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(“Those in power are afraid of us”, intervista a Gé-Gé Katana di Anna Lithander per Kvinna till Kvinna, 13 novembre 2014, trad. Maria G. Di Rienzo. L’immagine di Katana è di Cato Lein.)

Katana

Gé-Gé Katana è una difensora dei diritti delle donne che lavora ad Uvira, nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e riveste un ruolo centrale nella lotta per la posizione delle donne nella società, che implica anche un bel mucchio di resistenza. Le minacce contro di lei sono state numerose; è stata imprigionata e costretta all’esilio.

“Sono stata un’attivista da quando ho memoria. La cosa cominciò quando ero piccola e vedevo il modo in cui le donne erano trattate da mio nonno, che era l’anziano del villaggio. Molte donne del villaggio erano costrette a lavorare per lui, a coltivare i suoi campi, a lavare i suoi vestiti e a fare le pulizie in casa sua. Quando arrivava, le donne dovevano inginocchiarsi e acclamarlo. E io mi chiedevo: Cos’hanno fatto per essere punite in questo modo?“, dice Gé-Gé Katana.

A scuola promuoveva i diritti delle bambine e ha continuato sullo stesso sentiero: oggi è la leader di SOFAD (Solidarité des Femmes Activistes pour la Défense des Droits Humains), il cui scopo è arrivare ad includere più donne nelle sedi decisionali dei villaggi e delle città. Un’istanza controversa, in una società in cui una donna è vista come qualcuno che non ha il diritto di parlare contro un uomo, dove le donne non ricevono eredità dai loro padri, dove la violenza contro le donne è un problema grave in generale e non lo è di meno nelle case.

La parte orientale della RDC è stata pesantemente interessata dalla guerra negli ultimi anni ’90, durante i quali milioni di persone persero la vita e la violenza sessuale contro le donne fu usata come tattica di guerra. In quel periodo, Gé-Gé Katana girava per i villaggi attorno Uvira per parlare alle donne e raccogliere prove degli abusi a cui erano soggette: “La preoccupazione principale era che ogni famiglia aveva almeno un figlio nell’esercito. Io dicevo: Dobbiamo opporci alla guerra! Ho tentato di fare in modo che le donne unissero le forze e mettessero fine alle uccisioni.”

Le donne la ascoltavano, ma Gé-Gé Katana cominciò ad avere problemi. Gli uomini la accusavano di essere una simpatizzante del nemico – i gruppi militari provenienti dal Ruanda, mentre questi ultimi si convinsero che stava lavorando contro di loro. E un giorno fu arrestata.

“Mi minacciarono con la galera e la tortura. Mi costrinsero a guardare mentre un prigioniero veniva torturato con chiodi e pestaggi. Quelle immagini vivono ancora nei miei incubi.” Gé-Gé Katana fu rilasciata e messa agli arresti domiciliari. Qualsiasi cosa facesse, era sorvegliata. Poteva andare al lavoro, ma solo se accompagnata dalle guardie. “Imparai davvero cosa significa trauma. Potevo dormire, avevo cibo, ma ero in trappola.”

Dopo mesi di sorveglianza, Amnesty International aiutò Gé-Gé Katana ad essere liberata dagli arresti domiciliari. Per un po’, andò in esilio sulle isole di Capo Verde. Tuttavia, presto cominciò a ricevere informazioni su come suo marito e i suoi bambini erano minacciati a casa, ad Uvira, e là tornò.

Sebbene un trattato di pace sia stato firmato nel 2003, la parte orientale della RDC è ancora una regione instabile. Restano molte gruppi ribelli, collegati alle varie etnie, che attaccano brutalmente la popolazione civile. Sovente, i conflitti ruotano attorno al possesso della terra. SOFAD organizza “club della pace”, dove donne provenienti dai diversi gruppi etnici si riuniscono ed apprendono come reclamare il proprio spazio e far sentire le proprie voci contro la violenza e per la pace.

Attualmente, Gé-Gé Katana è una persona assai rispettata, ad Uvira: “I potenti hanno paura di noi. Capiscono che siamo una forza con cui devono fare i conti. Oggi, quando SOFAD organizza assemblee allargate, la polizia, l’esercito e i politici vogliono partecipare. Sanno di aver bisogno di farsi vedere con noi, di mostrare che sono con noi.”

A Gé-Gé Katana è stata offerta una posizione prestigiosa nel governo, ma ha rifiutato: “Hanno tentato di comprarmi. Corruzione. Il lavoro per il cambiamento dev’essere fatto al di fuori delle strutture esistenti. Per prendere potere, devi sfidare il potere. Ricevo ancora minacce e ci sono posti in cui so di non poter andare, ma ci sono così tante persone a sostenermi che non posso fermarmi. Questo è quel che penso quando sorgono i dubbi. Quelle persone: io lavoro per loro.”

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