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(“Kopis’taya (A Gathering of Spirits)”, di Paula Gunn Allen (1939-2008), poeta, scrittrice, attivista lgbt, madre, nativa americana. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

stacy rees

Kopis’taya (Un Raduno di Spiriti)

Poiché viviamo nella stagione che imbrunisce

l’aria pesante blocca il nostro respiro,

e in questo tempo in cui vivere

è solo sopravvivenza, noi dubitiamo delle voci

che giungono ombreggiate nell’aere,

che tessono dentro i nostri cervelli

certi pensieri, un movimento che è soffice,

impercettibile, una pioggia di crepuscolo,

la caduta di una piuma delicata, un piccolo corpo che si cala

nella sua prossimità, frusciando, mormorando, sistemandosi

all’interno per la notte.

Poiché viviamo nella stagione spigolosa

ove plastica sgretolata e splendente brilla,

e in questo spazio che è messo all’angolo e piegato

noi non notiamo il bagnato, l’umido, le importanti

gocce che cadono in sfere perfette e che sono delle misure

delle nostre menti;

quasi del tutto invisibili, quelle lacrime,

soffici come rugiada, fragili, che si aggrappano alle foglie,

a petali, a radici, gentili e fidate,

ogni mattina.

Noi siamo le donne della luce diurna, di orologi

e fonderie d’acciaio, di droghieri

e lampioni, di super autostrade

che tagliano in due i nostri giorni. Avvolte

in plastica e acciaio percorriamo le nostre vite;

dietro occhiali scuri nascondiamo i nostri occhi;

i nostri pensieri, schermati, sembrano oscuri.

Fumo riempie le nostre menti, il whiskey ombreggia le nostre canzoni,

il poliestere divide i nostri corpi dal nostro respiro,

i nostri piedi dall’accogliere le pietre della Terra.

I nostri sogni sono sbiadite memorie di se stessi

e il dubbio assillante è la falsa misura

dei nostri giorni.

Anche così, le voci degli spiriti stanno cantando,

i loro pensieri stanno danzando nell’aria sporca.

I loro piedi toccano il cemento, l’asfalto

deliziandosi, ancora tessono sogni sopra i nostri

crani oscurati, se riuscissimo ad ascoltare.

Se riuscissimo a sentire.

Andiamo, allora. Troviamoli.

Ascoltiamo l’acqua, le precise

luccicanti gocce che brillano sulle foglie,

sui fiori. Cavalchiamo

la mezzanotte, l’alba appena iniziata.

Sentiamo il vento farsi strada fra i nostri capelli.

Danziamo la danza delle piume,

la danza degli uccelli.

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(“Communiqué of the Indigenous Revolutionary Clandestine Committee, General Command of the Zapatista National Liberation Army”, 29 dicembre 2017, trad. Maria G. Di Rienzo.)

ezln

Alle donne del Messico e del Mondo:

Alle donne originarie del Messico e del Mondo:

Alle donne dei Consigli di governo indigeni:

Alle donne del Congresso nazionale indigeno:

Alle donne nazionali e internazionali dei Sei continenti:

Compañeras, sorelle:

Vi salutiamo con rispetto e affetto da quelle donne che siamo – donne che lottano, che resistono e si ribellano contro lo stato sciovinista e patriarcale.

Sappiamo bene che un brutto sistema non solo ci sfrutta, ci reprime, ci deruba e non ci rispetta come esseri umani, ma ci sfrutta, ci reprime, ci deruba e non ci rispetta di nuovo come donne.

E sappiamo che le cose ora vanno peggio, perché siamo assassinate in tutto il mondo. E gli assassini non pagano alcun prezzo – il vero omicida è sempre il sistema che sta dietro la faccia di un uomo – perché le loro azioni sono occultate, loro sono protetti e persino ricompensati dalla polizia, dai tribunali, dai media, dai cattivi governi e da tutti quelli che vogliono mantenere le loro posizioni stando sulle schiene della nostra sofferenza.

Tuttavia non siamo terrorizzate, o se lo siamo controlliamo la nostra paura e non ci arrendiamo, non ci fermiamo e non ci vendiamo.

Perciò, se sei una donna in lotta che è contro quel che ci fanno perché donne; se non sei spaventata (o se lo sei, ma controlli la tua paura), allora ti invitiamo a un incontro con noi, per parlarci e ascoltarci come le donne che siamo.

Pertanto invitiamo tutte le donne ribelli del mondo al:

Primo incontro internazionale di politica, arte, sport e culture per le donne in lotta, che sarà tenuto a Caracol di Morelia, zona Tzotz Choj del Chiapas, Messico, l’8 – 9 – 10 marzo 2018.

Gli arrivi sono previsti per il 7 marzo e la partenza per l’11 marzo.

Se sei un uomo, stai ascoltando o leggendo questo invano, perché non sei invitato.

Per quel che riguarda gli uomini zapatisti, li metteremo al lavoro in tutte le faccende necessarie, di modo che noi si possa suonare, parlare, cantare, danzare, recitare poesie e impegnarci in ogni altra forma di arte e cultura che desideriamo condividere senza imbarazzo. Gli uomini si occuperanno di tutte le mansioni necessarie in cucina e alle pulizie.

Si può partecipare come singole o come collettivi. Potete registrarvi a questa e-mail:

encuentromujeresqueluchan@ezln.org.mx

Includete il vostro nome, da dove venite, se partecipate da sole o in collettivo, e come volete partecipare o se volete semplicemente festeggiare con noi.

La tua età, il tuo colore, la tua taglia, la tua fede religiosa, la tua razza e il tuo modo di essere non importano; quel che solo importa è che tu sia una donna e che tu stia lottando contro il sistema capitalista, sciovinista e patriarcale.

Se vuoi venire con i tuoi figli maschi ancora piccolini, va bene, puoi portarli. L’esperienza servirà a iniziare a mettere nelle loro teste che le donne non accetteranno più violenza, umiliazione, scorno o o altre stronzate dagli uomini o dal sistema.

E se un maschio dall’età superiore ai 16 anni vuol venire con te, è una scelta tua, ma qui non andrà oltre la cucina. Potrebbe a ogni modo essere in grado di ascoltare alcune delle attività e di imparare qualcosa.

Riassumendo, gli uomini non possono venire a meno che una donna li accompagni.

Per il momento è tutto, vi aspettiamo qui, compañeras e sorelle.

Dalle montagne del sudest messicano, per il Comitato clandestino indigeno rivoluzionario – Comando generale dell’esercito zapatista di liberazione nazionale, e in nome di tutte le ragazze, le giovani donne, le donne adulte e le donne anziane, vive e morte, le consigliere, le rappresentanti donne del Consiglio del buon governo, le donne promotrici, le miliziane, le insorgenti, e la base di sostegno zapatista,

le Comandanti Jessica, Esmeralda, Lucía, Zenaida e la bambina Defensa Zapatista

Messico, 29 dicembre 2017

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“Non permettere che nessuno ti derubi della tua immaginazione, della tua creatività, della tua curiosità. Si tratta del tuo posto nel mondo, si tratta della tua vita. Vai avanti e fai con esse tutto quel che puoi, fai di esse la vita che tu vuoi vivere.” Mae Jemison.

mae

Mae, nata nel 1956, è stata la prima astronauta afroamericana. La sua vita meriterebbe un romanzo per essere raccontata adeguatamente, ma qualche informazione non guasterà. Da bambina era una fan di “Star Trek” e la Tenente Uhura era la sua eroina (Mae inizierà in seguito tutte le sue missioni spaziali con la battuta tipica di quest’ultima ‘Hailing frequencies open’ – ‘Frequenze di contatto aperte’). “Durante l’infanzia ero come tutti gli altri bambini. Amavo lo spazio, le stelle e i dinosauri. Ho sempre saputo di voler esplorare. All’epoca della trasmissione sull’Apollo tutti erano eccitati rispetto allo spazio, ma io ricordo di essermi sentita irritata dal fatto che non c’erano donne astronaute. La gente tentò di darmi spiegazioni, ma io non ne accettai nessuna.”

Il suo dilemma su quale passione seguire negli studi, la scienza o la danza, fu risolto da sua madre: “Se sei un medico puoi ballare comunque, ma non puoi curare nessuno se sei una ballerina.”

Così, Mae si laureò in medicina e si unì ai Corpi di Pace (Peace Corps, organizzazione di volontariato internazionale) servendo come ufficiale medico per Liberia e Sierra Leone dal 1983 al 1985. Al suo ritorno entrò nella Nasa e nel 1992 era a bordo della navetta Endeavour.

Durante gli anni le sono state conferite nove lauree onorarie in scienze, ingegneria, lettere e studi umanistici. E’ apparsa in televisione più volte e persino in un episodio di Star Trek: The Next Generation.

Dopo aver lasciato la Nasa ha fondato il Jemison Group, che sviluppa progetti scientifici e tecnologici per gli usi quotidiani, ma è anche la direttrice del “100 Year Starship”, progetto che mirando a un futuro viaggio attraverso il sistema solare si impegna a migliorare i metodi di riciclo e a creare carburanti “verdi” e più efficienti.

Per lei il famoso “sogno” di Martin Luther King Jr. non è un’inafferrabile fantasia, bensì una chiamata all’azione, poiché il movimento per i diritti civili voleva rompere le barriere poste al potenziale umano e Mae rende il concetto così: “Il miglior modo per rendere i sogni realtà è svegliarsi.” Maria G. Di Rienzo

mae oggi

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hagaskoli

Maschilisti, sessisti, violenti, sguaiati e ignoranti: avete perso una grande battaglia. Dico sul serio. E ve lo comunico 24 ore prima del 25 novembre – Giorno Internazionale contro la violenza diretta alle donne. Avete perso perché le ragazzine nell’immagine hanno 14 e 15 anni. E domenica scorsa hanno vinto un concorso diretto agli/alle studenti della loro età, con una performance di teatro/danza femminista, interamente scritta e coreografata da loro. Il concorso cui le ragazze hanno partecipato come Hagaskóli, il nome della loro scuola di Reykjavik, è assai popolare in Islanda e si chiama “Skrekkur”.

Questo è parte di ciò che hanno detto sul palco senza che una sola parola tremasse.

Io avevo dieci anni quando per la prima volta sono stata chiamata “puttana”.

Non capivo perché, lo capisco ora.

Stavo fra i piedi, ero assertiva.

Avevo attraversato la linea, avevo tentato di liberarmi uscendo dalla mia scatola,

ma ero piccola, ero una bambina.

Care femminucce,

state attente,

non occupate lo spazio riservato ai maschietti:

chi ha un pene ha diritto a un metro quadrato extra.

Non fate richieste per voi stesse credendovi intelligenti, voi meritate di meno.

Vestiti come voglio io.

Stai nel tuo angolo.

Truccati di più, truccati di meno.

Disapprovati.

Datti una calmata, smetti di far così tanto rumore.

Hai le mestruazioni, per caso?

Attenta! Fai scappare i ragazzi,

stai parlando un po’ troppo.

Smettila, fa’ la brava,

non è che hai sempre ragione.

Sii gentile, non essere sgraziata.

Non mettermi a disagio,

non bestemmiare, porca troia!

Sii sensibile, lavora duro,

ripulisci il disordine che altri si lasciano dietro.

Perdi te stessa.

Dimentica di contare qualcosa,

scompari.

Sii carina, sii sexy,

ma non esagerare.

Lo sai cosa capita

quando mostri troppo.

Perciò, per l’amor del cielo, non mandargli fotografie

perché tu, i tuoi seni, il tuo corpo e tutto ciò che sei

è sporco e brutto e proibito

e non qualcosa da condividere con altri,

neppure con te stessa.

Caro patriarcato,

lo sai che quando mi dici di calmarmi

e di stare zitta

mi spingi in avanti,

a gridare con tutto il fiato che ho nei polmoni.

Non puoi fermarlo, sai che sta arrivando.

Tu non conosci questa sofferenza, non sei una donna.

Tu guardi su, sul palco, e non vedi nessun ragazzo.

E pensi: Dov’è l’eguaglianza, qui?

Noi vogliamo sapere: Dov’è l’eguaglianza ovunque?

Dove sono le donne, nel mondo, come delle persone intere?

Ci sono donne qui, su questo palco, proprio ora,

ma alcune persone devono sempre cercare gli uomini.

hagaskoli2

Capito bene? Una ragazza che ha scritto queste cose, che ha detto queste cose, che ha danzato queste cose non torna indietro, non può più farlo. E’ libera. Maria G. Di Rienzo

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Madre del Tamburo

(“Insomnia, Nyangoma and the rain”, di Amina Doherty, trad. Maria G. Di Rienzo. Amina è una femminista nigeriana e un’art-ivista, nel senso che mette poesia, musica, fotografia e altre forme di creatività nel suo impegno per i diritti delle donne, per il sostegno alla gioventù e per la giustizia economica.)

amina doherty

Il suono di gocce pesanti che picchiano contro il tetto di ferro ondulato

mimando suoni ancestrali, battiti di tamburo e antichi richiami…

Madre del Tamburo.

Nyangoma (1) la chiamano…

Mi forza con ogni battito a restare sveglia e ascoltarla… ad ascoltare

le sue storie.

Per permettere a me stessa di provare emozioni.

Per permettere a lei di guarire.

Per liberare.

Nyangoma dà inizio alla sua danza.

Dapprima comincia piano costruendo ogni momento… ma non c’è ordine

nei suoi movimenti. Sono sporadici e disparati.

Djemebe e Doundoun. (2)

Tuono e Fulmine.

Energia.

E mentre la pioggia diminuisce (solo un po’) Insonnia freme dal desiderio

di guardare Nyangoma prendere di nuovo l’iniziativa. Un’altra danza.

Al Fenicottero Rosa, mariposas che battono le ali, Rapsodia in Blu, la suite di Firebird.

Un concerto composto perfettamente.

Ordine.

Energia.

Insonnia è affascinata e per un momento non riesce a respirare. Lei è

avvolta nella magia.

Poi in un attimo – Silenzio.

Nyangoma se n’è andata.

E lentamente i miei occhi cominciano a chiudersi mentre il sole comincia a sorgere.

E in modi che neppure lei capisce ancora, Nyangoma ha placato

la mente irrequieta di Insonnia.

Le sue palpebre si fanno pesanti mentre Nyangoma sussurra

Dormi, preziosa. Dormi.

Lascia che il tuo corpo riposi.

female drummer group

(1) Nyangoma, che significa letteralmente “Madre del tamburo”, è un nome spesso dato alla prima nata di due gemelli (il secondo gemello può essere indifferentemente maschio o femmina), ove il “tamburo” è sinonimo per la placenta.

(2) due strumenti di origine africana, rispettivamente tamburo a calice e tamburo cilindrico.

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Dio dai molti nomi, che non sei vincolato dal genere o dalle opposizioni binarie che gli umani costruiscono, grazie per la diversità che instilli in ognuno di noi, i tuoi amati figli. Ti ringraziamo di amare in modo imperturbato e privo di discriminazione, celebrando la meravigliosa varietà dell’umanità: donne, uomini, trans, gay, etero, bisessuali, lesbiche, queer, e coloro che non sono definiti dalle restrizioni della nostra lingua. In un mondo in cui molti di noi si sentono limitati da categorie costruite socialmente, noi ti imploriamo di renderci liberi. In un mondo in cui alcuni sono valutati più di altri, noi ti imploriamo di liberare, rovesciare, sovvertire lo status quo. E ti chiediamo di incoraggiarci affinché noi si liberi, si rovesci, si sovverta. Dacci forza così che noi si sia il tuo popolo, un popolo chiamato a liberare i prigionieri, un popolo che si crogiola nel tuo infinito amore che cambia la vita e sempre accoglie e tutti ci unisce. Madre, Padre, Amico, Amante e Guida, incarnati in noi, ti preghiamo. Amen.

Questa preghiera viene dal libro “Il pulpito di genere: sesso, corpo e desiderio nella predicazione e nell’adorazione” (2013) della Reverenda battista Angela M. Yarber.

Angela

Angela si è laureata in teologia a Berkeley con una tesi su arte e religione e quella citata non è che una delle sue opere. Il suo primo libro si intitolava “Dar corpo al Femminino nelle danze delle religioni mondiali”, perché oltre ad essere una saggista è una danzatrice e ha poi proseguito lo studio in materia con un altro testo sulla danza nella Bibbia. Collezioni dei suoi sermoni sono pure state stampate.

E come si nota dalle illustrazioni qui sotto, la Reverenda dipinge – è il caso di dirlo – con tutto il cuore: donne divine, donne mitologiche, artiste, rivoluzionarie, sacerdotesse… Chiunque abbia lasciato dietro di sé amore per il mondo e chi lo abita, chiunque ispiri tale amore, sembra dire Angela con i suoi colori e le sue figure, merita una celebrazione.

Pachamama

PACHAMAMA: Il suo cuore tremò e rovesciò all’esterno tutte le montagne, i fiumi e i canyon del mondo. Al suo enorme, grande cuore noi brindiamo.

Maya Angelou

MAYA ANGELOU: Quando il mondo tentò di ingabbiare la sua voce e di abbatterla, il suo cuore esclamò audacemente, orgogliosamente, poeticamente: “Ancora io mi sollevo”. E così fece.

Saffo

SAFFO: Amore saffico e cuore infatuato pulsavano per labbra di miele e anche sensuali. Lei fu una divina amante.

Angela Yarber è apertamente lesbica. Queste poche righe su di lei dimostrano che è anche molto altro, come ogni essere umano che respira su questo pianeta. Niente dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, della sua creatività, della sua spiritualità, della sua capacità di amare merita di essere avvilito dall’omofobia.

cosima

“La mia sessualità non è la cosa più interessante di me.”

STONEWALL, 28 GIUGNO 1969 – OVUNQUE CON ORGOGLIO, 28 GIUGNO 2015

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… le balle che ti raccontano!

(tratto da: “Pop This: how the dance industry caters to paedophilic fantasies with underage girls”, di Jemma Nicoll per Feminist Current, 27.4.2015. Trad. Maria G. Di Rienzo. Jemma, australiana, è giornalista e scrittrice ma è anche la direttrice di “Inspire Creative Arts”, una scuola di danza a Sidney, ed è coinvolta in programmi sullo sviluppo dell’autostima di bambine e ragazze.)

pop that

“La ragazza alla vostra sinistra ha 16 anni. Quella nel mezzo ne ha 14. Quella alla vostra destra ha 12 anni.

E la ditta produttrice di costumi da ballo per cui fanno le modelle pensa vada bene sfruttarle per le fantasie pedofile maschili.

“Pop that”, “Falla scoppiare”: per chi non lo sapesse questa è una frase ispirata dalla pornografia che si riferisce allo “scoppio della sua ciliegia”, cioè al prendere la sua verginità. E’ un genere porno popolare.

E’ anche la frase sovrimpressa all’immagine delle 3 ragazzine modelle sulla homepage di California Kisses (CK), una nota ditta di abbigliamento per la danza.

(…) In una recente pubblicità per il marchio, CK propone una bimba apparentemente fra i 5 e 7 anni d’età, vestita in un succinto costume da Cameriera Francese.

california kisses

CK ha un seguito globale di oltre 278.000 persone su Instagram. Leggendo i commenti che inondano il loro account giornalmente, l’audience può essere divisa in due settori: ballerine, alcune non più che decenni, e uomini più anziani che tranquillamente esprimono la loro gratificazione al vedere le ragazzine in posa per CK. Questo è un estratto esemplificativo dai commenti che la compagnia permette sulla sua pagina e che migliaia di ragazze e bambine possono vedere.

“Fammi un pompino”

“Scoparla dritto nella passera”

“Bel corpo da fottere”

“Buona posizione per fottere”

“Darci dentro”

“Mi godo la foto”

“Mmmh”

“Tette piccole come particelle”

“Troppo piatta. Cosa vuoi indossare se non c’è niente?”

“Questa puttana è anoressica”

“Calda”

“Ragazza sexy”

“Voglio sposarla” (…)

In mezzo ai commenti pedofili ci sono quelli di migliaia di ragazzine che disprezzano i propri corpi e svergognano pubblicamente i volti, le pance, i seni e le cosce di altre ragazze. “Sono così grassa che non ho nessuna possibilità”, dice uno di essi affiancato dall’emoticon della faccina piangente e da una pistola puntata contro di essa.”

Ecco. Magari c’è ancora qualche idiota o qualche connivente pronto a sostenere che roba simile non fa alcun danno alle ragazzine. E poi cosa voglio saperne io che sono decrepita. Quindi ho chiesto. Ho chiesto ad una manciata di amiche, italiane e non, che hanno figlie/sorelle adolescenti di domandare alle ragazze cosa pensano della loro rappresentazione (e in genere della rappresentazione delle donne) sui media. Ho sistemato le risposte in ordine crescente di età e ho celato – ovviamente – i nomi.

“Chi propone le immagini delle ragazze della mia età sui giornali, su internet e in televisione pensa siano quello che noi tutte vogliamo arrivare ad essere. Ma nessuna di queste immagini somiglia a me o alle mie amiche, così quando le vedo nelle pubblicità o nei programmi, mi sembra che dicano: “Dovresti essere come me”. La ragazza tipo, per loro, piace ai ragazzi ed è vestita alla moda. E questo pensano noi si voglia essere. Moltissime ragazze, però, non vogliono essere un’altra persona, hanno le loro personalità, il loro stile e sarebbero contente di vedere un po’ più di diversità in televisione. Davvero: noi non siamo tutte uguali e non vogliamo esserlo.” (12 anni)

“A volte sembra che le ragazze debbano atteggiarsi e apparire in un certo modo perché è quel che ci si aspetta da loro, è quello che vedi dappertutto, e se tu non ti atteggi o non appari in quel modo sei giudicata male e presa in giro. Anche i personaggi femminili dei miei libri preferiti, che di solito sono forti e capaci, sono spesso ritratti come insoddisfatti della loro apparenza.” (12 anni)

“Penso che il modo in cui i media ritraggono le donne costruisca l’idea che il solo modo di essere “bella” sia essere magra e di preferenza bionda e bianca. Personalmente, essendo bassa, bruna e con la pelle più scura sono insicura rispetto alla mia immagine, perché è raro io veda nei media donne e ragazze che mi somigliano. Gli standard attuali della bellezza mi fanno sentire inadeguata. Non andrò mai abbastanza bene, qualsiasi cosa faccia, questo dicono a me.” (14 anni)

“Le persone vengono indotte a pensare che ci sia un unico standard di bellezza. Anche bambine molto piccole sanno già che ci si aspetta da loro un certo tipo di apparenza, che devono “piacere”. I media creano immagini che influenzano le aspettative delle persone, che danno forma alle loro opinioni. La società pone aspettative altissime sull’apparenza delle donne e non dà loro un minimo di rispetto. E tutti quegli articoli e programmi che parlano di “come star bene nel tuo corpo” o di fare cose per “sentirti meglio rispetto al tuo corpo” partono dall’assunto che le donne odino il modo in cui appaiono. Diventa una profezia che si auto-avvera.” (15 anni)

“Alle medie, quando le mie compagne di scuola – che pensavano di essere più belle di me – hanno cominciato a indicare i loro “difetti”, io ho cominciato a cercare i miei. Loro dicevano di avere le “cosce grosse”, be’, allora le mie erano enormi, giusto? Dicevano di avere queste grandi pance e io guardavo la mia e non riuscivo a capire cosa stavano vedendo. Che tipo di occhiali faceva vedere loro cose inesistenti? Avevano le top model stampate sulle pupille.” (16 anni)

Non esiste un corpo perfetto o un corpo normale o un corpo “nella media”. Ogni persona ha un tipo di corpo individuale, differente, e ha idee diverse e bisogni diversi su quel che serve a farla essere in salute e felice e con energie da spendere. Io l’ho capito da poco e vorrei me lo avessero spiegato quando ero più piccola.” (17 anni)

Sì, per favore e per amore: spiegatelo alle vostre figlie e sorelle e amiche e compagne, spiegatelo e continuate a spiegarlo qualsiasi sia la loro età. Maria G. Di Rienzo

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tunisi

Devo assolutamente ringraziare questa splendida signora di cui non so neppure il nome. E per una cosa un po’ strana, tra l’altro. Devo ringraziarla per avermi fatto venire le lacrime agli occhi – lacrime di felicità e di sollievo – non appena ho visto la sua immagine.

La signora ha aperto le danze delle donne tunisine, ieri 24 marzo 2015, davanti al Museo Bardo: quello dove un attacco terroristico ha ucciso venti persone la settimana scorsa. In occasione della riapertura del Museo, le donne di Tunisi hanno celebrato la vita, la resistenza, la perseveranza, l’essere insieme e l’esserci ancora, l’essere insieme ancora, per scelta e con gioia e in tutta l’energia sublime di piedi danzanti. Un terremoto causato da corpi di donne in movimento, così forte e insieme così gentile che rovescerà sottosopra questo pianeta. Vi amo tutte, amo in profonda gratitudine e profondo rispetto ogni singolo centimetro di ciascuna di voi. Maria G. Di Rienzo

(L’immagine è di Zoubeir Souissi per Reuters.)

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2015 banner

Perché One Billion Rising, perché ballare, che significa “rivoluzione”?

Puoi avere le tue risposte qui: http://obritalia.livejournal.com/

Ma comunque ti dirò il mio, di perché e che volto ha una rivoluzione per me.

Il fatto è, per cominciare, che a me le donne piacciono davvero.

Mi piacciono a livello visivo, tutte. Età, altezza, peso, colori (pelle occhi capelli), eccetera, costruiscono singole figure irripetibili, con innumerevoli varianti e sfumature: lo trovo magico, commovente, mi incanta.

Mi piacciono per quel che fanno, dalle casalinghe alle astronaute.

Mi piace il loro cuore – passione e coraggio – per cui cerco, ascolto, leggo e racconto le storie delle attiviste per i diritti delle donne e il cambiamento sociale più spesso che posso.

Mi piacciono i loro linguaggi e i loro messaggi, quel che creano con il pensiero e con le mani: letteratura, poesia, saggistica, pittura, musica, teatro, danza, cinema, artigianato, cucina, erboristeria, sartoria…

India, Ananya Dance Theatre, performance sulla giustizia ambientale

India, Ananya Dance Theatre, performance sulla giustizia ambientale

Molte delle donne di cui traduco i pezzi e le interviste, o di cui narro le vicende, sono assai diverse da me. Alcune loro scelte non sono quelle per cui opterei io. Non tutto quel che dicono e fanno mi vede d’accordo al 100%. Ma fintanto che è sincero, onesto, appassionato e va nella direzione giusta – una vita migliore, una comunità migliore, un mondo migliore – lo onoro e mi piace.

Mi piace il riuscire a vedere ed apprezzare le altre donne nonostante le raffiche costanti dei messaggi d’odio diretti ai nostri corpi, alla nostra storia, alla nostra capacità di avere relazioni significative l’una con l’altra, alla nostra presenza ed esistenza qualora esse non si conformino alle regole patriarcali.

La mia rivoluzione è un mosaico di volti e di corpi di donne che frammentano, smantellano, cancellano la violenza: e nello spazio che si forma dalla sparizione di quest’ultima creano e curano e tessono e inventano ancora più di quanto già fanno. Data la gratitudine immensa che provo per quanto già fanno, potrei danzare di gioia tutti i giorni dell’anno e ad ogni ora del giorno. Mi sta più che bene farlo in compagnia il 14 febbraio prossimo.

Volevi sapere perché. Adesso lo sai. Le donne mi piacciono. Maria G. Di Rienzo

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dimostrazione contro violenza di genere - kabul

Quando Anne Rimmer, di Front Line Defenders (ong internazionale di attivisti per i diritti umani), ha incontrato quest’anno le difensore dei diritti umani delle donne in Afghanistan, si aspettava le testimonianze agghiaccianti che ha in effetti ricevuto:

“Una partecipante (all’incontro) che lavora in un rifugio per donne sopravvissute alla violenza è stata assalita e una pistola è stata puntata alla sua tempia nel tentativo di farle rivelare dove si trovasse una giovane donna: Non avrei mai potuto dirlo e non l’ho detto. – ha spiegato – Devo fare il mio lavoro.

Ricevono le cosiddette “lettere notturne”, ovvero messaggi di morte infilati sotto le loro porte; alcune sono attaccate con l’acido, altre con esplosivi. Spesso non rivelano neppure ai familiari il loro lavoro di attiviste per i diritti umani – e nemmeno al personale degli uffici in cui lavorano: Ai miei parenti ho detto che faccio l’insegnante, Persino chi fa le pulizie può venderti ai talebani o a chiunque altro in qualsiasi momento.

Vivendo da anni fra rischi e minacce, le attiviste tendono a non farci troppo caso, ma hanno raccontato dei costi che ciò comporta a livello personale e relazionale. La depressione e l’esaurimento sono conseguenze abbastanza comuni. Da Anne, che è una trainer esperta, hanno ricevuto consigli su come ridurre la possibilità di essere aggredite e come analizzare i messaggi minacciosi per cercare di comprenderne la reale portata; poi, parlando di come mantenersi in salute fisica e mentale in un paese devastato in cui spesso le donne non hanno accesso neppure alla passeggiata in un parco, le donne afghane avevano il loro consiglio da dare: Danza dal profondo del tuo cuore.

danzatrice afgana

E’ quello che fanno. Dopo una giornata vissuta in salita, dopo l’ennesima fatica e l’ennesima sofferenza, danzano per se stesse nelle case o negli uffici, alla musica che viene dai loro spiriti indomabili. Maria G. Di Rienzo

P.S. Il che, oltre ad essere splendido, mi ricorda qualcosa…

one-billion-rising

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