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Il Meccanismo europeo di stabilità fu approvato nel marzo 2011 durante il Governo Berlusconi IV (8 maggio 2008 – 16 novembre 2011). La Lega era nell’esecutivo con quattro ministri e cinque sottosegretari a inizio mandato e tre ministri, un viceministro e quattro sottosegretari alla fine. Era ministra persino l’altra che urla a perdifiato, Io-sono-Giorgia Meloni. La ratifica avvenne con il governo successivo, Monti.

Secondo la ditta Morisi & Salvini, com’è visibile dall’immagine, l’Italia sta invece approvando di continuo il Mes in una sorta di loop temporale a partire dal 12 settembre 2019.

Io non tollero più questa farsa imbecille. E voi?

Maria G. Di Rienzo

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E’ uscito “Big Heart, Strong Hands” – “Grande cuore, mani forti” della fotografa norvegese Anne Helene Gjelstad (35 sterline, 256 pagine, Dewi Lewis Publishing), che documenta vita quotidiana, azioni e visioni delle donne in quella che è considerata l’ultima società matriarcale in Europa.

Si tratta delle isole estoni Kihnu e Manija nel Mar Baltico, dove sono le anziane a curarsi di tutto quel che riguarda la terra e a prendere decisioni in merito, mentre gli uomini vanno per mare.

Anne Helene Gjelstad ha dedicato numerosi anni al progetto, che vede come il proprio “contributo a dar testimonianza di questa cultura unica e a preservarne il futuro”.

Due particolari delle sue fotografie e il testo relativo:

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“Lohu Ella è una delle maestre artigiane più rispettate di Kihnu. Sempre pronta a dare una mano, amichevole e gentile, con un gran cuore e un sorriso amabile, è una delle donne con cui ho passato più tempo e ho fotografato di più. Da lei ho appreso la cultura dell’abbigliamento delle donne: come fanno i loro copricapi, come mettono le loro gonne speciali, cosa indossano per dormire e come tengono al sicuro i loro tesori. Lohu Ella sta costantemente creando qualcosa. Ha persino confezionato per me un bellissimo costume Kihnu.”

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“Järsumäe Virve ha sempre amato gli animali e tutte le creature viventi. Non sa quanti gatti ha di preciso e persino i gatti delle vicine vengono da lei per mangiare. Ha due cani e un cavallo che corrono liberi nella sua proprietà durante la stagione calda. Quando diventammo amiche aveva anche due capre e le piaceva bere direttamente dal recipiente subito dopo averle munte. Mi spiegò quanto era salutare farlo e gentilmente condivise con me il latte tiepido.”

Maria G. Di Rienzo

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(7^ Conferenza mondiale sulle donne nello sport – l’8^ si terrà in Nuova Zelanda nel maggio 2022)

In questi giorni la stampa riporta quasi contemporaneamente l’addio al ciclismo della 25enne Maila Andreotti (venti titoli italiani su pista) e la denuncia di dieci bambine (dai 9 ai 14 anni) giocatrici di pallavolo: molestie sessuali e violenze psicologiche sono lo sfondo di ambo le notizie.

Per quel che riguarda la giovane ex ciclista gli articoli possono entrare nei dettagli – massaggiatori e allenatori guardoni, volgari, dalle mani lunghe e verbalmente violenti; delle ragazzine si sa solo che accusano l’allenatore di essere entrato di notte nelle loro stanze, per molestarle, durante un campeggio estivo.

Ho svolto un po’ di ricerche al proposito e ho scoperto che, a livello internazionale, di violenza di genere nello sport si parla da un bel pezzo, ma le parole – tutte giustissime – continuano a non tradursi in fatti concreti:

1998 – La seconda Conferenza mondiale sulle donne nello sport adotta un documento chiamato Windhoek Call for Action (“Chiamata all’azione di Windhoek”, Namibia, ove si tenevano i lavori), ove si chiede a tutti i soggetti coinvolti nelle attività sportive di assicurare “un ambiente sicuro e di sostegno per le ragazze e le donne che fanno sport a ogni livello, intraprendendo misure atte a eliminare tutte le forme di molestia e abuso, violenza e sfruttamento”;

2005 – Al Parlamento Europeo passa una risoluzione che chiede con urgenza a stati membri e federazioni sportive di “adottare misure per la prevenzione e l’eliminazione delle molestie sessuali e degli abusi nello sport”, fra cui “l’informare le atlete e gli atleti e i loro genitori dei rischi di abuso e dei mezzi legali disponibili al proposito” e “il fornire addestramento specifico agli staff delle organizzazione sportive”;

2007 – Il Comitato olimpico internazionale rilascia un comunicato in cui attesta che:

“Molestie sessuali e abusi accadono in tutti gli sport e ad ogni livello”, “Membri dell’entourage dell’atleta che sono in posizioni di potere e autorità appaiono come i principali perpetratori”, “Le ricerche dimostrano che molestie sessuali e abusi hanno un serio e negativo impatto sulla salute psicologica e fisica dell’atleta. Può dare come risultato la compromissione delle performance e condurre all’abbandono dello sport da parte dell’atleta. I dati clinici indicano come gravi conseguenze malattie psicosomatiche, ansia, depressione, abuso di sostanze, autolesionismo e suicidio”;

2016 – Esce la relazione finale dello “Studio sulla violenza di genere nello sport” condotto da apposita Commissione Europea:

La discriminazione subita dalle sportive di ogni età in ogni disciplina “è endemica”, ha spiegato una delle atlete che hanno partecipato allo studio, “a causa dello sbilanciamento nelle opportunità disponibili, nel denaro investivo, nelle attrezzature fornite, nella copertura dei media, nell’importanza posta sugli eventi, nel modo in cui gli allenatori e i dirigenti agiscono, e dei pregiudizi consci e inconsci che si ripetono ogni singolo giorno”. L’industria sportiva nel suo complesso percepisce le donne che ne fanno parte come inferiori, qualsiasi sia il loro ruolo. Devono superare se stesse e andare oltre ogni limite per essere considerate “qualificate” come i loro colleghi uomini: la società considera lo sport “intrinsecamente maschile”. (Per esempio, se cercate su internet qualcosa come “donne nello sport” per immagini, i primi risultati sono “grid girls”, majorettes, reggiseni, disegni e foto dall’alto grado di oggettivazione sessuale.)

Violenze e abusi, ribadisce lo studio europeo, sono conseguenze dirette della classificazione degradata delle donne.

Maria G. Di Rienzo

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Guardando meglio queste ragazze magnifiche, ho notato che, pur combattenti e in divisa mimetica, non hanno perso per nulla la loro cara e delicata femminilità, sono sempre tutte belle, e tali rimarranno in eterno.

A “guadagnare” questo commento è un’immagine di sei giovani donne curde armate, accompagnata da un breve testo che ricorda la loro morte e le violenze da loro subite, che sta girando sul web. Potrà sembrare banale e persino assurdo che io scelga altrettanto brevemente di parlarne stante la situazione attuale, ovvero l’invasione militare turca nel nordest della Siria. Potrei scrivere di come l’Europa abbia ingozzato di armi mister Erdogan, ne abbia ignorato la gestione dittatoriale del potere e le sue ricadute sul popolo turco, ed ora manifesti un tardivo sdegno – quando i segni di ciò che sarebbe accaduto (la guerra) erano evidenti da un pezzo. Tuttavia vi sono altri/e che possono farlo e lo fanno assai meglio di me.

Quel che voglio dire qui, come donna e come femminista e come essere umano, ai cantori della “bellezza” delle giovani curde scomparse è: perché non potete fermarvi neppure di fronte alla morte?

Credete che i loro parenti, amici, amati ancora vivi riceverebbero consolazione dal leggere le vostre uscite? Mia figlia è morta in modo atroce, ma era giovane e magnifica e delicatamente femminile, adesso che è un cadavere nulla di tutto questo si guasterà con l’età, sarà “bella in eterno”.

Se l’immagine in questione mostrasse sei combattenti di mezz’età, sei donne civili in fuga dal conflitto con bimbi terrorizzati fra le braccia, sei scolarette delle elementari davanti a una scuola distrutta, sei nonne… avrebbero costoro ricevuto in modo identico la vostra compassione? Se le giudicaste brutte la vostra reazione sarebbe stata “chissenefrega”?

Cosa diamine è la femminilità di cui parlate? Si compone di accessori e abbigliamento e trucco? Si può acquisire semplicemente appendendosi una borsetta al braccio e infilando scarpe con il tacco, e perderla in mimetica?

La “bellezza” di cui vaneggiate è un costrutto sociale che funziona come una macina da mulino appesa ai nostri colli di donne: non fa altro che tenerci piegate, che trascinarci in basso, che impedirci il movimento e più spesso di quanto si voglia ammettere ci affonda in un fiume di sofferenze – e lì, sovente, ci uccide.

Maria G. Di Rienzo

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“Si assiste a una escalation della criminalizzazione delle condotte che è iniziata dall’immigrazione, dalle frontiere, ed è giunta alle riunioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero nelle piazze cuore del paese e luoghi dove i cittadini esprimono opinioni.

Questo peggiorato clima di relazioni sociali, che vede nella sola repressione di condotte ritenute devianti o comunque difformi ed in contrasto con il pensiero e i desiderata di chi governa, rischia di portare alla strumentalizzazione delle forze dell’ordine, viste come braccio armato e violento dell’esecutivo del momento, quasi a voler far tornare indietro di quarant’anni la storia. Il Silp si oppone a questo snaturamento della funzione democratica di tutela di tutte le persone e della civile convivenza.”

Daniele Tissone, segretario nazionale Silp Cgil, 6 luglio 2019

Da sette giorni aspetto che il Ministro Iperconnesso, Mago Salvì che fa sparire 49 milioni di colombe sotto una felpa – e infatti attorno a lui girano solo falchi – commenti “Bravo, questo poliziotto ha colto il problema, io sto con le forze dell’ordine!” Niente. Ne’ una diretta FB, ne’ un tweet.

Mentre attendevo, ho letto le trascrizioni dell’incontro italo-russo fra faccendieri (18 ottobre 2018) che al di là del proposito di finanziare la campagna elettorale leghista, spiega come il Ministro abbia altro da fare.

Gianluca Savoini, ex portavoce di Salvini, presidente dell’associazione Lombardia-Russia: “Salvini è il primo uomo che vuole cambiare tutta l’Europa. (…) Stiamo davvero cambiando la situazione in Europa. Ed è impossibile che ciò si arresti. La storia sta marciando, quindi è impossibile. È davvero un new deal, una nuova situazione, un nuovo futuro per noi. Siamo al centro di questo processo. Ma abbiamo molti nemici, siamo in una situazione pericolosa perché il nostro governo è attaccato da Bruxelles, dagli uomini globalisti, non da Trump, ma dall’establishment di Obama… molto, molto fortemente e internamente anche in Italia. Siamo in [inudibile] pericolosa/o… non è così semplice, ma vogliamo combattere perché siamo dalla parte della verità.”

Uno dei suoi accompagnatori: “Se avete qualche gulag, vi possiamo mandare qualcuno dall’Italia. Il gulag. Gulag. È uno scherzo, ma se avete un gulag, vi mandiamo un mucchio di gente.”

La “verità” ha bisogno di soldi e di campi di concentramento. Un Paese può ben andare a rotoli, per tale nobile scopo.

Maria G. Di Rienzo

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(“Women never invented anything”, Radical Girlsss, 1.5.2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Radical Girlsss è “un movimento multietnico, laico, femminista radicale di giovani donne e ragazze” formatosi all’interno della Rete Europea delle Donne Migranti – European Network of Migrant Women.)

RADICALGIRLSSS

Per tutte le nostre vite, come ragazze, come giovani donne, ci è stato detto di continuo che le donne non hanno mai inventato, non hanno mai creato, non sono mai esistite.

Quando eravamo bambine e abbiamo cominciato a leggere, i libri ci hanno insegnato che i maschietti potevano fare qualsiasi cosa – esplorare e conquistare, combattere l’ingiustizia, salvare altri e se stessi. Quegli stessi libri non hanno mai mostrato che le bambine erano in grado di fare lo stesso. Ci hanno fatto credere che il nostro ruolo fosse lo starcene ad aspettare che un ragazzo arrivasse a salvarci. Perché nei libri e nelle fiabe le solo donne con del potere sono le streghe e ci si dice che le streghe sono cattive. Sono destinate a essere brutte, meschine e sempre sole.

Quando eravamo bambine e siamo andate a scuola per la prima volta, ci siamo guardate attorno e tutto quel che abbiamo visto erano maschietti – che correvano in giro, occupavano lo spazio come se appartenesse a loro, esploravano e conquistavano proprio come nei libri che leggevamo. Le femminucce? Eravamo inchiodate ai lati, sempre discrete, sempre calme, perché da una bambina ci si aspetta questo, giusto? Graziose, con bei vestitini che ci impediscono di correre, belle acconciature che ci impediscono di vedere. Tenere e dolci, incapaci di difendere noi stesse quando i bambini arrivavano a sollevarci le gonne o a imporre baci, non in grado di ricevere aiuto perché gli adulti guardavano invariabilmente da un’altra parte e dicevano: “I maschi sono fatti così”.

Quando eravamo bambine e abbiamo cominciato a parlare, abbiamo imparato il francese, una lingua in cui le donne non ci sono, una lingua che ha regole del tipo “la forma maschile ha la precedenza sulla forma femminile”. Quando siamo cresciute e abbiamo imparato altre lingue abbiamo capito che non si tratta solo del francese. Nella maggior parte delle lingue le donne non esistono.

Quando eravamo bambine e amavamo andare a lezione, amavamo anche apprendere la storia e la letteratura, le scienze e le arti. Ma ci è stato detto solo quel che hanno creato gli uomini. Quel che gli uomini hanno fatto per la storia, quel che gli uomini hanno inventato… nessuno ci ha mai detto di Alice Guy, che ha inventato il cinema quale lo conosciamo oggi, ne’ di Nelly Bly che ha rivoluzionato il giornalismo contro ogni avversità, ne’ di Emmy Noether che è stata cruciale per lo sviluppo della matematica, ne’ di Mary Andersen, Maria Telkes, Grace Hopper, Stephanie Kwolek, Ann Tsukamoto…

Non abbiamo mai saputo che le donne hanno inventato zattere di salvataggio, refrigeratori, macchine per fare il gelato, sistemi per elaborazione di dati, tecnologia delle telecomunicazioni, trasmissione senza fili, video sorveglianza, seghe circolari, riscaldamento centrale, razzi di segnalazione, vetro trasparente, ponti sospesi, sottomarini…

Non abbiamo mai saputo di aver scoperto la struttura del DNA, il codice genetico dei batteri, la composizione chimica delle stelle, la terapia per il virus del papilloma umano, i cromosomi X e Y.

Non abbiamo mai saputo di Enheduanna, la prima scrittrice conosciuta, di Fatima el Fihriya che ha fondato la più antica delle università, di Trotula da Salerno che fu una delle prime a parlare di salute delle donne e ginecologia.

Non abbiamo mai imparato delle donne coraggiose e forti che lottarono contro la colonizzazione in ogni singolo continente: Fatma N’Souer in Algeria contro i francesi, Manuela Saenz in Sudamerica contro gli spagnoli, Tarenorerer in Australia contro gli inglesi.

Non abbiamo mai saputo di aver combattuto guerre e viaggiato, esplorato e scoperto, non abbiamo mai saputo di aver guidato popoli e eserciti, di aver ispirato e creato. Non abbiamo mai saputo di aver volato e navigato, di essere state pilote e pirate… non l’abbiamo mai saputo perché nessuno ce l’ha detto.

Per tutte le nostre vite, come bambine e ragazze, come giovani donne, ci è stato detto che andava così, che “le donne non hanno mai inventato nulla”. Non abbiamo mai visto esempi femminili forti e complessi nei libri di storia, in televisione, alla radio, in politica, nei musei, al cinema… non ci siamo trovate da nessuna parte.

Si dice spesso che le bambine cominciano a considerarsi inferiori ai bambini attorno ai sei anni. E perché non dovremmo, quando tutto è fatto per limitare il nostro universo? In un mondo in cui tutto è maschile, dai nomi delle nostre strade ai personaggi dei libri che amiamo, dagli dei ai presidenti, in che modo potremmo sognare noi stesse come forti, ispiratrici, complete?

Pensiamo a tutte queste donne che sono state cancellate… Tutte queste donne che a noi è impedito ammirare o aspirare a divenire. Le loro stesse esistenze sono annientate per indurci a credere che non possiamo realizzare nulla, che esistiamo solo per essere belle e prenderci cura degli altri… avremmo voluto conoscerle tutte prima, imparare i loro nomi. Tutte queste donne che hanno fatto la storia ma sono state dimenticate. Artiste, scienziate, attiviste, eroine, sopravvissute che sono scomparse dalla nostra memoria collettiva a causa del sessismo.

Come donne, crediamo di avere il dovere di raccontare le loro storie, di tutte loro. Alle nostre sorelle, alle bambine attorno a noi e al mondo. Perché parlare di loro è parlare di noi stesse. E’ riprenderci le nostre voci e i nostri posti. E’ riprenderci le nostre vite.

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Quando ieri ho letto che il sig. Salvini ha dichiarato di aver “affidato l’Europa a Maria”, la mia mente ha prodotto alcune buffe – sarcastiche – amare riflessioni.

La prima (giacché è il mio nome): “Veramente non ricordo mi avesse chiesto niente.”

La seconda: “Maria è la dog sitter e Europa è una femmina di alano.”

La terza: “Si riferisce a Maria di Nazareth come se fosse al suo servizio.”

La quarta: “Maria era palestinese.”

Alla fine degli anni ’90, uscì per Harper & Collins “Women in the Bible” – “Donne nella Bibbia”, di Elizabeth Fletcher. Insegnante di religione per un decennio, finissima studiosa, con questo testo calava nella realtà storica i personaggi femminili del Vecchio Testamento, contestualizzandoli.

Bedouin girl

La sua descrizione di Maria di Nazareth è online dal 2006 e la foto sopra è una di quelle che Fletcher ha usato per darci un’idea di come Maria fosse realmente (anche le altre immagini in questo articolo hanno tale scopo). Ve ne traduco un piccolo pezzo:

Chi era Maria di Nazareth?

Dipende da a quale Maria vi riferite. Ce ne sono due:

– una ragazza ebrea di campagna vivente in una remota provincia dell’Impero Romano, e

– la semidea Vergine Maria, nelle chiese cristiane in tutto il mondo.

Questa pagina descrive la prima.

Che aspetto aveva Maria?

Maria, la futura madre di Gesù di Nazareth era una giovane campagnola, probabilmente alta meno di un metro e mezzo, con lucidi capelli neri oliati e divisi nel centro, con la scriminatura dipinta di rosso o porpora. Doveva essere vigorosa, robusta, con piccoli seni paffuti e forti mani scure rese callose dal lavoro. (…)

Peasant woman Ramallah

La sua lingua era l’aramaico. Maria lo parlava con ampio accento galileo, sdegnato dai sofisticati abitanti di Gerusalemme. Doveva essere una che parlava molto e in modo convincente: essere capaci di parlar bene è sempre stata un’abilità apprezzata fra gli ebrei. Maria l’avrebbe pensata allo stesso modo. La sua era una società “orale” dove storie, preghiere e poesie si imparavano a memoria anziché leggendo. Il grande nemico delle società antiche era la noia. Raccontare storie e avere conversazioni significative erano modi per tenere la noia alla larga. Una buona chiacchierata era il passatempo principale. Essere capace di intrattenere le persone ti rendeva prezioso – poiché prima o poi chiunque si annoiava prima che inventassero la carta stampata. (…)

Maria viveva in una famiglia allargata. C’erano almeno otto o dieci persone a dividere la casa. Il nucleo familiare odierno semplicemente non esisteva. Non avrebbe funzionato. C’erano troppe faccende che necessitavano il lavoro collettivo di più persone.

Siamo così abituati ai dipinti di una Maria solitaria o di una Sacra Famiglia di tre persone da aver dimenticato che Maria veniva da una larga famiglia/comunità di Nazareth. Maria e le donne della sua famiglia lavoravano insieme negli stessi modi, condividendo tutto. Il suo lavoro non era limitato alla casa. La Galilea, dove lei viveva, era il paniere del regno ebraico. C’erano frutteti, boschi di olivi e vigne di cui curarsi e naturalmente le coltivazioni di grano piantate e mietute annualmente. Le donne facevano un mucchio di lavoro nei campi. (…)

peasant girl palestine

All’età di 11 o 12 anni, Maria ebbe le prime mestruazioni. Ciò significa che era in età da matrimonio, in aramaico una betulah. Il termine corrispondente in ebraico, l’antica lingua dei testi religiosi, è almah. Ricordate questa parola. Significa “giovane donna in età da marito” – poteva essere vergine, ma non necessariamente. (…)

Era scontato che Maria si sarebbe sposata. Dio aveva dato il comandamento “crescete e moltiplicatevi” a Noè, perciò gli ebrei credevano fosse loro dovere sposarsi e avere bambini. Ogni persona che passava i vent’anni senza essere sposata non stava compiendo la volontà di Dio – il che fa riflettere su Gesù, se fosse sposato o no o chi avrebbe potuto sposare. (…)

La gente nei tempi antichi sapeva che era pericoloso per una donna partorire prima dello sviluppo completo del suo giovane corpo. Poteva ricavarne una disabilità permanente.

Così (dopo il fidanzamento) il matrimonio era differito, usualmente di un anno. In questo periodo non c’erano contatti sessuali fra i due promessi.”

Ma, come sapete, Maria resta incinta. Elizabeth Fletcher sottolinea che le donne della famiglia, grazie anche ai rituali (abluzioni ecc.) e alle necessità relative alle mestruazioni, devono essersi accorte subito che qualcosa non andava. Al di là dello Spirito Santo e della nascita miracolosa da una vergine – concetto che entra successivamente sulla scena narrativa per ragioni teologiche: in questo modo Gesù poteva essere equiparato a divinità precedenti che parimenti vantavano nascite miracolose senza perdere nel confronto – quel che abbiamo è una fidanzata incinta non dell’uomo che sta per sposare e quindi delle nozze messe in discussione.

Ci sarebbe molto altro nell’affascinante e preciso saggio di Fletcher, ma per i miei scopi è sufficiente fermarsi qui. Il finale recita:

“La contadina della Galilea, con i suoi piedi sporchi e la sua figura tarchiata, è stata completamente dimenticata. Durante i secoli, un’altra donna è apparsa al suo posto – innocua, distaccata e amorevole allo stesso tempo, sontuosamente vestita, quasi sempre con un solo bimbo fra le braccia (lo scritto ipotizza con buon margine di probabilità che Gesù non fosse figlio unico).

E’ impossibile riferire questa dea serena a quel che Maria è stata durante la sua vita, una ragazza “disonorata” che si trovò ad essere la madre di un estremista religioso giustiziato come criminale.

Il mondo cristiano ha fatto di Maria una dea, dando all’immagine di lei la forma che serviva ai suoi bisogni. La donna reale è stata persa nelle nebbie del tempo.”

Riassumendo: lo zelota della Padania indipendente ha “affidato l’Europa” – come fosse qualcosa di suo – a un’ebrea palestinese così totalmente diversa dalle sue fidanzate o dalle sue lacchè “giornaliste”, che se la incontrasse per strada la farebbe portar via dalla Digos o le metterebbe in mano di persona un decreto di espulsione.

Maria G. Di Rienzo

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Sto per andare a votare. Insegnanti e studenti censurati, giornalisti picchiati dalla polizia, diritti negati, corruzione imperante; crescono morti sul lavoro, crescono violenza contro le donne, violenza nella società e violenza nelle relazioni interpersonali. Sto per andare a votare perché voglio un’altra Italia e un’altra Europa.

I Love Europe

Sto per andare a votare perché vedo i segnali d’allarme e non posso sottovalutarli. Voglio avere il coraggio di guardare negli occhi la paura di un nuovo totalitarismo – e sconfiggerla. Spero che voi facciate altrettanto. Maria G. Di Rienzo

Quando danzavamo insieme

eravamo angeli

le nostre ali erano argento

le nostre ali erano madreperla

e danzavamo

Parlavamo in molte lingue

e danzando cantavamo

cantavamo del miele sulla strada

cantavamo della gioia del popolo

cantavamo di pace

Ora chiudiamo i confini

escludiamo lo straniero

rifiutiamo i nostri fratelli

puniamo le nostre sorelle

scuotiamo le teste

C’è ghiaia nelle nostre bocche

non diciamo alcuna cosa gentile

non abbiamo ali

non danziamo

Cosa siamo diventati?

(Peter Ulric Kennedy, “After the Fall” – “Dopo la caduta”, trad. M.G. Di Rienzo.)

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Wave (“Onda”, acronimo inglese di “Donne contro la violenza Europa” – vedi anche https://lunanuvola.wordpress.com/2016/06/02/un-passo-avanti/) ha rilasciato nel marzo 2018 il rapporto annuale sulla situazione attuale dei servizi disponibili per le donne europee che hanno subito violenza. Gli standard usati per le valutazioni sono quelli della Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha firmato nel 2012 e ratificato l’anno successivo.

“Un rifugio per le donne – si legge nel documento – è un servizio specifico per le donne sopravvissute alla violenza e i loro figli, se ve ne sono, che fornisce alloggio sicuro e sostegno di rinforzo, basato su una comprensione di genere della violenza e concentrato sui diritti umani e la sicurezza delle vittime. (…) La Convenzione di Istanbul, all’art. 23, richiede il fornire rifugi appropriati e facilmente accessibili per le donne e i loro eventuali figli in numero sufficiente e raccomanda la disponibilità di alloggi sicuri in ogni regione; il rapporto esplicativo della Convenzione specifica che 1 posto letto dev’essere disponibile ogni 100.000 abitanti. Tuttavia, specifica anche che il numero di posti nei rifugi dovrebbe dipendere dalle reali necessità. Questa disposizione sottolinea altamente la ragione per cui una raccolta dati adeguata ed esauriente sulla violenza contro le donne e sui servizi specialistici di sostegno è così importante: senza una corretta dimostrazione dell’impatto e dell’estensione della violenza contro le donne, la fornitura di servizi e di conseguenza i finanziamenti saranno pure insufficienti.

“Su 43 paesi europei – dice ancora il documento – solo 7 (il 16%) soddisfano i requisiti minimi dell’offerta di posti letto nei rifugi in accordo alla Convenzione di Istanbul”. L’Italia non è fra i 7:

“Popolazione totale – 60,665,551

Soddisfa i requisiti minimi- No

Numero di rifugi per le donne – 258

Posti letto nei rifugi per le donne – 680

Posti letto necessari – 6.067

Posti letto mancanti – 5.387

Percentuale di posti letto mancanti – 89%”

Tanto perché si sappia: “I rifugi gestiti dalle organizzazioni non governative di donne che sono esperte di violenza di genere forniscono il sostegno più efficiente alle donne (e ai loro bambini) che stanno fuggendo dalla violenza domestica. (…) Per decenni, in Europa, le ong delle donne sono state in prima linea nel difendere i diritti delle donne e nel proteggere le sopravvissute alla violenza di genere. Grazie alla loro lunga storia ed esperienza, le organizzazioni delle donne hanno fermamente provato se stesse quali esperte sul campo e hanno acquisito profonda conoscenza e comprensione dell’epidemia globale di violenza contro le donne.” E secondo l’art. 8 della Convenzione di Istanbul dovrebbero ricevere finanziamenti statali per il loro lavoro… ma sono le terribili femministe, untrici che diffondono la piaga-giender, si ubriacano con fiaschi di lacrime maschili e perseguitano i divorziati/separati con prole. Perciò non dovete preoccuparvi che i soldi delle vostre tasse siano inghiottiti da questa fornace infernale basata ovviamente su una bolla mediatica e sullo strapotere delle donne che oggi comandano tutto, lo stato italiano se ne frega:

“Il finanziamento statale (ndt. in Italia) non è affatto sufficiente e non è mai fornito direttamente ai rifugi, ma distribuito solo tramite altre istituzioni regionali, senza alcuna chiara indicazione su come i fondi debbano essere distribuiti ai rifugi. Questo causa grandi differenze da regione a regione nelle somme fornite, in assenza di regole e criteri trasparenti, e alcune regioni non finanziano per nulla i rifugi.”

Se volete sapere di più su come il nostro paese in particolare e l’Europa in generale maneggiano la violenza di genere, il link al lavoro completo è questo:

http://fileserver.wave-network.org/researchreports/WAVE_CR_2017.pdf

Se volete avere un’idea del costo che la violenza di genere nuda e cruda (non il finanziamento ai servizi di sostegno, gli atti criminali in se stessi) impone alle economie in tutto il mondo, potete leggere il rapporto 2018 di Care International – “Counting the Cost: The Price Society Pays for Violence Against Women”:

https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/Counting_the_costofViolence.pdf

Consiglio ambo i lavori soprattutto ai giornalisti / alle giornaliste, perché troveranno materiale sufficiente per un’annata di “inserti donna” e “speciali donna” attualmente stipati di rossetti estivi, bikini di star, amori da red carpet e inviti sommamente intelligenti e trasgressivi – con ironia, però – a “ribellarsi a chi ci vuole ribelli”. Maria G. Di Rienzo

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(estratto da: “Ancient (Egalitarian) Societies, Modern (Women’s) Marches”, un ampio e dettagliato saggio di Liz Fisher per Patheos, 24 gennaio 2018, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo)

Gli eventi al giorno d’oggi si muovono velocemente ma hanno anche una qualità “spiraliforme attraverso il tempo”. Sono stata colpita, di recente, dalla sincronia di due nuovi sviluppi: uno che riapre l’interpretazione delle prime culture come devote alla natura e centrate attorno alla Dea, e l’altro consistente in un’impennata nella cultura contemporanea di donne che asseriscono il loro diritto a relazioni di genere egualitarie.

Il primo è stata una recente presentazione all’Università di Chicago, da parte di un prominente archeologo britannico, dei risultati delle analisi sui ritrovamenti di DNA nell’antica Europa neolitica e del loro influsso sul suo sviluppo. Il secondo è stato l’esprimersi attraverso il mondo, durante l’ultimo fine settimana e nel gennaio scorso, di milioni di donne che manifestavano per l’eguaglianza e la giustizia sociale, sostenute da uomini e bambine/i che partecipano alle dimostrazioni.

Chi di noi crede in relazioni di eguaglianza fra tutti i popoli e nella sacralità della Natura si interessa anche nelle antiche culture egualitarie descritte da Marija Gimbutas, una fine e rinomata archeologa. La dott. Gimbutas è stata l’autrice di 20 libri e più di 200 articoli sulla preistoria e sul folklore europei. Era un’autorità sulle incursioni preistoriche di popoli che parlavano l’indo-europeo in Europa, e di come cambiarono le società in loco.

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(Marija Gimbutas)

La dott. Gimbutas ha assemblato, classificato e interpretato circa 2.000 reperti simbolici dai villaggi neolitici in vari siti europei. Ha analizzato le culture patriarcali e le ha confrontate con le società pacifiche che le sue ricerche hanno scoperto nell’Europa dell’est, in Turchia, a Malta e altrove. La dott. Gimbutas sosteneva che le pacifiche comunità della Vecchia Europa, devote a una Dea Madre, erano state invase e violentemente sopraffatte da tribù patriarcali che onoravano un Padre Creatore. Lei la chiamò la “teoria Kurgan”.

Ora è stato confermato dai test sul DNA che i Kurgan adoratori del dio del cielo invasero in effetti le culture della Vecchia Europa. Il dott. Colin Renfrew, archeologo dell’Università di Cambridge e un tempo uno dei più grandi oppositori di Marija Gimbutas ora proclama che le nuove prove relative al DNA vendicano e validano il suo lavoro, almeno per quanto riguarda l’aspetto chiave delle invasioni.

Dice Joan Marler, editrice del secondo importante libro di Gimbutas: “La civiltà della Dea”: “Definendo la Vecchia Europa come fondamento della civiltà europea, e ipotizzando l’inizio del patriarcato come fenomeno successivo, simultaneo all’indo-europeizzazione del continente, la “teoria Kurgan” di Gimbutas sfida la dottrina che sostiene come la dominazione maschile abbia funzionato da storia originario per la civiltà occidentale.”

Nel suo libro “Il linguaggio della Dea”, pubblicato nel 1989, Gimbutas dice: “La Dea in ogni sua manifestazione era un simbolo dell’unione di tutta la vita in Natura. Il suo potere era nell’acqua e nella pietra, nella tomba e nella caverna, in animali e uccelli, serpenti e pesci, alberi delle colline e fiori. Da qui l’olistica e mitopoietica percezione della sacralità e del mistero di tutto ciò che esiste sulla Terra. Pace e nonviolenza erano le caratteristiche di queste culture. Ne “Il linguaggio della Dea” dice ancora: “Questa cultura provava profonda delizia nelle meraviglie di questo mondo. La sua gente non produceva armi letali ne’ costruiva fortezze come fecero i loro successori, neppure quando presero dimestichezza con la metallurgia. Invece, costruivano magnifiche tombe-altari e templi, case confortevoli in villaggi di media entità, e creavano superbe ceramiche e sculture. fu un lungo e durevole periodo di notevole creatività e stabilità, un’era priva di lotte. La loro cultura era una cultura dell’arte.”

Ggantija Temples - Malta

(Malta)

Un’altra fonte di informazione e ispirazione sulla relazione fra antiche culture e preoccupazioni moderne è il lavoro di Riane Eisler, che lei offre sul suo sito “Center for Partnership Studies”. Il suo libro bestseller “Il Calice e la Spada” celebra ora il proprio 30° anniversario ed è stato ripubblicato con nuovo epilogo scritto da Eisler che discute le antiche culture e la loro rilevanza al giorno d’oggi. Altri libri di Eisler, incluso “La vera ricchezza delle nazioni: creare un’economia di cura”, affronta le preoccupazioni di coloro che hanno marciato e si sono organizzati attorno a tali questioni contemporanee. Tutto ciò fornisce lezioni che si collegano a ciò che stiamo attraversando attualmente? Io credo di sì. Ricordo di essere cresciuta con la visione patriarcale monoteistica della religione come l’unica possibile storia sacra. Essa lasciava fuori la femmina, e per estensione me stessa e tutte le donne, da ogni aspetto positivo della storia della creazione.

I corpi femminili erano rappresentati come tentazioni ad allontanare il maschio religioso da dio. La guerra era inevitabile. Poi abbiamo udito una storia diversa, una storia più antica, confermata dalle scoperte di Marija Gimbutas. Ascoltare questa narrazione in presenza di altre persone, mentre sedevamo in circoli spirituali, ha creato uno spostamento di paradigma.

La nuova prospettiva ridava alle donne innocenza (ndt. nel senso di non essere colpevoli in quanto femmine), rispetto di noi stesse e apprezzamento per i processi messi in atto dai nostri corpi sacri. Ci ricordò la nostra responsabilità di impegnarci nella società e nel mondo. Queste narrazioni attraggono anche gli uomini che sono in grado di abbandonare la tradizionale storia di dominio dei maschi sulle femmine e di reclamare le proprie qualità di cura.

Muovendoci in avanti al giorno d’oggi, il 20 e 21 gennaio le marce attraverso tutta l’America del nord e il mondo sono state trasmesse dalle televisioni. Le frasi #MeToo e #TimesUp, come protesta contro l’abuso sessuale delle donne, le avevano in mente molte partecipanti. I cartelli chiedevano anche attenzione alle politiche sull’immigrazione e ai diritti delle persone LGBT. Ai raduni si è chiesto alle donne di presentarsi alle elezioni per le posizioni chiave a ogni livello di governo. Le relatrici hanno affermato i contributi delle donne a diverse istituzioni sociali e alle famiglie. Uno dei fulcri principali delle proteste era il diritto delle donne a controllare i propri corpi.

A me sembra che le prove del DNA confermanti aspetti della ricerca della Prof. Gimbutas, che ci invitano a riconsiderare le antiche società in cui la donna era onorata, e la ripresa del Movimento delle Donne promuovano entrambe azione. Ciò si estende a reclamare la natura sacra di tutta la creazione e il diritto delle donne a partecipare pienamente a tutte le aree della vita sociale.

La prova che sono esistite società pacifiche in cui donne e uomini erano capaci di esistere e di fiorire insieme, in una cooperazione fra eguali, continua a ispirarci. Siamo tutte invitate a continuare a far sentire le nostri voci ovunque e comunque possiamo.

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