(tratto da: “Female chefs take a stand against sexist kitchen culture”, un più ampio articolo di Zosia Bielski per The Globe and Mail, 1° settembre 2015, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)
Che direste se arrivando al lavoro trovaste il disegno di un pene sulla vostra scrivania, cortesia fattavi dal vostro capo? O se quello stesso capo vi prendesse da parte per mostrarvi sul suo cellulare un’istantanea del proprio pene? E se cominciasse a darvi strizzate fra le gambe in ufficio? Quando resistereste in quel lavoro?
La cuoca pasticcera Kate Burnham racconta che questi scenari disturbanti sono accaduti a lei e nel 2014 ha presentato una denuncia per violazione di diritti umani contro tre chef suoi superiori nel ristorante Weslodge, a Toronto.
(Kate Burnham)
Burnham ha dichiarato nella denuncia di essere stata molestata verbalmente e che di routine sul lavoro le venivano toccati il seno e l’inguine, fra le altre indegnità. Sessismo, bullismo e rabbia continuano ad appestare molte cucine ad alta adrenalina e dominio maschile. Dopo che Burnham ha reso pubblica la sua storia in giugno, molte le si sono radunate intorno per condannare la rampante misoginia dell’industria della ristorazione.
Jen Agg, proprietaria del ristorante di Toronto “Black Hoof and Rhum”, si è spinta oltre: ha organizzato “Kitchen Bitches,” – http://kitchenbitches.ca/ – una conferenza il cui motto è “Fare a pezzi il patriarcato un piatto alla volta.” (Toronto, giovedì 3 settembre 2015)

Lo scopo, secondo il sito web, è “cambiare l’antiquata, ridicola nozione mantenuta ancora da troppe persone, che le donne non siano al loro posto nelle cucine dei ristoranti o in posizioni di dirigenza.” Fra le relatrici Suzanne Barr, proprietaria di “Saturday Dinette” e Sophia Banks, attivista transgender e cuoca al “The Beaver”, entrambe di Toronto. Noi abbiamo parlato con un’altra partecipante, che a Toronto è nata: Amanda Cohen, chef e proprietaria di “Dirt Candy”, un premiato ristorante vegetariano di New York.
Qual è stata la tua reazione, quando sono emerse le accuse relative al “Weslodge”?
Amanda Cohen (AC): Sono stata sorpresa e non lo sono stata allo stesso tempo. E’ ancora una parte della “cultura delle cucine”. Vorresti credere che non accada, ma accade.
Come mai il bullismo e le attitudini sessiste sono così radicate nella cucine professionali?
AC: Viene dall’idea francese di gerarchia nella cucina. C’è anche una mentalità da nonnismo: “Io ci sono passato, perciò adesso tormento te. Se vuoi farcela, devi passare attraverso queste prove.”
Jen Agg ha parlato di una specie di “fratellanza” che domina la scena dei ristoranti di Toronto. C’è un machismo giovane che gioca nelle dinamiche di genere in cucina?
AC: Quel che abbiamo è un bel mucchio di giovani senza troppa istruzione. Se i capi non li sorvegliano, possono oltrepassare la misura con il bullismo e gli abusi sessuali. E se i loro capi sono in cucina e il bullismo gli sta bene, avremo un’intera generazioni di cuochi che agiranno in tal modo.
Alcuni dei ragazzi che lavorano per me sono assai giovani; vengono fuori direttamente dalle superiori. Parliamo molto all’interno del nostro staff perché qualsiasi cosa noi facciamo, loro la copiano. Stanno imparando ad essere adulti nelle nostre cucine.
Lo chef Rene Redzepi di “Noma”, il cui ristorante ha due stelle Michelin, ha scritto di recente contro la misoginia nelle cucine. Ha chiesto ai cuochi di “uscire dal medioevo” e ha posto una domanda importante: “Possiamo essere migliori? Forse la vera domanda è: Vogliamo essere migliori?” Tu vedi della reticenza nel lasciare il medioevo?
AC: Ci sono alcuni che vogliono attenersi alla vecchia maniera. Ma ci sono troppi altri di noi che vogliono un cambiamento e non intendono tollerare oltre.
Perché alcuni chef sono riluttanti allo smettere di usare il bullismo con il loro staff? Cosa guadagnano da questo comportamento?
AC: Nulla. Alla fine non ne ricavi niente. I tuoi cuochi non diventano cuochi migliori, diventano solo persone disposte ad urlare addosso ad altre persone. Avendo lavorato in un paio di cucine di questo tipo e dirigendo la mia da 12 anni, ho scoperto che guadagno assai di più se piaccio ai miei sottoposti. Se non sono terrorizzati da me e mi rispettano, vogliono più facilmente restare e io non voglio perdere i miei cuochi: spendo un sacco di tempo ad istruirli e ad investire su di loro.
Kate Burnham era arrivata al punto di aver paura di andare al lavoro. Come suo capo, perché dovresti volere questo? Come convivi con te stesso nell’ambiente che tu stesso hai creato?
Cosa cambierà il sessismo nell’industria della ristorazione?
AC: E’ solo da un paio d’anni che la gente si è resa conto come l’industria abbia bisogno di essere regolata. Stiamo cominciando a pensare a politiche migliori, come al non imporre orari di lavoro troppi lunghi. Non abbiamo ancora il congedo di maternità. Non abbiamo regole nelle cucine, non ci sono standard a cui attenersi. Perciò non si tratta di cambiamento repentino, cambiamo le cose giorno dopo giorno.
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