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Posts Tagged ‘disoccupazione’

Emmanuel Macron è Presidente della Francia dal 14 maggio 2017. Salutato all’inizio come il “salvatore liberale” da una più che possibile deriva di destra nel paese, sta attualmente vedendo scemare il consenso nei suoi confronti. Dire perché non è difficile: il maggior potere di intervento che detiene rispetto agli altri Presidenti europei lo ha usato per tagliare i fondi di sostegno agli alloggi per studenti, per opporsi a tassazioni più alte per i ricchi, per spingere una “riforma del lavoro” che ha eroso i diritti dei lavoratori e beneficiato solo i padroni, per tagliare le pensioni.

Il suo Ministro per l’Ambiente si è dimesso. La sua Ministra per lo Sport si è dimessa. Uno dei deputati del suo partito si è dimesso paragonando quest’ultimo al Titanic. Infine, si è dimesso anche il suo Ministro dell’Interno – e gli ci sono volute due settimane per trovare qualcuno disposto a rimpiazzarlo. Il suo atteggiamento nelle interazioni con la gente comune è di solito sprezzante; ha risposto malamente (e a sproposito) a legittime questioni a lui rivolte da studenti, pensionati, disoccupati, sindacalisti eccetera.

Voglio dire: se devi imbastire della satira su Macron, le azioni che ha compiuto da quando ricopre la carica di Presidente sono più che sufficienti. Perciò, signor Grillo, cosa c’entra sua moglie? Perché dovrebbe farci ridere la sua affermazione per cui “il vibratore della collezione più vecchia (di Brigitte Trogneux) ha le pile scariche”? Dopo Montalcini (vecchia puttana) e Boldrini (da maneggiare in automobile) e le “veline del PD” il campo del sessismo a cinque stelle si è allargato a livello internazionale?

E’ vero che molti uomini non riescono a entrare in conflitto o persino solo a discutere con i loro pari senza passare da insulti / umiliazioni sessuali rivolti a donne con cui costoro hanno relazioni – ma è davvero roba vecchia, signor comico, da sagra paesana o da sottoscala di oratorio. L’attualità, per contro, offre molteplici occasioni a chi fa il suo lavoro. Dia un’occhiata solo a questa notizia: stamattina sui giornali c’è l’annuncio che il Portavoce M5S al Parlamento Europeo, Marco Valli, si è autosospeso per aver, a suo dire, “commesso un errore”.

In effetti, quando elencò le proprie credenziali da candidato, nel 2014, mise nella lista una laurea in Economia aziendale alla Bocconi che non ha mai conseguito. Uno sbaglio. Può capitare a tutti. Io per esempio scrivo sempre di essere la regina Maria di Scozia – in omaggio a una delle mie nonne – nelle mie biografie. Poi, quando come per il suo parlamentare il Sole 24 Ore mi fa notare che la credenziale sparisce dai testi, mi autosospendo da nipote. Il curriculum di Valli, misteriosamente, è svanito da internet senza lasciare traccia – una minima, minuscola traccia di umana decenza: non c’è.

Maria G. Di Rienzo

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fumogeni iran

Foto Associated Press, didascalia: Le squadre antisommossa usano granate fumogene contro gli/le studenti dell’Università di Teheran durante una dimostrazione nel fine settimana (ndt: 30-31 dic. 2017).

La persona ritratta è una giovane donna. Io sto con lei.

Sto con lei perché l’anno scorso la polizia del suo paese, Iran, ha annunciato che avrebbe impiegato nella capitale 7.000 (settemila) agenti maschi e femmine in borghese per controllare come le sue simili vanno vestite per strada.

Sto con lei perché il governo iraniano pretende di controllare gomiti caviglie unghie e capelli ecc. alle sue simili da quasi 39 anni (hanno cominciato nel 1979) e per tutto questo tempo le hanno umiliate, minacciate, multate, incarcerate, frustate e sfregiate – anche se il 29 dicembre scorso hanno annunciato con mooolta tolleranza che a Teheran (ma non nel resto del paese) quelle vestite “male” dovranno solo partecipare a lezioni tenute dai poliziotti, notoriamente maestri congeniti di fede, cultura, etica, diritti civili e ultimi trend della moda.

Sto con lei perché la protesta contro povertà e disoccupazione e crisi economica create dal consesso di pii uomini che dirigono il paese e si preoccupano più di finanziare gruppi islamisti stranieri che del benessere del proprio popolo è sacrosanta.

Sto con lei perché per soffocare tale protesta, che sta dilagando nell’intera nazione, hanno già ucciso almeno 21 persone, fra cui un bambino di 11 anni, e ne hanno arrestate 450 solo a Teheran.

Sto con lei perché intendono accusare i/le dimostranti di “guerra contro dio”, reato immaginario per cui è però prevista una pena di morte assai reale.

Sto con lei.

Maria G. Di Rienzo

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La domanda di stabilità appare chiara nel riferimento alla famiglia, come principale istituto di tutela. La famiglia. Assai più del sindacato e delle associazioni di categoria. Ma anche dello Stato e degli enti locali. La famiglia. (…) la famiglia. Polo di solidarietà intergenerazionale. Che tiene uniti genitori, figli. E nonni.” No, non è un’analisi dei legami di mafia. E’ un esempio della prosa rapsodica – continui stop and go arbitrari in lingua italiana ma che forse costituirebbero un buon tessuto per un brano jazz – di Ilvo Diamanti tratto da un suo pezzo del 1° maggio.

In esso commenta l’ennesimo sondaggio che dà tre quarti degli italiani scettici sulle magnifiche sorti dell’Italia in ripresa, nonostante le “indicazioni fornite dalle statistiche dell’Istat e rilanciate dal premier Renzi”: “Oltre 7 persone su 10 pensano che non sia vero. Che l’occupazione non sia ripartita. Solo l’8%, invece, ritiene che il Jobs Act abbia funzionato.”

Perché. Lo. Pensano? Sono forse. Stronzissimi antirenziani. Oppure. Li paga. Il NWO? Non so che effetto facciano a voi queste frasi asmatiche, ma a me duole il diaframma. Ordunque: potrebbe essere che non lo pensino perché non hanno visto alcuna ricaduta positiva del “Jobs Act” nelle loro esistenze?

Lo stesso giorno in cui Diamanti scrive, il capo dello Stato italiano Mattarella dice pubblicamente che nel nostro Paese “l’occupazione dei giovani è più bassa della media europea”, che la “generazione più istruita di tutte quelle precedenti (…) è posta al margine proprio dalla società e dal mercato che pretendono più conoscenze e più saperi” e parla delle difficoltà di chi vive da precario ecc.

In piazza per la Festa dei Lavoratori, sempre il 1° maggio, Susanna Camusso (CGIL) dice dei “tagli e dei disinvestimenti” rispetto al lavoro in Italia, parla della governativa “richiesta di superare i contratti nazionali” e dell’ “idea di peggiorare sempre la condizione pensionistica”, e anche lei menziona il fatto che “un giovane su tre non trova prospettiva di lavoro in Italia, al netto di quelli che hanno già fatto le valigie e sono andati all’estero”, dichiarando infine che la disoccupazione è “la vera emergenza del Paese e tuttavia il tema è continuamente svalorizzato: basta pensare ai dati della precarietà, ai numeri insopportabili sui voucher e anche agli infortuni e alle morti che sono tornate a crescere”.

Sembra infatti che per il momento gli unici lavori aumentati grazie al genio di Renzi siano quelli definiti “informali” e cioè il precariato e il lavoro in nero. E’ difficile progettare e proiettarsi nel futuro quando non si sa se domani si ricadrà nella disoccupazione; è difficile restare in Italia se si ha la possibilità di andarsene e di trovare un impiego decente e stabile all’estero, e se in Italia si resta è quindi ovviamente difficile staccarsi dalla famiglia di origine e condurre una vita indipendente: senza soldi, diceva la mia nonna materna, non si cantano messe.

L’incertezza agita la nostra società, chiosa (a singhiozzo) Diamanti: “Due italiani su tre ritengono inutile, oggi, affrontare progetti impegnativi, perché il futuro è troppo incerto e rischioso. Così, meglio concentrarsi sul presente. Cercando stabilità. Radicamento. (…) Così i dati di questo sondaggio trovano un senso, comunque, una convergenza. Intorno all’incertezza generata dall’eclissi, se non dalla scomparsa, del futuro.”, ma i giovani “Sono globalizzati, di fatto. Mentre i genitori e la famiglia, garantiscono loro un riferimento sicuro. Un posto dove tornare. Per poi partire di nuovo. Anche per questo, i giovani hanno meno paura della disoccupazione e della precarietà, rispetto alle generazioni più anziane. Anche se ne sono particolarmente colpiti. E appaiono meno preoccupati dei tempi dell’età pensionabile, che si allungano. I giovani. Non hanno “nostalgia” del futuro. Perché il futuro è davanti a loro. Mentre gli adulti e gli anziani il futuro ce l’hanno alle spalle.” Fine dell’articolo – rullo di tamburi – voce cavernosa che sale dagli inferi: Hai più di trent’anni (adulti e anziani)? Il tuo tempo è scaduto!!!

Dopo aver preso un paio di boccate dalla bombola di ossigeno – Come cazzo. Si fa. A scrivere. In questo. Modo. Persino le virgole. Sono buttate. A caso. – ho toccato ferro, fatto le corna e cercato quadrifogli… Il futuro è eclissato o non c’è, ma comunque io ce l’avrei alle spalle? Be’, le generali aspettative di vita nel mio Paese e per il mio genere mi danno altri venticinque anni abbondanti: tempo sufficiente a scrivere qualche altro libro, allevare qualche altro gatto, imparare qualche altra lingua, conoscere qualche altra amica, fare un altro po’ di femminismo. Se Diamanti pensa che starò seduta sulla soglia di casa a sospirare attendendo il Tristo Mietitore si sbaglia.

Infine: santo cielo, è logico che a essere più preoccupati siano la mamma e il nonno a cui questi giovani devono far continuo riferimento anche se non vogliono, anche se preferirebbero costruirsi una propria vita e non pesare sui familiari. Mamma e nonno guardano indietro e pensano: Alla sua età io ero indipendente e avevo formato una famiglia mia; poi guardano avanti, non vedono prospettive per le creature che hanno allevato e pensano: Cosa farà lei/lui quando noi non ci saremo più? Altro che nostalgia, mister, questa è l’angoscia per cui dobbiamo ringraziare la correttezza e la giustizia e l’avvedutezza con cui si governa il nostro Paese. Maria G. Di Rienzo

P.S. Sembra di essere tornati al 1977 – “God save the Queen”, Sex Pistols. Ripetete con me: No future, no future, / No future for you / No future, no future, / No future for me…

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Non è una novità che in Italia il cosiddetto “partito dell’astensione” risulti in effetti il “partito” principale. Ad ogni tornata elettorale il suo aumento percentuale è variamente stigmatizzato e razionalizzato da analisi di ogni tipo basate per lo più su fedeltà ideologiche e idiosincrasie politiche di chi le produce, per cui si va da “in realtà avrebbero votato per noi, però…” a “maledetti menefreghisti” e il fenomeno resta in sostanza non letto.

Lasciatevelo dire da un’aderente, per quanto saltuaria, a questo cosiddetto “partito”: no, non potevamo votare per voi, ovunque vi collochiate sullo spettro politico e no, siamo in maggioranza tutt’altro che indifferenti o disinformati. Quando non votiamo, vi stiamo mandando un messaggio preciso: l’esistente non ci soddisfa, non ci rappresenta, non si muove verso scopi per noi accettabili – anzi, spesso non riusciamo neppure a distinguere scopi diversi dalla promozione personale dei candidati (un buon posticino in Regione, in Parlamento, eccetera) e non perché siamo ottusi. Quando ad esempio vi producete in slogan tipo “insieme per” e “cambia verso” noi, non uditi, stiamo urlando: “insieme per COSA”, “cambia verso COSA”?

Quando parlate di modernizzazione e riforme – ne parlate da vent’anni buoni – scollegando completamente i concetti dal benessere dei cittadini, rendendo quegli stessi concetti delle icone vuote, idolatrate e indiscutibili, vi rendete conto di essere magari assai adatti a presiedere un consiglio d’amministrazione, ma totalmente inetti al governo di una nazione? L’Italia è persone e territorio, storia e vita, lavoro e arte, relazioni e cultura: un paese non è un’azienda.

Quando volete distoglierci da qualsiasi metodo di partecipazione alternativa alla competizione elettorale e ve ne uscite con il “voto utile”, noi continuiamo a chiederci “utile a COSA, a CHI”? Il dizionario dà all’aggettivo utile i seguenti significati primari: che può usarsi al bisogno, che può servire, che reca o può recare vantaggio o profitto.

Quali bisogni soddisfa e quali vantaggi arreca, il voto “utile”, ai 10 milioni di italiani e italiane che pur lavorando non arrivano a fine mese? Quali bisogni soddisfa e quali vantaggi arreca, il voto “utile”, nelle aree di crisi che riguardano istruzione e salute, tutela ambientale e messa in sicurezza del territorio, impieghi decenti, distribuzione più equa delle risorse, maggior impegno nel prevenire e contrastare la violenza di genere? L’unico voto utile è quello che ci porta più vicini, anche di un solo centimetro, a vivere in modo più umano di come si vive oggi in Italia.

E’ accettabile per voi che persone impiegate a tempo pieno riscuotano salari che le mantengono in uno stato di povertà?

E’ accettabile per voi che i lavoratori e le lavoratrici siano sempre più ricattabili e diventino “superflui” grazie alla progressiva distruzione di ogni tutela nei loro confronti?

E’ accettabile per voi che le nostre scuole pubbliche crollino sulle teste degli studenti mentre si finanziano quelle private e si concedono sgravi fiscali a chi iscrive alle private i propri figli?

E’ accettabile per voi che il risultato principale delle attuali politiche sul lavoro sia l’aumento della disoccupazione? (Febbraio 2015: tasso generale 12,7%, tasso disoccupazione giovanile 42,65, aumento delle donne disoccupate: meno 42.000 unità; Marzo 2015: tasso generale 13%, tasso disoccupazione giovanile 43%, 59.000 unità totali in meno.)

E’ accettabile per voi che le donne paghino prezzi altissimi ad ogni crisi economica e le loro istanze siano ignorate da ogni nuovo governo che si insedia, nonostante quest’ultimo sfrutti spensieratamente il loro lavoro non pagato (tagli alle reti di sostegno sociale e alla sanità significano solo che la cura di bambini, anziani, disabili, malati ricade in maggior misura sulle spalle delle donne, che già se ne fanno sproporzionatamente carico)?

Per me no. E per quanto riguarda le prossime elezioni regionali avevo già deciso di non votare per farvelo sapere una volta di più: tra l’altro, scegliere fra un ex pr di discoteca solito usare le donne come fondali e decorazioni e una ex berlusconiana che dell’essere fondale e decorazione fa la propria missione nella vita (ladylike) per una femminista non è possibile – e vivendo sotto la soglia di povertà il destino del prosecco, mi scuso, non sta in cima alla lista delle mie preoccupazioni.

Poi una donna che stimo ha deciso di provarci, con una lista i cui scopi mi avvicinano di quel centimetro a un’esistenza in cui la dignità di ogni essere umano e il rispetto per l’interdipendenza fra viventi e ambiente non si vendono e non si comprano. Per cui, il 31 maggio lascerò il partito dell’astensione e voterò per Laura Di Lucia Coletti.

So che la mia voce avrà un’eco nella sua. Ed è più di quanto qualsiasi altro schieramento possa dire. Maria G. Di Rienzo

laura e simbolo

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