Clarissa Rios – in immagine – per World Pulse, 29 giugno 2016, trad. Maria G. Di Rienzo.)

clarissa rios

C’è un grosso problema in America Latina, ovvero la mancanza di risorse (denaro), conoscenze e opportunità per lo sviluppo professionale. Per trovare una soluzione, ho lanciato un’organizzazione non-profit chiamata “Ekpapalek” l’anno scorso. La nostra missione è rinforzare gli/le studenti Latine/i tramite programmi gratuiti che promuovono il loro sviluppo professionale di modo che contribuiscano allo sviluppo sociale ed economico dei paesi dell’America Latina.

Uno di tali programmi si chiama “Ekpapalek Donne” e si concentra sul potenziare le donne latino-americano riscrivendo gli attuali modelli di comportamento per le donne. Noi pensiamo che: NON PUOI DIVENTARE QUELLO CHE NON PUOI VEDERE.

Perciò, portiamo una serie di conferenze e seminari sull’empowerment economico delle donne nelle scuole secondarie e in vari istituti in America Latina. I nostri eventi sono gestiti interamente da professioniste, così che chi partecipa può vedere e interagire con le proprie guide, che noi miriamo a far divenire i nuovi esempi a cui loro possono ispirarsi.

La nostra squadra è composta da donne con alti livelli di istruzione e esperienza professionale: Mariella (biologa molecolare), Enma (medica), Carmen (docente universitaria), Blanca (ingegnera in acquacoltura) e io (biologa molecolare). Siamo impegnate a condividere e insegnare a partire dalle nostre esperienze durante il “viaggio accademico” (successi e ostacoli) e in tal modo motivare le ragazze a divenire agenti del cambiamento nelle loro comunità.

Parliamo anche dei benefici del divenire una donna economicamente indipendente e invitiamo loro a lavorare verso il rafforzamento di più donne tramite la creazione di collettivi femminili, di modo che possano incontrarsi e parlare dello stato delle donne nelle loro comunità.

I nostri seminari hanno lo scopo di risvegliare la loro curiosità, i loro sogni di indipendenza e le loro idee imprenditoriali. A seconda dei bisogni della comunità, offriamo i seguenti seminari:

– Piccola impresa con piante ornamentali (miriamo a creare imprenditrici);

– Salute ed educazione sessuale (con speciale attenzione alla violenza di genere, come riconoscerla e denunciarla);

– Come costruire un movimento per il potenziamento delle donne (Collettivi femminili);

– Presentazioni sull’empowerment economico delle donne per università, istituzioni e organizzazioni.

Inoltre, siamo molto attive online nello scrivere articoli e creare campagne dove promuoviamo consapevolezza sull’eguaglianza di genere. Per esempio, per aprire una discussione onesta sui ruoli genitoriali in America Latina, abbiamo lanciato la campagna “Famiglie Latine 2016”, mirata a mostrare una rappresentazione visuale realistica della genitorialità latino-americana nel 2016.

campagna famiglie latine

Raccogliamo immagini di padri che godono di ottime relazioni con i figli passando più tempo con loro e di donne che lavorano e sono madri. Noi pensiamo che queste immagini debbano essere accessibili e disseminate con facilità, di modo che chiunque possa esserne ispirato.

La nostra ultima campagna, “Ekpapalek donne che influenzano”, si basa sul nostro motto “Non puoi diventare quel che non puoi vedere” e mostra video di donne leader in America Latina. Speriamo che essi incoraggino più ragazze a scegliersi una carriera sentendosi ispirate da tali straordinari esempi. Aiutateci a diffondere il nostro scopo condividendo la nostra iniziativa!

Il nome dell’organizzazione viene da “Ekpa’palek”, una parola nel linguaggio indigeno “Shiwilu” della giungla peruviana e significa: Aiutare una persona a camminare.

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La domanda di stabilità appare chiara nel riferimento alla famiglia, come principale istituto di tutela. La famiglia. Assai più del sindacato e delle associazioni di categoria. Ma anche dello Stato e degli enti locali. La famiglia. (…) la famiglia. Polo di solidarietà intergenerazionale. Che tiene uniti genitori, figli. E nonni.” No, non è un’analisi dei legami di mafia. E’ un esempio della prosa rapsodica – continui stop and go arbitrari in lingua italiana ma che forse costituirebbero un buon tessuto per un brano jazz – di Ilvo Diamanti tratto da un suo pezzo del 1° maggio.

In esso commenta l’ennesimo sondaggio che dà tre quarti degli italiani scettici sulle magnifiche sorti dell’Italia in ripresa, nonostante le “indicazioni fornite dalle statistiche dell’Istat e rilanciate dal premier Renzi”: “Oltre 7 persone su 10 pensano che non sia vero. Che l’occupazione non sia ripartita. Solo l’8%, invece, ritiene che il Jobs Act abbia funzionato.”

Perché. Lo. Pensano? Sono forse. Stronzissimi antirenziani. Oppure. Li paga. Il NWO? Non so che effetto facciano a voi queste frasi asmatiche, ma a me duole il diaframma. Ordunque: potrebbe essere che non lo pensino perché non hanno visto alcuna ricaduta positiva del “Jobs Act” nelle loro esistenze?

Lo stesso giorno in cui Diamanti scrive, il capo dello Stato italiano Mattarella dice pubblicamente che nel nostro Paese “l’occupazione dei giovani è più bassa della media europea”, che la “generazione più istruita di tutte quelle precedenti (…) è posta al margine proprio dalla società e dal mercato che pretendono più conoscenze e più saperi” e parla delle difficoltà di chi vive da precario ecc.

In piazza per la Festa dei Lavoratori, sempre il 1° maggio, Susanna Camusso (CGIL) dice dei “tagli e dei disinvestimenti” rispetto al lavoro in Italia, parla della governativa “richiesta di superare i contratti nazionali” e dell’ “idea di peggiorare sempre la condizione pensionistica”, e anche lei menziona il fatto che “un giovane su tre non trova prospettiva di lavoro in Italia, al netto di quelli che hanno già fatto le valigie e sono andati all’estero”, dichiarando infine che la disoccupazione è “la vera emergenza del Paese e tuttavia il tema è continuamente svalorizzato: basta pensare ai dati della precarietà, ai numeri insopportabili sui voucher e anche agli infortuni e alle morti che sono tornate a crescere”.

Sembra infatti che per il momento gli unici lavori aumentati grazie al genio di Renzi siano quelli definiti “informali” e cioè il precariato e il lavoro in nero. E’ difficile progettare e proiettarsi nel futuro quando non si sa se domani si ricadrà nella disoccupazione; è difficile restare in Italia se si ha la possibilità di andarsene e di trovare un impiego decente e stabile all’estero, e se in Italia si resta è quindi ovviamente difficile staccarsi dalla famiglia di origine e condurre una vita indipendente: senza soldi, diceva la mia nonna materna, non si cantano messe.

L’incertezza agita la nostra società, chiosa (a singhiozzo) Diamanti: “Due italiani su tre ritengono inutile, oggi, affrontare progetti impegnativi, perché il futuro è troppo incerto e rischioso. Così, meglio concentrarsi sul presente. Cercando stabilità. Radicamento. (…) Così i dati di questo sondaggio trovano un senso, comunque, una convergenza. Intorno all’incertezza generata dall’eclissi, se non dalla scomparsa, del futuro.”, ma i giovani “Sono globalizzati, di fatto. Mentre i genitori e la famiglia, garantiscono loro un riferimento sicuro. Un posto dove tornare. Per poi partire di nuovo. Anche per questo, i giovani hanno meno paura della disoccupazione e della precarietà, rispetto alle generazioni più anziane. Anche se ne sono particolarmente colpiti. E appaiono meno preoccupati dei tempi dell’età pensionabile, che si allungano. I giovani. Non hanno “nostalgia” del futuro. Perché il futuro è davanti a loro. Mentre gli adulti e gli anziani il futuro ce l’hanno alle spalle.” Fine dell’articolo – rullo di tamburi – voce cavernosa che sale dagli inferi: Hai più di trent’anni (adulti e anziani)? Il tuo tempo è scaduto!!!

Dopo aver preso un paio di boccate dalla bombola di ossigeno – Come cazzo. Si fa. A scrivere. In questo. Modo. Persino le virgole. Sono buttate. A caso. – ho toccato ferro, fatto le corna e cercato quadrifogli… Il futuro è eclissato o non c’è, ma comunque io ce l’avrei alle spalle? Be’, le generali aspettative di vita nel mio Paese e per il mio genere mi danno altri venticinque anni abbondanti: tempo sufficiente a scrivere qualche altro libro, allevare qualche altro gatto, imparare qualche altra lingua, conoscere qualche altra amica, fare un altro po’ di femminismo. Se Diamanti pensa che starò seduta sulla soglia di casa a sospirare attendendo il Tristo Mietitore si sbaglia.

Infine: santo cielo, è logico che a essere più preoccupati siano la mamma e il nonno a cui questi giovani devono far continuo riferimento anche se non vogliono, anche se preferirebbero costruirsi una propria vita e non pesare sui familiari. Mamma e nonno guardano indietro e pensano: Alla sua età io ero indipendente e avevo formato una famiglia mia; poi guardano avanti, non vedono prospettive per le creature che hanno allevato e pensano: Cosa farà lei/lui quando noi non ci saremo più? Altro che nostalgia, mister, questa è l’angoscia per cui dobbiamo ringraziare la correttezza e la giustizia e l’avvedutezza con cui si governa il nostro Paese. Maria G. Di Rienzo

P.S. Sembra di essere tornati al 1977 – “God save the Queen”, Sex Pistols. Ripetete con me: No future, no future, / No future for you / No future, no future, / No future for me…

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