Il 13 marzo scorso, durante l’annuale Commissione sullo status delle Donne tenuta dalle Nazioni Unite, si è tenuto un incontro dal titolo “La violenza non conosce confini”. Organizzazioni della società civile, personale delle NU, testimoni e sopravvissute hanno parlato, dicono i rapporti, degli “orrori della violenza di genere” (che, come sapete, è solo un’invenzione delle femministe, mentre la parola “genere” nasconde una turpe agenda ecc. ecc.).
Fra le relatrici c’erano le due giovani in immagine: la 17enne Hauwa e la 18enne Ya Kaka, venute dal nord della Nigeria a raccontare come sono state rapite da membri di Boko Haram, cosa questi ultimi hanno fatto loro e come sono fuggite dalla brutalità e dalla violenza sessuale continuate.
Hauwa è stata rapita quando aveva 14 anni. E’ stata portata in un accampamento nella foresta dove ha subito ogni sorta di abusi. Rimasta incinta, è fuggita perché la paura di morire partorendo è diventata più grande della paura di essere uccisa: “Ho deciso che invece di star quieta e di morire in silenzio nella boscaglia, era meglio morire mentre lottavo per scappare.”
Uscita di soppiatto dall’accampamento durante la notte, ha camminato per una settimana prima di incontrare una donna anziana. Costei l’ha ospitata sino a che Hauwa ha partorito una bimba, poi la ragazza ha ripreso il suo viaggio: “Se fossi rimasta là e i guerriglieri l’avessero scoperto ci avrebbero uccise tutte. La seconda o terza notte, la mia bambina si è ammalata. Eravamo sotto un albero quando è morta. Dapprima credevo dormisse, ma il suo corpo diventava sempre più rigido. Ho scavato una fossa, ho seppellito la bimba e ho continuato a camminare.”
La storia di Ya Kaka è similmente orribile. Era stata rapita assieme a due sorelle, ma è stata subito separata da loro: “Sino a oggi, non le ho più viste e non ho ricevuto alcuna notizia che le riguardi.”
La violenza sessuale diventò la norma della sua esistenza. Anche lei restò incinta e partorì un bambino. Dopo oltre un anno di prigionia riuscì a fuggire e a trovare un campo profughi zeppo di altre sopravvissute. Servizi, cibo e protezione erano scarsi; inoltre, gli abusi non erano finiti: “La notte, quando volontarie e lavoratrici lasciavano l’accampamento, i soldati di guardia allo stesso entravano e ci imponevano di fare sesso con loro.”
Ya Kaka ha dovuto scappare anche da là. Il suo figlioletto si è ammalato ed è morto poco dopo. Le due giovani sono tornate a scuola, ora, ma il pericolo incombe ancora su di loro. Persino il fatto che raccontino le loro storie è rischioso.
“Chiariamoci: Boko Haram sa chi sono. – ha detto Stephanie Sinclair, rinomata fotografa e fondatrice di “Too Young To Wed”, l’organizzazione che ha assistito Hauwa e Ya Kaka – Ma loro vogliono parlare perché ci sono tuttora migliaia di ragazze rapite, nella Nigeria del nord, di cui non si sa nulla.”
Nonostante le sofferenze che hanno attraversato, Hauwa e Ya Kaka hanno detto al loro pubblico di avere speranza. Entrambe hanno dichiarato che mirano a diventare avvocate per difendere e proteggere i diritti umani e che non hanno rimpianti per l’essere uscite allo scoperto.
“Devo condividere la mia storia – ha concluso Ya Kaka – affinché il mondo intero la ascolti.”
Maria G. Di Rienzo