(brano tratto da: “Breaking Out of the Domination Trance”, di Riane Eisler per Kosmos – inverno 2018, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Si tratta della trascrizione dell’intervento di Eisler al Summit 2018 sulla Sicurezza in Irlanda. Riane Eisler è presidente del “Center for Partnership Studies”, femminista, avvocata per i diritti umani di donne e bambine/i, autrice di libri tradotti in tutto il mondo: l’immagine la ritrae con uno di essi. Il suo sito è rianeeiesler.com )

(…) In numero sostanziale stiamo cominciando a emergere da quella che io chiamo la “trance del dominio”, una trance perpetuata da tutte le nostre istituzioni, i nostri sistemi di credenze, da ambo le nostre narrative – popolare e scientifica, e persino dal nostro linguaggio, perciò stiamo solo cominciando a vedere qualcosa che, una volta articolato, può apparire ovvio: che i modi in cui una società costruisce i ruoli e le relazioni fra le due forme base della sua specie – maschile e femminile – così come costruisce le relazioni durante la prima infanzia, sono in effetti istanze sociali che hanno impatto diretto sul fatto che tutte le nostre istituzioni sociali (dalla famiglia all’istruzione, dalla religione alla politica e all’economia) siano egualitarie o diseguali, autoritarie o democratiche, violente o nonviolente. (…)
Nessuna società è un sistema di assoluto dominio o assoluta cooperazione; si tratta di un continuum cooperazione-dominio. Ma voglio darvi brevemente qualche esempio di società contemporanee che sono vicine all’estremità del dominio della bilancia sociale. Sono società molto differenti se le osserviamo solo attraverso le lenti delle categorie sociali convenzionali: la Germania nazista di Hitler, un società di destra occidentale e laica; la Corea del Nord di Kim Jong-un, una società di sinistra orientale e laica; i Talibani dell’Afghanistan, una società orientale religiosa; i regimi teocratici a cui aspirano i fondamentalisti religiosi occidentali.
Nonostante tutte le loro differenze, queste società condividono la configurazione chiave del dominio:
* Consistono di gerarchie di dominio, non solo nello Stato ma anche nella famiglia e in tutte le istituzioni che stanno nel mezzo.
* Sostengono un sistema di valori basato sul genere. Danno un rango superiore al maschile sul femminile, con rigidi stereotipi su femminilità e mascolinità e, tramite questi, svalutano qualsiasi cosa considerata “tenera” o femminile a livello culturale, come l’avere cura, il prestare assistenza e la nonviolenza, che sono considerate cose totalmente non appropriate per i “veri uomini”, vanno bene solo per gli “effeminati” o per le deboli sorelle, e non sono parte del sistema di valori guida in ambito sociale ed economico.
* La terza componente chiave delle configurazioni sociali del dominio – e queste componenti si sostengono l’una con l’altra – è la violenza condonata e idealizzata socialmente. Dal pestaggio di figli e moglie ai pogrom allo stato di guerra cronico, mantenere i rigidi ordinamenti superiore-inferiore del dominio (uomo sopra donna, uomo sopra uomo, razza sopra razza, religione sopra religione e così via) richiede un alto grado di violenza incorporata, inclusa la violenza contro donne e bambini che, qui, stiamo lavorando per lasciare indietro.
Al contrario, la configurazione chiave del sistema di cooperazione consiste di:
* Una struttura democratica ed egualitaria sia nella famiglia che nello Stato o tribù, e in tutte le istituzioni che stanno nel mezzo.
* Relazione paritaria d’eguaglianza fra donne e uomini e, con questo, alta valutazione delle caratteristiche e delle attività cosiddette “tenere” o femminili sia nelle donne sia negli uomini, così come nelle politiche sociali ed economiche.
* Un basso livello di violenza incorporata; c’è qualche forma di violenza, ma non è necessaria a mantenere gerarchie di dominio. I sistemi orientati alla cooperazione hanno anche gerarchie, ma sono gerarchie relative alla concretizzazione, dove il potere – come vediamo sempre di più mentre tentiamo di muoverci verso la cooperazione – non è potere sugli altri, ma potere di fare e potere con gli altri.
Di nuovo, le culture che si orientano verso il lato della cooperazione possono per altri aspetti essere molto diverse. Possono essere società tribali, come per i Teduray delle Filippine; società agrarie, come per i Minangkabau di Sumatra; possono essere società tecnologicamente avanzate come Svezia, Finlandia e Norvegia.
Voglio sottolineare che l’archeologia, lo studio delle mitologie, gli studi sul DNA, la linguistica e altre discipline stanno documentando ora che per la maggior parte dell’evoluzione culturale umana le società sembrano essersi orientate primariamente sulla bilancia sociale verso la cooperazione.
Non sto parlando solo delle migliaia di anni in cui gli esseri umani hanno vissuto in società che raccoglievano-cacciavano cibo, il che è ormai documentato assai scrupolosamente, sto parlando delle nostre primissime società agricole.
Per esempio, la città turca di Çatalhöyük, dove andando a ritroso di 8.000 anni non vi sono segni di distruzione dovuta a guerre; non vi sono segni di grosse disparità fra abbienti e meno abbienti negli oggetti rinvenuti nelle case e nelle tombe e, come ha notato Ian Hodder (l’archeologo che attualmente sta scavando a Çatalhöyük), questa era una società in cui le differenze sessuali non si traducevano in differenze di status o di potere. (…)
Il nostro compito è inaugurare un’intera nuova visione del mondo in cui le questioni che direttamente hanno effetto sulle vite, e troppo spesso sulle morti, della maggioranza dell’umanità – donne e bambini – siano riconosciute come fattori chiave per costruire un futuro più equo, più sostenibile e più sicuro.
La prima pietra angolare: Relazioni nell’infanzia
Sappiamo dalla neuroscienza che quel che i bambini sperimentano e osservano nelle loro famiglie e nelle altre relazioni precoci interessa niente di meno che il modo in cui il nostro cervello si sviluppa e queste esperienze e osservazione sono direttamente modellata dal grado in cui un ambiente culturale si orienta verso la cooperazione o verso il dominio.
Considerate che quando relazioni familiari basate su violazioni croniche dei diritti umani sono considerate normali e morali, esse forniscono modelli per condonare violazioni simili in altre relazioni. E se queste relazioni sono violente, i bambini apprendono che la violenza di chi ha potere su chi ne ha meno è accettabile nel maneggio dei conflitti o problemi e per mantenere o imporre controllo. Non apprendono questo solo a livello emotivo e mentale, ma a livello neurale.
Questo è il motivo per cui le relazioni nell’infanzia sono così importanti e il motivo per cui abbiamo bisogno di una campagna globale per mettere fine alla pandemia di tradizioni di abuso e violenza nei confronti dei bambini.
La seconda pietra angolare: Relazioni di genere.
Come una società costruisce i ruoli e le relazioni delle due forme base dell’umanità – donne e uomini – non ha effetto solo sulle individuali opzioni di vita per donne e uomini, ha effetto sulle famiglie, sull’istruzione, sulla religione, sulla politica, sull’economia: ciò che consideriamo di valore o non di valore e ciò che crediamo sia morale o sia immorale.
Mentre il movimento globale delle donne si diffonde, più uomini hanno cura dei piccoli, più donne entrano in posizioni guida economiche e politiche, ma è tutto troppo lento. Ci stiamo mettendo troppo anche a cancellare la pandemia globale di discriminazione, abuso e violenza contro le donne che ho documentato in molti miei lavori.
Ciò di cui abbiamo urgentemente bisogno – e, di nuovo, ciò accadrà solo se lo faremo accadere – è una campagna globale per relazioni di genere eque e nonviolente. Ciò ci porta alla terza pietra angolare per costruire una società di cooperazione.
La terza pietra angolare: Relazioni economiche.
Le quattro fondamenta sono interconnesse e si rinforzano reciprocamente, perciò voglio cominciare con i nostri sistemi di valori sul genere e su come la svalutazione delle donne e del “femminile” abbia impatto diretto sulla generale qualità della vita in una società. C’è evidenza empirica di ciò in numerosi studi, i quali confermano come i Paesi che hanno un basso divario di genere sono anche i Paesi che hanno più successo economico.
Una ragione ovvia è che le donne sono metà della popolazione. Ma ce n’è un altra: sino a che metà dell’umanità a cui sono associati valori come cura, compassione e nonviolenza resta subordinata e esclusa dall’amministrazione sociale, così lo saranno questi valori.
Di conseguenza, gli attuali sistemi economici – siano capitalisti o socialisti – non sono capaci di affrontare le sfide senza precedenti che abbiamo di fronte a livello economico, ambientale e sociale. Sia il capitalismo sia il socialismo non solo vengono dall’era industriale, e noi siamo ormai ben avanti nell’era post-industriale, ma entrambi sono emersi in epoche che li hanno orientati notevolmente di più, nel continuum, verso il lato del dominio
Perciò, mentre possiamo voler conservare qualsiasi elemento di cooperazione vi sia nelle teorie capitaliste e socialiste, dobbiamo andare oltre entrambe verso quella che io chiamo “economia di cura”. Capisco che la gente resta allibita nel sentire “cura” e “economia” nella stessa frase, ma non è questo un terribile commento su come siamo stati socializzati ad accettare che i sistemi economici debbano essere diretti da valori insensibili?
Questo deve cambiare e un primo passo per il cambiamento è come misuriamo la salute economica. Perché ora sappiamo che se il valore del lavoro di cura nelle case fosse incluso nel PIL costituirebbe non meno del 30/50% di esso. In effetti, investire nella cura è molto redditizio, non solo in termini umani e ambientali ma puramente finanziari. Le nazioni nordiche erano così povere all’inizio del ventesimo secolo da soffrire di carestie, ma le loro successive politiche di cura furono un investimento chiave: oggi queste nazioni non solo hanno i più bassi tassi di divario di genere, ma regolarmente hanno alti posti in classifica nei rapporti sulla competitività economica del World Economic Forum.
Svezia, Norvegia e Finlandia hanno ora generalmente alti standard di vita per tutti, senza divari enormi fra abbienti e meno abbienti; hanno molta più equità di genere sia nella famiglia che nella società, perciò le donne sono circa metà del Parlamento nazionale. Per quel che riguarda la violenza, sono state pioniere sugli studi di pace e hanno emesso le prime leggi che proibiscono le punizioni fisiche ai bambini nelle famiglie.
Quel che vediamo qui è un forte movimento verso la configurazione della cooperazione – e una grossa parte di questa configurazione avviene perché avendo le donne status più alto queste nazioni danno maggior valore a caratteristiche e attività stereotipicamente femminili come sostegno, nonviolenza, cura; hanno congedi di maternità/paternità pagati generosamente, servizi per l’infanzia di alta qualità e universalmente accessibili; assistenza dignitosa agli anziani e altre politiche di cura. E questa configurazione sociale di cooperazione sostiene uno stile di vita più equo, pacifico, prosperoso e sostenibile. Ciò mi porta alla quarta pietra angolare: perché avreste mai saputo qualcosa di tutto questo dalle nostre narrazioni convenzionali?
La quarta pietra angolare: Narrative e linguaggio.
Le vecchie storie che abbiamo ereditato da tempi di dominio più rigido idealizzano la conquista e la dominazione – di persone o della natura – come mascoline, desiderabili e inevitabili. Queste storie non sono solo incapaci di adattamento, sono inaccurate. Noi esseri umani abbiamo un’enorme capacità di consapevolezza, cura e creatività, ma esse sono inibite o distorte in ambienti che privilegiano il dominio sulla cooperazione.
Per cui sta a noi, a voi, cambiare queste vecchie storie e questo è un tema portante in tutti i miei libri, perché noi umani viviamo di storie!
Dobbiamo anche operare cambiamenti nel linguaggio. Stante la nostra eredità culturale di dominio, non dovrebbe sorprenderci che le sole categorie in cui la nostra lingua descrive le relazioni di genere siano patriarcato e matriarcato. E questo cosa ci dice? Che le nostre uniche alternative sono: o comandano gli uomini o comandano le donne. La lingua che abbiamo ereditato da epoche di dominio più rigido non ha parole per descrivere relazioni di genere egualitarie, e questa è la ragione per cui il nuovo linguaggio della cooperazione è così essenziale.
(Ndt. Quel che io ho tradotto come “cooperazione” si poteva anche rendere come “mutualità”.)
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