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malebogo malefhe

Malebogo Malefhe, in immagine, è la vincitrice del premio “International Women of Courage” del 2017, conferito a donne che affrontano rischi considerevoli e mettono in gioco le loro vite per portare cambiamenti positivi nelle loro comunità.

Malefhe, oggi 37enne, giocava nella nazionale di basket del suo paese, il Botswana. Nel 2009, l’uomo con cui aveva una relazione da dieci anni le piantò otto pallottole in corpo e poi si uccise. Malefhe sopravvisse, ma con lesioni alla spina dorsale così gravi da non poter più camminare: “Ho dovuto imparare ad usare di nuovo il mio corpo. Ho dovuto imparare a vivere di nuovo. Mi sentivo come se fossi caduta in un pozzo senza fondo e mi ci è voluto un bel po’ di coraggio per risalire. E quando l’ho fatto, ho guardato alla mia vita e mi sono detta: Posso usare la mia storia per aiutare le donne. Quando la gente viene a sapere che uso una carrozzella perché il mio fidanzato mi ha sparato, di solito chiede: Cosa gli avevi fatto? Io sto lavorando per assicurarmi che a nessuna donna vittima di violenza domestica sia mai più fatta questa domanda.”

Così Malebogo Malefhe è diventata un’attivista antiviolenza; conosce le radici della violenza di genere: “Abbiamo norme culturali che limitano le donne, come il prezzo della sposa – la dote. Incatena le donne agli uomini e fa pensare a questi ultimi che quando hanno pagato la donna è di loro proprietà. Sempre per tali norme culturali alle donne non è permesso dar voce a un’opinione contraria a quella dei loro mariti.”, conosce il contesto in cui avviene: “Io dico alle donne di riconoscere i segnali premonitori, di andarsene quando ancora possono farlo e di denunciare. Potrebbero non avere la mia stessa opportunità di sopravvivere. Alcune perdono le loro vite, altre finiscono rinchiuse in istituti perché hanno perso la loro salute mentale a forza di subire pestaggi e abusi.”, conosce il fondamento che permette a una donna di sollevarsi e lo chiama “amore di sé”: “Con altre donne che lavorano contro la violenza incontro una volta al mese un gruppo di ragazzine. Vengono da piccoli villaggi e sono povere, molte hanno già abbandonato la scuola. Noi insegniamo loro il valore dell’avere i propri scopi. Per farlo, devono guardare dentro se stesse e capire cosa vogliono fare delle proprie vite.”

Malefhe non ha abbandonato neppure lo sport: gioca a basket con altre persone in carrozzella e sta cercando di convincere le donne con disabilità a partecipare alle Paralimpiadi. Maria G. Di Rienzo

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“Ora non sono solo una donna, una nonna o una madre. Sono un’ingegnera solare. Quel che gli uomini possono fare, io posso farlo e persino farlo meglio di loro.” Questa è stata la dichiarazione di Evelyn Clemente, filippina, al suo ritorno in patria nel marzo scorso.

nonne ingegnere solari

(da sinistra Evelyn Clemente, Magda Salvador, Cita Diaz e Sharon Flores – 16 marzo 2015)

Assieme alle altre tre nonne dell’immagine, Evelyn ha passato 6 mesi nel nord dell’India a studiare, frequentando il Collegio Piediscalzi di cui vi ho già parlato

(https://lunanuvola.wordpress.com/2011/07/12/donne-del-sole/),

un luogo in cui si addestrano donne rurali da ogni parte del mondo, più spesso che no analfabete e anziane, come ingegnere solari, ma anche a far le dentiste o a lavorare i metalli.

Le quattro donne filippine hanno appreso a costruire e riparare lampade e pannelli ad energia solare: questi ultimi saranno da loro installati gratuitamente in 200 case delle loro comunità con il sostegno, fra gli altri, del gruppo femminista “Diwata”. In cambio, i villaggi costituiranno fondi per pagare le nonne per il lavoro di installazione e manutenzione, il che consentirà loro di avere degli introiti con cui già pensano di pagare l’istruzione delle loro e dei loro nipoti.

Duecento può non sembrare un grosso numero, ma portare dell’elettricità “pulita” (e sostenibile come costi) nelle comunità rurali cambia completamente le esistenze di chi ne fa parte. In Tanzania, i villaggi delle “nonne solari” hanno investito i soldi risparmiati in questo modo nei campi della sanità e della comunicazione. In Botswana, le donne di un’intera cittadina agricola hanno ridotto sensibilmente, grazie ai pannelli solari, il tempo speso nelle faccende domestiche (fra cui la raccolta di materiale combustibile ecc.) e la loro prole usa le lampade solari per studiare dopo il tramonto. “Il mondo per noi e i nostri figli è cambiato.”, dicono con orgoglio e sollievo.

Le Filippine, nonostante la recente crescita economica, hanno un quarto della popolazione in stato di povertà. Una persistente mancanza di energia elettrica nell’intera nazione causa disagi e danni in ogni settore della vita civile, dal commercio al lavoro produttivo, ma è fonte di particolari sofferenze e fatiche nelle aree rurali. Mandare le quattro nonne all’estero affinché diventassero ingegnere solari si è rivelato anche un messaggio di speranza per i settori più fragili economicamente e socialmente: i popoli indigeni, le comunità agricole, le donne.

“L’eguaglianza di genere (…) è una precondizione per l’avanzamento dello sviluppo e per la riduzione della povertà.” – United Nations Population Fund.

Evelyn Clemente questo lo sa: la sua intenzione è passare ad altre donne la conoscenza acquisita. “Voglio che abbiano la stessa opportunità di dar potere a se stesse e creare impiego per se stesse ed altri. La gran cosa che noi abbiamo imparato è il costruire lanterne solari. Adesso dobbiamo raccogliere abbastanza fondi per migliorare le nostre nozioni e trasmetterle ad altre madri.” E allora vi auguro buona Festa della Mamma, Evelyn e Magda e Cita e Sharon: consideratemi una figlia adottata virtualmente e molto, molto orgogliosa di voi. Maria G. Di Rienzo

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