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Posts Tagged ‘elezioni regionali 2015’

Les jeux sont faits, rien ne va plus, e le noiosissime discussioni per stabilire “di chi è la colpa” di questo o quel risultato elettorale cominciano a mostrare – fortunatamente – quei segni di stanchezza che ne fanno presagire la fine. Passati 2/3 giorni dalla chiusura delle urne, i giornali si ricordano di contare le donne elette e scoprono che sono una su cinque. Come mai la politica resta un ambito maschile, si chiedono, mentre citano IL presidente umbro Catiuscia Marini (evidentemente una persona F—>M), dicono che niente GLI è stato perdonato riferendosi ad Alessandra Moretti (come sopra) la quale, buon dio, è UN AVVOCATO (come sopra) e disquisiscono del “cosiddetto sesso debole” (una terminologia che pensavo sepolta nella pattumiera della storia, sono sempre troppo ottimista).

Naturalmente, la prima risposta offerta da giornalisti/e e candidati/e è che la “preferenza di genere” non aiuta le donne: difatti, ci si preoccupa di divisare doppie candidature o quote perché i numeri delle italiane in politica sono esorbitanti, direi persino eccessivi – e dove lo stratagemma non è stato adottato, come in Puglia, tali numeri sono infatti andati a picco. La seconda risposta, altrettanto ovvia, è che la colpa è delle elettrici: non hanno votato queste loro simili scelte da segreterie di partito in basi a criteri che con la politica delle donne non hanno niente a che vedere, e neppure con la politica in generale, chissà come mai. Sarebbe bastato guardare i manifesti/santini elettorali dove aspiranti pin-up si sono contorte in pose da calendario Pirelli e hanno sporto i labbroni siliconati per mandarci bacini; sarebbe bastato leggere gli slogan scelti per tale propaganda elettorale, tipo “Non votare tua cugina, io non sono tua cugina” e “Provaci con una donna”…

Per le selezioni di Miss Qualchecosa o il casting di un film porno queste candidate andavano tutte benone, purtroppo noi elettrici volevamo sentir parlare del lavoro delle donne, della sanità pubblica, della pubblica istruzione, della violenza di genere, delle politiche economiche del governo. Ma se tu sei stata scelta in base al “mmmh che gnocca” di qualche funzionario di partito e ti rivolgi al tuo elettorato sperando di suscitare la stessa reazione è chiaro che alle altre donne non hai niente da dire sugli argomenti succitati e che la tua eventuale presenza in un Consiglio regionale o in Parlamento non cambia di una virgola “l’ambito maschile” della politica. Giochi alle stesse regole. Essere maschi è un’eccellenza a te preclusa e l’unica tua opzione per restare in gioco è essere gradevole ai loro occhi, perciò ti opponi alla sessuazione del linguaggio (che oltre ad essere corretta comincerebbe, tra l’altro, a rendere accettabile l’idea di uno spazio decisionale misto) e vaneggi sulla necessità per le donne in politica di essere “belle, brave, intelligenti ed eleganti” – Moretti Ladylike docet. Niente di tutto ciò è richiesto agli uomini che vogliano fare politica, se non è un doppio standard – punitivo per le donne – questo non so cos’altro lo sia.

Quindi, caro signor impiegato del Corriere della Sera – per essere definito un giornalista magari impari prima la grammatica italiana: lei/le, lui/gli – che suggerisce fra le righe (2 giugno u.s.), in una presa per i fondelli spacciata come articolo di approfondimento, sia stata l’invidia per il “viso bellissimo” di Alessandra Moretti e la frustrazione perché non le assomigliamo ad indurci a non votarla, direi che ora può ampliare la sua prospettiva sulle dinamiche elettorali. Lo sguardo maschile potrà anche credere di essere assoluto, e di certo si sforza di essere normativo con una ferocia che supera di lunghezze cosmiche quella – secondo lei – esercitata nelle critiche a Moretti, ma si sbaglia. Come elettrice, per esempio, io non misuro i tacchi della Ministra Boschi (lei sì: “scarpe rosse e tacco a spillo di almeno 14 centimetri”, imperdibile notizia!), valuto il suo operato. E se tale operato non mi soddisfa, non va nella direzione di un’Italia meno indecente, peggiora le mie e non solo mie condizioni di vita giorno dopo giorno, sai cosa me frega se gli uomini la trovano “mmmh gnocca” o no: NON LA SOSTENGO, NON LA VOTO E LA CRITICO. Politica. Po-li-ti-ca. Chiaro? Non fashion show. Maria G. Di Rienzo

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Domenica 31 maggio, 17 milioni di italiane/i saranno chiamate/i alle urne in 7 Regioni e 1.089 Comuni. Alla Regione Veneto, nel 2010, eleggemmo ben 4 donne (sono ironica) e tutte decisamente consapevoli del proprio ruolo politico e del proprio mandato elettorale, preparatissime e pronte a fare quanto in loro potere per migliorare le vite delle donne e quindi della comunità intera (sono mooolto ironica). Erano Laura Puppato del PD, che dopo aver spalancato le porte dei consultori pubblici ad un’associazione antiabortista privata, si è dimessa nel 2013 per andare a fare la senatrice; Elena Donazzan di Forza Italia, assessora (ma lei urlerebbe “assessore!!) della Giunta Zaia, molto cinguettante su Twitter con hashtag del tipo “salviamo i nostri marò” e “io voto la famiglia tradizionale”; Isi Coppola, dichiarata decaduta dalla Corte d’Appello di Venezia per abuso di spese elettorali ma confermata come assessora (assessore, assessore!!!) “esterna” da Zaia: il suo assessorato si chiama Economia e Sviluppo, Ricerca e Innovazione e – cito dal sito della Regione Veneto, il corsivo è mio – Coppola è referente per le materie: artigianato, commercio, piccole e medie imprese, industria – fiere e mercati, distretti, ricerca e innovazione, imprenditoria giovanile e femminile, pari opportunità e diritti umani, infrastrutture; e infine Arianna Lazzarini (Lega Nord), convinta sostenitrice della festa della famiglia e del crocifisso nelle scuole: anche lei cinguetta messaggi imperdibili come quello del 27 maggio u.s.: “Furto, arrestati nomadi. Poi siamo noi ad avere pregiudizi…”

Come vi ho detto altre volte, le chiamate a “fare squadra” o al “voto utile” per avere più donne nelle istituzioni quale che sia il loro posizionamento politico (e non voglio parlare di idee perché le quattro moschettiere di cui sopra sembrano averne poche e per di più scarmigliate) attraversano le mie orecchie femministe senza lasciare traccia. Se è vero, come è vero, che la esorbitante maggioranza maschile in politica è completamente scollegata dai bisogni reali della popolazione italiana e le donne non le vede neppure; se è vero, come è vero, che dal 2010 ad oggi le condizioni delle donne italiane sono nettamente peggiorate a causa delle scelte economiche prese ad ogni livello (governativo e regionale) e che la disoccupazione femminile è aumentata, la povertà femminile è aumentata e il divario sui salari fra maschi e femmine è aumentato, io non ho bisogno di avere in Regione Veneto ne’ le fautrici di famiglie “tradizionali” e crocifissi, ne’ le ossessionate da “sono stati gli zinghiri“, ne’ le furbette che giostrano con i soldi pubblici, ne’ le sostenitrici del controllo fondamentalista sui corpi e sulle decisioni delle donne, ne’ le sedicenti belle-e-intelligenti come Moretti: che del luogo in cui si candida sa veramente TUTTO – “Ho anche presentato un’interrogazione sul Prosecco, eccellenza vera di questa terra.” (9 gennaio 2015), che ha molto chiari gli eventuali benefici della sua presenza: “Dobbiamo vincere noi perché il Veneto merita di agganciare la crisi.” (16 marzo 2015) e che a problemi complessi e difficili, perché toccano persone già in condizioni di fragilità e instabilità, ha soluzioni geniali ed immediate: “Diamo i 35 euro di retta agli anziani e facciamoli ospitare (gli immigrati) a casa loro.”

Ho invece bisogno di donne che la pensano in questa maniera: “… poiché la scomparsa dello Stato sociale ha come corollario la regressione del lavoro femminile alla cura parentale vincolata all’ambito domestico, per sostenere l’occupazione delle donne riteniamo fondamentale che la Regione investa tutte le risorse necessarie a garantire e incrementare i servizi destinati all’infanzia, al sostegno allo studio e all’assistenza agli anziani, in modo che esse possano continuare ad essere attive nello spazio pubblico in cui si svolge il lavoro retribuito“. Altro Veneto – Ora Possiamo! Programma Elezioni Regionali Veneto 2015 – Candidata Presidente Laura Di Lucia Coletti.

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Buona fortuna a te, a me, e alle donne del Veneto, Laura. Maria G. Di Rienzo

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… voglio dire, provateci.

Egregio candidato / egregia candidata,

le scrivo per aver conferma della sua posizione sulla violenza di genere e del suo impegno al contrasto della stessa: si tratta di violenza domestica, violenza sessuale e abusi di cui le donne sono la stragrande maggioranza delle vittime. Gli studi più recenti dell’Unione Europea riportano che una donna su tre, in Europa, fa esperienza di violenza fisica e/o sessuale; la violenza contro donne e bambine è allo stesso tempo causa e conseguenza della diseguaglianza di genere e resta una delle maggiori minacce globali ai diritti umani.

Il clima culturale che giustifica e alimenta la violenza di genere è completamente visibile nei media italiani (“Violence against women and media: advancements and challenges of a research and political agenda” – Unesco 2014): essi riproducono ad oltranza stereotipi sessisti che associano l’identità maschile con violenza, aggressione, potere e indipendenza, mentre le donne – usualmente stereotipate come oggetti sessuali o persino come mere parti del loro corpo – sono mostrate vulnerabili e dipendenti dalle azioni degli uomini: di conseguenza la sessualità femminile diventa mera disponibilità per il “consumo” maschile. Mentre in Italia ci si rifiuta persino di parlare di questo, i commentatori esteri trasecolano: “Scarsamente vestite ed alterate chirurgicamente per ottenere la “perfezione”, stanno prive di voce accanto a presentatori stagionati e ammiccanti. Le loro lunghe gambe, le vite minuscole e i larghi seni sono accentuati dalle angolature delle riprese, più adatte alla pornografia che a trasmissioni pubbliche. Queste sono le donne che sfilano sugli schermi della televisione italiana in prima serata, oggettificate in una proporzione che non ha parallelo nelle altre reti televisive europee. Se le informazioni sulle donne italiane derivassero unicamente dalla visione che ne hanno i loro media, si dedurrebbe che le donne esistono solo come oggetti sessuali da svilire e umiliare. (…) Nella tv italiana è impossibile trovare la rappresentazione di una donna apprezzata per qualcos’altro che non sia la sua apparenza. In modo allarmante, tali immagini si sono mosse fuori dalla televisione e si manifestano nelle realtà della vita italiana. L’Italia è fra i paesi peggiori d’Europa per quel che riguarda il divario di genere.” Elizabeth Cotignola per “Fusion”, 16.12.2014

Infatti, solo per fare un esempio, una professionista di qualsiasi tipo in Italia guadagna in media il 41% in meno del suo collega maschio: a parità di qualifiche e di ore lavorate. Ma non basta. In Italia negli ultimi due anni sono aumentati maltrattamenti e violenze contro donne e bambine, sfruttamento della prostituzione e pornografia minorile (dati del Ministero dell’Interno 2015).

Il brodo di coltura della violenza di genere ha trovato ambiente favorevole nelle nuove tecnologie informatiche. Internet ha 4 milioni e 200.000 pagine che offrono pornografia: 100.00 di esse offrono pornografia infantile. E’ un’industria da 97.06 miliardi di dollari l’anno a cui è direttamente collegato il traffico sessuale di donne, bambine e bambini. “A questo punto, possiamo dire che ridurre le donne ad oggetti sessuali e renderle disponibili per il consumo tramite la comunicazione e le tecnologie informatiche sembra essere la più drammatica delle espressioni dell’era digitale.” (Vega Montiel, 2013). Ma in Italia non vogliamo parlare neppure di questo, perché timorosi del coro delle vestali della “libera espressione”, che è in realtà il libero sfruttamento e la libera brutalizzazione di esseri umani. Sugli schiavi sono solo gli schiavisti a guadagnare.

A proposito. In Italia le politiche economiche attuali, con i tagli al welfare e le rottamazioni delle tutele al lavoro e delle reti sociali di sostegno, hanno avuto un impatto sproporzionatamente alto sulle donne, spingendone molte in condizioni di disoccupazione e povertà (e già in precedenza il nostro tasso di impiego femminile era il più basso d’Europa): questo ha una relazione negativa diretta con la possibilità per una donna di sottrarsi alla violenza – senza indipendenza economica, senza rifugi (ne mancano il 92% di quelli appena necessari, come il Consiglio d’Europa continua inutilmente a ricordarci), senza specifici programmi d’assistenza, le donne sono vieppiù forzate a restare con chi abusa di loro.

A questo punto, egregio candidato / egregia candidata, ho qualche domanda per lei:

Intende denunciare pubblicamente la sessualizzazione delle donne e delle bambine come alimentatore della violenza nei loro confronti?

Riconoscerà pubblicamente che questa violenza esiste, che i suoi numeri in Italia sono allucinanti, che le vittime sono in maggioranza assoluta di sesso femminile e i perpetratori in maggioranza assoluta di sesso maschile?

Si impegnerà pubblicamente affinché l’educazione sessuale e l’educazione al genere diventino materie fisse nella scuola pubblica?

Intende impegnarsi pubblicamente affinché le vittime della violenza domestica abbiano completo accesso a programmi e mezzi di sostegno (il che significa in primis stanziamento di fondi e adeguamento ai parametri europei in materia)?

Riconoscerà pubblicamente la necessità di addestrare polizia, magistratura, operatori sanitari e del sociale, sulla violenza di genere?

Nello specifico: cosa intende fare al proposito, in Veneto? Per esempio: i fondamentalisti anti-abortisti usciranno o no dai consultori pubblici? Gli ospedali garantiranno finalmente l’accesso all’interruzione di gravidanza in maniera professionale, o le donne saranno ancora costrette a pellegrinaggi in cerca di un medico che faccia il medico e non il propagandista religioso?

Ci faccia sapere, grazie. Maria G. Di Rienzo.

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cinema

Storie sui media che rinforzano gli stereotipi di genere: 46%.

Storie sui media che mettono in luce istanze di uguaglianza di genere: 6%.

Solo una su quattro delle persone di cui udite o leggete nelle notizie è una donna.

Le donne hanno il 27% delle posizioni dirigenziali nei media, gli uomini il 73%.

Le donne sono il 21% dei cineasti, gli uomini il 79%.

Le donne sono il 31% dei personaggi parlanti in cinema e televisione, gli uomini il 69%.

I film che hanno come protagonista principale una donna sono il 23%, i film che hanno come protagonista principale un uomo sono il 77%.

I personaggi femminili hanno più del doppio delle probabilità di quelli maschili di indossare abiti “sexy” (24,8% contro il 9,4%).

I personaggi femminili hanno più del doppio delle probabilità di quelli maschili di essere magri (38,5% contro il 15,7%).

I personaggi femminili hanno più del doppio delle probabilità di quelli maschili di essere parzialmente o totalmente nudi (24,2% contro l’11,5%).

Nei film, i commenti fatti dai personaggi che si riferiscono direttamente alla rispondenza di una donna agli stereotipi della “bellezza” e dell’essere sessualmente attraente arrivano con una frequenza che è SOLO cinque volte tanto la frequenza con cui tali commenti sono diretti a uomini.

(“Women and the media”, Agenzia Donne delle Nazioni Unite – Piattaforma d’Azione di Pechino + 20, dati globali 2010 – 2015.)

pechino + 20Se adesso mi mettessi a gridare che sui media c’è un complotto-gender contro le donne, stracciandomi le vesti e piluccandomi dal cranio i quattro vecchi capelli che mi restano, avrei più o meno ragioni dei complottari sostenuti in maniera totalmente imbecille dalla chiesa cattolica? Vedete voi.

E se volete qualche frutto recente dell’orticello complottista eccovi accontentati: oggi ho letto online 1) che il femminismo lo ha inventato Rockfeller (prima ancora di nascere, geniale il tipo!) del Nuovo Ordine Mondiale (???) per tassare il lavoro femminile fuori casa (lavoriamo fuori casa dall’alba della Storia, pirla); 2) che con Ladylike Moretti, in Veneto, si candidano un odiatore professionista di persone LGBT e un inviato della Vergine Maria pronto ad insegnare a noi donnine sprovvedute che l’interruzione di gravidanza è opera di Satana. Evidentemente non ci bastavano i fondamentalisti suonati nei consultori regionali (con doveroso ringraziamento a Laura Puppato –

https://lunanuvola.wordpress.com/2012/09/29/litalia-non-e-un-paese-per-donne/ ). Maria G. Di Rienzo

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Non è una novità che in Italia il cosiddetto “partito dell’astensione” risulti in effetti il “partito” principale. Ad ogni tornata elettorale il suo aumento percentuale è variamente stigmatizzato e razionalizzato da analisi di ogni tipo basate per lo più su fedeltà ideologiche e idiosincrasie politiche di chi le produce, per cui si va da “in realtà avrebbero votato per noi, però…” a “maledetti menefreghisti” e il fenomeno resta in sostanza non letto.

Lasciatevelo dire da un’aderente, per quanto saltuaria, a questo cosiddetto “partito”: no, non potevamo votare per voi, ovunque vi collochiate sullo spettro politico e no, siamo in maggioranza tutt’altro che indifferenti o disinformati. Quando non votiamo, vi stiamo mandando un messaggio preciso: l’esistente non ci soddisfa, non ci rappresenta, non si muove verso scopi per noi accettabili – anzi, spesso non riusciamo neppure a distinguere scopi diversi dalla promozione personale dei candidati (un buon posticino in Regione, in Parlamento, eccetera) e non perché siamo ottusi. Quando ad esempio vi producete in slogan tipo “insieme per” e “cambia verso” noi, non uditi, stiamo urlando: “insieme per COSA”, “cambia verso COSA”?

Quando parlate di modernizzazione e riforme – ne parlate da vent’anni buoni – scollegando completamente i concetti dal benessere dei cittadini, rendendo quegli stessi concetti delle icone vuote, idolatrate e indiscutibili, vi rendete conto di essere magari assai adatti a presiedere un consiglio d’amministrazione, ma totalmente inetti al governo di una nazione? L’Italia è persone e territorio, storia e vita, lavoro e arte, relazioni e cultura: un paese non è un’azienda.

Quando volete distoglierci da qualsiasi metodo di partecipazione alternativa alla competizione elettorale e ve ne uscite con il “voto utile”, noi continuiamo a chiederci “utile a COSA, a CHI”? Il dizionario dà all’aggettivo utile i seguenti significati primari: che può usarsi al bisogno, che può servire, che reca o può recare vantaggio o profitto.

Quali bisogni soddisfa e quali vantaggi arreca, il voto “utile”, ai 10 milioni di italiani e italiane che pur lavorando non arrivano a fine mese? Quali bisogni soddisfa e quali vantaggi arreca, il voto “utile”, nelle aree di crisi che riguardano istruzione e salute, tutela ambientale e messa in sicurezza del territorio, impieghi decenti, distribuzione più equa delle risorse, maggior impegno nel prevenire e contrastare la violenza di genere? L’unico voto utile è quello che ci porta più vicini, anche di un solo centimetro, a vivere in modo più umano di come si vive oggi in Italia.

E’ accettabile per voi che persone impiegate a tempo pieno riscuotano salari che le mantengono in uno stato di povertà?

E’ accettabile per voi che i lavoratori e le lavoratrici siano sempre più ricattabili e diventino “superflui” grazie alla progressiva distruzione di ogni tutela nei loro confronti?

E’ accettabile per voi che le nostre scuole pubbliche crollino sulle teste degli studenti mentre si finanziano quelle private e si concedono sgravi fiscali a chi iscrive alle private i propri figli?

E’ accettabile per voi che il risultato principale delle attuali politiche sul lavoro sia l’aumento della disoccupazione? (Febbraio 2015: tasso generale 12,7%, tasso disoccupazione giovanile 42,65, aumento delle donne disoccupate: meno 42.000 unità; Marzo 2015: tasso generale 13%, tasso disoccupazione giovanile 43%, 59.000 unità totali in meno.)

E’ accettabile per voi che le donne paghino prezzi altissimi ad ogni crisi economica e le loro istanze siano ignorate da ogni nuovo governo che si insedia, nonostante quest’ultimo sfrutti spensieratamente il loro lavoro non pagato (tagli alle reti di sostegno sociale e alla sanità significano solo che la cura di bambini, anziani, disabili, malati ricade in maggior misura sulle spalle delle donne, che già se ne fanno sproporzionatamente carico)?

Per me no. E per quanto riguarda le prossime elezioni regionali avevo già deciso di non votare per farvelo sapere una volta di più: tra l’altro, scegliere fra un ex pr di discoteca solito usare le donne come fondali e decorazioni e una ex berlusconiana che dell’essere fondale e decorazione fa la propria missione nella vita (ladylike) per una femminista non è possibile – e vivendo sotto la soglia di povertà il destino del prosecco, mi scuso, non sta in cima alla lista delle mie preoccupazioni.

Poi una donna che stimo ha deciso di provarci, con una lista i cui scopi mi avvicinano di quel centimetro a un’esistenza in cui la dignità di ogni essere umano e il rispetto per l’interdipendenza fra viventi e ambiente non si vendono e non si comprano. Per cui, il 31 maggio lascerò il partito dell’astensione e voterò per Laura Di Lucia Coletti.

So che la mia voce avrà un’eco nella sua. Ed è più di quanto qualsiasi altro schieramento possa dire. Maria G. Di Rienzo

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