(“The Leash”, di Ada Limón, poeta statunitense contemporanea – in immagine – trad. Maria G. Di Rienzo.)
IL GUINZAGLIO
Dopo la nascita di bombe di divisioni e paura
le frenetiche armi automatiche scatenate
uno spruzzo di pallottole in una folla che si tiene per mano,
il cielo brutale che si apre in fauci di ardesia metallica
che inghiotte solo l’indicibile in ognuno di noi, cosa
resta? Persino il fiume nascosto nel deserto è avvelenato
reso arancione e acido da una miniera di carbone. Come puoi
non temere l’umanità, non voler leccare il letto
del torrente sino a che si secca, succhiare l’acqua mortale nei
tuoi stessi polmoni, come veleno? Lettore, io voglio
dirti: Non morire. Neppure quando pesce argenteo dopo pesce
viene a galla con la pancia in alto, e il paese precipita
in un crepitante cratere di odio, non c’è ancora
qualcosa che canta? La verità è: non lo so.
Ma qualche volta, giuro di sentirla, la ferita che si chiude
come un’assai arrugginita porta di garage, e posso ancora muovere
le mie membra viventi nel mondo senza troppo
dolore, posso ancora meravigliarmi di come la cagna corra diritta
verso i camioncini a rotta di collo giù
per la strada, perché lei pensa di amarli,
perché è sicura, senza alcun dubbio, che le chiassose
ruggenti cose la ameranno a loro volta, il suo piccolo soffice sé
vivificato dal desiderio di condividere il suo dannato entusiasmo,
sino a che io strattono il guinzaglio per salvarla perché
voglio che sopravviva per sempre. Non morire, dico,
e decidiamo di camminare un altro po’, gli storni
alti e frenetici sopra di noi, l’inverno che arriva per mettere
a giacere il suo cadavere freddo su questa piccola porzione di Terra.
Forse facciamo sempre sfrecciare il nostro corpo verso
la cosa che ci annienterà, implorando amore
dal frettoloso passare del tempo, e perciò forse,
come l’obbediente cagna alle mie calcagna, possiamo camminare insieme
pacificamente, almeno sino a che non arriva il prossimo camion.