Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘armi’

Guardando meglio queste ragazze magnifiche, ho notato che, pur combattenti e in divisa mimetica, non hanno perso per nulla la loro cara e delicata femminilità, sono sempre tutte belle, e tali rimarranno in eterno.

A “guadagnare” questo commento è un’immagine di sei giovani donne curde armate, accompagnata da un breve testo che ricorda la loro morte e le violenze da loro subite, che sta girando sul web. Potrà sembrare banale e persino assurdo che io scelga altrettanto brevemente di parlarne stante la situazione attuale, ovvero l’invasione militare turca nel nordest della Siria. Potrei scrivere di come l’Europa abbia ingozzato di armi mister Erdogan, ne abbia ignorato la gestione dittatoriale del potere e le sue ricadute sul popolo turco, ed ora manifesti un tardivo sdegno – quando i segni di ciò che sarebbe accaduto (la guerra) erano evidenti da un pezzo. Tuttavia vi sono altri/e che possono farlo e lo fanno assai meglio di me.

Quel che voglio dire qui, come donna e come femminista e come essere umano, ai cantori della “bellezza” delle giovani curde scomparse è: perché non potete fermarvi neppure di fronte alla morte?

Credete che i loro parenti, amici, amati ancora vivi riceverebbero consolazione dal leggere le vostre uscite? Mia figlia è morta in modo atroce, ma era giovane e magnifica e delicatamente femminile, adesso che è un cadavere nulla di tutto questo si guasterà con l’età, sarà “bella in eterno”.

Se l’immagine in questione mostrasse sei combattenti di mezz’età, sei donne civili in fuga dal conflitto con bimbi terrorizzati fra le braccia, sei scolarette delle elementari davanti a una scuola distrutta, sei nonne… avrebbero costoro ricevuto in modo identico la vostra compassione? Se le giudicaste brutte la vostra reazione sarebbe stata “chissenefrega”?

Cosa diamine è la femminilità di cui parlate? Si compone di accessori e abbigliamento e trucco? Si può acquisire semplicemente appendendosi una borsetta al braccio e infilando scarpe con il tacco, e perderla in mimetica?

La “bellezza” di cui vaneggiate è un costrutto sociale che funziona come una macina da mulino appesa ai nostri colli di donne: non fa altro che tenerci piegate, che trascinarci in basso, che impedirci il movimento e più spesso di quanto si voglia ammettere ci affonda in un fiume di sofferenze – e lì, sovente, ci uccide.

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

grim reaper

Il brano viene da un articolo di ieri, 16 agosto, a firma di Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil: “(…) come ha evidenziato il recente rapporto Eures dal significativo titolo “Omicidio in famiglia”, le armi legalmente detenute nelle case degli italiani uccidono più di mafia, camorra e ‘ndrangheta. C’è un dato che fa riflettere, confermato anche dall’ultimo dossier ferragostano del Viminale: gli omicidi sono in calo nel nostro Paese, ma crescono quelli tra le mura di casa. (…) Sempre secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno, oltre il 63% degli omicidi “casalinghi” riguarda le donne. Una vera e propria emergenza, con un fil rouge che lega pericolosamente assieme la delittuosità in famiglia e la diffusione delle armi. Per questo, come poliziotti democratici, restiamo fermi nella nostra convinzione che il numero di fucili e pistole in circolazione debba diminuire e non aumentare, che il legislatore debba mettere le forze di polizia nella condizione di poter controllare in maniera più cogente i titolari di porto d’armi ad uso sportivo o caccia che spesso costituiscono l’occasione a buon mercato per avere in casa delle vere e proprie santabarbara.”

Istat, agosto 2019: quasi 7 milioni di donne italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza (20,2% violenza fisica, 21% violenza sessuale). Nella maggior parte dei casi i perpetratori sono partner o ex partner: sapete, quelli stressati, depressi, disoccupati, lasciati o non lasciati dalle loro vittime; ad ogni modo, innamorati (16 agosto – Reggio Emilia. Omicidio Hui Zhou. I parenti di Hicham Boukssid: “Era innamorato di lei”) e recidivi in questo tipo di “amore” (3 agosto – Omicidio/suicidio a Pesaro. La figlia di Maria Cegolea: “Papà spesso la picchiava, anche di fronte a noi”). In Italia 120 donne all’anno, di media, muoiono così.

Inail, luglio 2019: aumentano i morti sul lavoro. Le denunce di infortunio mortale sono state l’anno scorso 1.218, in crescita del 6,1% rispetto al 2017. I casi accertati “sul lavoro” sono invece 704, il 4,5% in più di cui 421, pari a circa il 60% del totale, avvenuti fuori dell’azienda (con un mezzo di trasporto o in itinere, di cui 35 ancora in istruttoria). Anche gli infortuni non mortali sono in aumento: circa 3.000 in più rispetto al 1° trimestre dell’anno precedente (da circa 154.800 a 157.700).

Adesso mi dica il sig. Ministro dell’Interno: sono i 134 disgraziati rimasti bloccati a bordo della “Open Arms” – in condizioni igieniche insostenibili e da ben quindici giorni – a minacciare la sicurezza delle italiane e degli italiani?

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

spauracchio

Dunque… questo è un irrigatore per orti, giusto?

Be’, no, ministro… è un mitra.

Ah sì? Forse dovrei provare a sparare alla cicoria che è piena di macchie e si sta seccando. Vede, ieri volevo farmi un selfie con carote e zucchine del mio orto ma sono coperte da muffa bianca…

Succede. La malattia delle piante si chiama Oidio ed è detta anche Mal Bianco.

Si manifesta soprattutto in primavera e autunno in presenza di clima caldo-umido e in mancanza di buona aerazione.

E’ causata da funghi ascomiceti, particolari esseri viventi che conducono una vita parassitaria sulle piante.

Di solito si contrasta con lo zolfo, ma si possono anche usare funghi antagonisti, una miscela di bicarbonato di sodio e aceto e estratti di equiseto (per le piante aromatiche).

La malattia dei violenti e dei guerrafondai si chiama Odio. Spesso prende una forma razzista e potremmo per analogia chiamarla Mal Bianco.

Si manifesta in ogni stagione, ma particolarmente in presenza di un clima di allarme e disagio sociale, nonché in mancanza di una qualsivoglia opposizione politica con un briciolo di coraggio e di visione per il futuro.

Particolari esseri viventi che conducono una vita parassitaria in governi nazionali e locali la diffondono con zelo ossessivo.

Di solito si contrasta usando l’intero spettro dell’azione nonviolenta (disobbedienza civile, azione diretta, azione simbolica ecc.) e con interventi di natura politica e culturale su ampia scala. L’uso di zolfo diabolico è impossibile, giacché purtroppo l’inferno è schierato con la controparte.

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

Non morire, ti dico

(“The Leash”, di Ada Limón, poeta statunitense contemporanea – in immagine – trad. Maria G. Di Rienzo.)

ada

IL GUINZAGLIO

Dopo la nascita di bombe di divisioni e paura

le frenetiche armi automatiche scatenate

uno spruzzo di pallottole in una folla che si tiene per mano,

il cielo brutale che si apre in fauci di ardesia metallica

che inghiotte solo l’indicibile in ognuno di noi, cosa

resta? Persino il fiume nascosto nel deserto è avvelenato

reso arancione e acido da una miniera di carbone. Come puoi

non temere l’umanità, non voler leccare il letto

del torrente sino a che si secca, succhiare l’acqua mortale nei

tuoi stessi polmoni, come veleno? Lettore, io voglio

dirti: Non morire. Neppure quando pesce argenteo dopo pesce

viene a galla con la pancia in alto, e il paese precipita

in un crepitante cratere di odio, non c’è ancora

qualcosa che canta? La verità è: non lo so.

Ma qualche volta, giuro di sentirla, la ferita che si chiude

come un’assai arrugginita porta di garage, e posso ancora muovere

le mie membra viventi nel mondo senza troppo

dolore, posso ancora meravigliarmi di come la cagna corra diritta

verso i camioncini a rotta di collo giù

per la strada, perché lei pensa di amarli,

perché è sicura, senza alcun dubbio, che le chiassose

ruggenti cose la ameranno a loro volta, il suo piccolo soffice sé

vivificato dal desiderio di condividere il suo dannato entusiasmo,

sino a che io strattono il guinzaglio per salvarla perché

voglio che sopravviva per sempre. Non morire, dico,

e decidiamo di camminare un altro po’, gli storni

alti e frenetici sopra di noi, l’inverno che arriva per mettere

a giacere il suo cadavere freddo su questa piccola porzione di Terra.

Forse facciamo sempre sfrecciare il nostro corpo verso

la cosa che ci annienterà, implorando amore

dal frettoloso passare del tempo, e perciò forse,

come l’obbediente cagna alle mie calcagna, possiamo camminare insieme

pacificamente, almeno sino a che non arriva il prossimo camion.

Read Full Post »

Nomi collettivi

(“Collective Nouns for Humans in the Wild”, di Kathy Fish – in immagine – scrittrice e docente universitaria. Il suo prossimo libro “Wild Life: Collected Works from 2003-2018” uscirà nel 2019. Il presente testo ha ricevuto ampi riconoscimenti per il modo in cui coglie il fatto che la violenza relativa alle armi e agli omicidi di massa è diventata in qualche modo “comune”. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

kathy

NOMI COLLETTIVI PER UMANI IN LUOGHI SELVAGGI

Un gruppo di nonne è un affresco. Un gruppo di bimbi piccoli, è un giubilo (vedi anche: un coro di lamenti). Un gruppo di bibliotecari è un’illuminazione. Un gruppo di artisti figurativi è una bioluminescenza. Un gruppo di scrittori di storie brevi è un’apertura. (1) Un gruppo di musicisti è – una band.

Uno splendore di poeti.

Un segnale luminoso di scienziati.

Una zattera di salvataggio di assistenti sociali.

Un gruppo di paramedici soccorritori è ardimento. Un gruppo di dimostranti pacifici è sogno. Un gruppo di insegnanti per allievi dai bisogni speciali è trascendenza. Un gruppo di infermieri per terapia intensiva neonatale è divinità. Un gruppo di lavoratori per case di riposo, è grazia.

Umani in luoghi selvaggi, si riunivano e stavano bene, in precedenza un’euforia, ora: un bersaglio.

Un bersaglio quelli che vanno ai concerti.

Un bersaglio quelli che vanno al cinema.

Un bersaglio fatto di danzatori.

Un gruppo di scolaretti è un bersaglio.

(1) ndt.: Flannery nell’originale, un gioco di parole fra il termine che indica un’apertura a bridge e il nome della scrittrice statunitense Flannery O’Connor.

Read Full Post »

naomi wadler

“Sono qui oggi per riconoscere e rappresentare le ragazze afroamericane le cui storie non arrivano alle prime pagine di alcun quotidiano nazionale, le cui storie non aprono i telegiornali della sera.

Sono qui oggi in rappresentanza di Courtlin Arrington, in rappresentanza di Hadiya Pendleton, in rappresentanza di Tiana Thompson che aveva solo 16 anni quando è stata uccisa da colpi di arma da fuoco in casa sua, qui a Washington, DC.

Io rappresento le donne afroamericane che sono vittime della violenza delle armi, che sono semplici statistiche invece di vibranti e bellissime ragazze piene di potenzialità.

E’ un mio privilegio l’essere qui oggi. Io sono, in effetti, zeppa di privilegi. La mia voce è stata ascoltata. Sono qui per dar riconoscimento alle loro storie, per dire che hanno importanza, per dire i loro nomi, perché io posso e mi è stato chiesto di farlo. Per troppo tempo, ormai, questi nomi, queste donne e ragazze nere sono state solo numeri. Io sono qui per dire MAI PIU’ anche per loro.

La gente ha detto che sono troppo giovane per avere questi pensieri di mio. La gente ha detto che sono lo strumento di qualche adulto sconosciuto. Non è vero. Io e le mie amiche possiamo avere solo 11 anni e frequentare le elementari, ma sappiamo. Sappiamo che la vita non è uguale per tutti, e sappiamo cos’è giusto e cos’è sbagliato.

Sappiamo anche che ci stiamo sollevando all’ombra del Campidoglio (ndt.: il palazzo del governo) e sappiamo che ci mancano sette anni per votare. Perciò io sono qui oggi per onorare le parole di Toni Morrison: “Se c’è un libro che vorresti leggere ma non è ancora stato scritto, dovresti essere tu a scriverlo.”

Io esorto chiunque sia qui e chiunque oda la mia voce a unirsi a me nel raccontare le storie che non sono narrate, a onorare le ragazze, le donne di colore che sono state assassinate in percentuali sproporzionate in questa nazione. Io esorto ognuno di voi ad aiutare a scrivere la narrazione di questo mondo, di modo che queste ragazze e donne non siano mai dimenticate.” Naomi Wadler, in immagine.

Naomi, che come ha detto ha 11 anni, è venuta a marciare a Washington da Alexandria, in Virginia. La prima ragazza che nomina è stata uccisa in Virginia nel proprio liceo dopo il massacro di Parkland.

https://lunanuvola.wordpress.com/2018/02/18/il-discorso-di-emma/

La Marcia per le Nostre Vite (March for Our Lives) organizzata dagli studenti contro le armi che li uccidono direttamente nelle scuole e tenutasi ieri, sabato 24 marzo, ha raccolto milioni di dimostranti nella capitale e in altri 800 eventi simili, negli Usa e nel mondo: è la più grande manifestazione studentesca della storia americana, avendo superato per numero persino le proteste pacifiste degli anni della guerra in Vietnam.

E le nostre leader sono, meravigliosamente, sempre più giovani.

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

Emma Gonzalez

Emma Gonzalez è una sopravvissuta alla sparatoria avvenuta il 14 febbraio u.s. nella sua scuola, il liceo Marjory Stoneman Douglas di Parlkand, Florida. Nell’immagine la vedete parlare alla manifestazione tenutasi il sabato successivo a Fort Lauderdale. Diciassette persone sono morte nella strage perpetrata dal 19enne Nikolas Cruz, espulso dal liceo in questione (frequentava comunque un altro istituto) per violenza: aveva pestato il nuovo ragazzo della sua ex, la quale lo aveva lasciato perché Nikolas era solito abusare di lei. Usare violenza sulle donne sembra essere un tratto comune degli individui che sparano nelle scuole. A Nikolas piacevano le armi e gli piaceva ammazzare animali per divertimento: uno dei suoi amici più intimi è diventato immediatamente un ex amico dopo aver visto le foto che il giovane postava al proposito su Instagram.

La sparatoria al liceo ha riaperto l’annosa questione del troppo facile accesso alle armi negli Stati Uniti e Emma Gonzalez ha affrontato il suo nodo: la National Rifle Association (NRA) e altre organizzazioni pro-armi hanno speso circa 55 milioni di dollari finanziando i Repubblicani durante le elezioni del 2016; Trump ha preso direttamente 30 di questi milioni dalla NRA (alcune fonti sostengono che la somma fosse superiore di circa un milione).

“Se il Presidente vuol venire da me – ha detto Emma – e dirmi in faccia che è stata una terribile tragedia e che non dovrebbe mai più accadere, nel mentre continua a sostenere che nulla può essere fatto al proposito, io gli chiederò chiaramente quanto ha ricevuto dalla NRA.” Naturalmente Emma la cifra la conosce e divisa per le vittime di stragi del solo 2018 fa 5.800 dollari a persona: “Questo è quanto valgono le persone per lei, Trump? A ogni politico che prende soldi dalla NRA io dico VERGOGNATEVI!” (La folla ha ripreso più volte il suo grido.)

Fra le lacrime, la giovane ha sottolineato che la sparatoria non è colpa delle vittime – ed è scioccante che sia stata costretta a farlo. In parte, ha detto riferendosi al perpetratore, “è colpa in primo luogo delle persone che gli hanno permesso di acquistare armi. Quelli delle fiere delle armi. Le persone che lo hanno incoraggiato ad acquistare accessori per i suoi fucili affinché diventassero completamente automatici. Le persone che non glieli hanno tolti di mano pur sapendo che esprimeva apertamente tendenze omicide.”

“Gli individui al governo che abbiamo votato mandandoli al potere ci stanno mentendo – ha continuato Emma – e noi ragazzini sembriamo essere gli unici che lo hanno notato e sono pronti a chiamar fuori le loro stronzate. Politici che siedono sui loro seggi dorati alla Camera e al Senato, finanziati dalla NRA, ci dicono che nulla poteva essere fatto per prevenire questo. E noi diciamo: STRONZATE! Dicono che leggi più severe sulle armi non diminuiscono la violenza. E noi diciamo: STRONZATE! Dicono che le pistole sono solo attrezzi, come i coltelli, e che sono pericolose quanto le automobili. E noi diciamo: STRONZATE! Dicono che nessuna legge sarebbe stata in grado di prevenire le centinaia di tragedie insensate che abbiamo attraversato. E noi diciamo: STRONZATE!” Emma ha chiuso sull’invito a “votarli fuori” e io posso solo sperare che l’America la abbia ascoltata bene. Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

no e poi no

Gli uomini costituiscono la schiacciante maggioranza dei proprietari di armi leggere ovunque nel mondo.

Gli uomini costituiscono anche la maggioranza nelle professioni in cui l’accesso a pistole e fucili è più facile (polizia, esercito, compagnie private che si occupano di “sicurezza”) e nelle attività collegate alle armi, come la caccia.

Non risulta sorprendente, quindi, che siano pure la maggioranza dei perpetratori negli incidenti collegati alle armi leggere (97%). Meno sorprendente ancora è il fatto che un terzo abbondante dei femicidi sull’intero pianeta siano commessi con l’uso di tali armi.

Mentre gli uomini sono più a rischio di prendersi una pistolettata da un estraneo, le donne sono più a rischio nell’ambito domestico e le pallottole le prendono dai cosiddetti “partner intimi”: la frequenza con cui ciò accade è più alta nei paesi in cui l’accesso alle armi da fuoco ha poche restrizioni (Stati Uniti), rispetto ai paesi in cui tale è accesso è strettamente normato (Olanda).

Oltre a essere la maggioranza dei cadaveri, le donne sono anche la maggioranza di coloro che subiscono intimidazioni e coercizioni correlate alle armi, per lo più in ambito familiare ma in misura significativa anche per le strade, ove le pistole sono usate dagli uomini per garantirsi stupri non troppo chiassosi.

Riassumendo: 1) più armi gli uomini possiedono, più lo sbilanciamento di potere fra maschi e femmine si amplia; 2) la nuova legge italiana sul possesso di armi e il loro uso per legittima difesa, se passerà, costituirà quindi un elemento rafforzativo del dominio degli uomini sulle donne – ovvero, del sistema patriarcale; 3) inoltre, produrrà inevitabilmente più femicidi.

Ho bisogno di dire altro sul perché sono contraria alla legge summenzionata? Credo di no. Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

Post n. 1.500. E’ questo.

1500

Da fine dicembre 2009 ad oggi vi ho scritto, deliziosi/e 570 “seguaci” e gentili viaggiatori/viaggiatrici, ben millecinquecento volte. E voi avete stabilito il mio record di visite giornaliere a 20.857: per un blog “minuscolo” come questo, che tra l’altro è solo un luogo di lettura, non è male. Ringraziamoci reciprocamente, quindi, perché dopo quasi sei anni di frequentazioni continuiamo a trovare piacevole la nostra relazione.

Ho incontrato (anche se solo virtualmente) persone affascinanti e piene di spirito, grazie a questo posto. Ho imparato un sacco di cose mentre lavoravo per rendere i pezzi attendibili ed efficaci. Ho dato un bel mucchio di notizie sulle attività delle donne in tutto il mondo. Soddisfacente, sì.

Capita a volte, però, che io non abbia più voglia di continuare, anche questo è vero. Chiunque abbia la scrittura come occupazione principale incorre in momenti simili, soprattutto in un’epoca come questa e in un paese come questo: sarà perché ho una certa età, ma davvero lo scenario è andato oltre la mia immaginazione. Io non avrei mai pensato possibile un arretramento culturale della portata di quello che vedo all’opera in Italia.

Analfabetismo di ritorno, atomizzazione e solipsismo, credulità, fanatismo, odio sparato alla cieca e alla rinfusa… e non si tratta dei sintomi di una malattia degenerativa dell’età anziana. Giovanissimi, giovani e adulti non possono essere stati colpiti simultaneamente da Alzheimer, afasia e Sindrome di Tourette in proporzioni epidemiche.

Di quando in quando, l’esposizione a dosi massicce di questo andazzo (online e offline) è così avvilente, per me, da farmi desiderare uno stop; adesso mi fermo, penso, smetto di cercare di comunicare, perché non c’è più quasi nessuno in grado di ascoltarmi. Ma – è curioso – sino ad ora è sempre capitato questo: la goccia che avrebbe dovuto far traboccare il vaso ha sortito l’effetto contrario.

Perciò, se siete contenti di avermi ancora qui oggi dovete ringraziare il Corriere della Sera. Nella fattispecie, uno dei suoi impiegati… definirlo un “giornalista” avrebbe implicato dei significati non adeguati al prodotto che sto per illustrarvi.

La notizia è questa: a Napoli, il 16 maggio u.s., un uomo di 48 anni in possesso di diverse armi ha ucciso quattro persone, a cominciare dal fratello e dalla cognata, e ne ha ferite altre sei, sparando dal suo balcone. Ribadisco: ci sono 4 cadaveri e qualcuno li sta piangendo; ci sono sei persone che hanno rischiato la vita e stanno soffrendo e chi le ama sta soffrendo con loro. Il che implica una narrazione che contenga del rispetto.

Inoltre, ci sono delle questioni sullo sfondo su cui si potrebbe tentare di riflettere: la detenzione di armi da parte di civili (l’assassino aveva fucili e pistole regolarmente denunciati), la produzione e il commercio di armi in generale, il collegamento fra armi e idea socialmente prescritta di “mascolinità”, la tendenza – che appare in crescita in Italia – a risolvere ogni dissidio eliminando, anche fisicamente, l’antagonista o il contendente.

Il Corriere della Sera, invece, paga qualcuno perché racconti la storia come se recensisse un videogioco:

“Dovete provare a immaginarvi una scena tremenda. C’è un uomo che vi sta sparando dal suo balcone di casa. Il balcone è al primo piano. Lui prende la mira e vi spara addosso. Clac-clac! Usa un fucile a pompa. Il fucile a pompa è il preferito dagli agenti dell’Fbi: maneggevole, ha una potenza di fuoco eccezionale, si carica con un movimento semplice che produce un rumore caratteristico. Clac-clac!”

Quell’aggettivo, “tremenda”, si annacqua al completo nelle frasi successive a meno di non intenderlo in senso elogiativo: il fucile a pompa, vedete, è proprio “tremendo”, tremendamente fico, potenza di fuoco eccezionale, preferito dall’FBI, e fa clac-clac! Mancano gli indirizzi per andare a comprarne uno, ma forse l’autore li dà in privato.

“Giulio Murolo di anni 48, – ci spiega ancora costui – infermiere all’ospedale Cardarelli, ha la passione per la caccia ed è un ottimo tiratore. Se va via di testa uno così, si mette molto male.” Alé, il raptus! L’impiegato del Corriere, oltre alla passione per il clac-clac che ripeterà ad oltranza per tutto il pezzo, deve avere anche la sfera di cristallo, una laurea in psicologia veloce d’emergenza e un intuito infallibile: perché altrimenti non c’è modo di sapere se e quanto “via di testa” fosse il sig. Murolo, che ha abbandonato una discussione con fratello e cognata per andare a prendere il fucile a pompa (non lo aveva in mano mentre stavano litigando) e che in casa, secondo i rilievi della Polizia Scientifica, aveva preparato un innesco per far esplodere due bombole di gas. Chissà, forse i suoi raptus erano ricorrenti, lo acchiappavano anche quando era da solo e lo inducevano a improvvisarsi bombarolo…

Giulio Murolo è sul balcone accanto ai due cadaveri, il videogioco prosegue: “C’è solo un uomo allo scoperto, giù, all’angolo: si chiama Francesco Bruner, è un ufficiale dei vigili urbani fuori servizio che conosce Murolo. Non esita a gridargli di smettere, e lo implora, lo scongiura: contemporaneamente devia il traffico, camion e motorini, alza il braccio, fa cenno di andare via, andate via, c’è uno che spara. Clac-clac! Murolo prende la mira con calma – ci sono numerosi testimoni nascosti dietro alle automobili in sosta – e lo mette giù. Siamo a tre morti. E ora Murolo dalla tasca estrae pure una pistola.”

E lo mette giù: può essere una coincidenza bizzarra, ma è la traduzione letterale (letterale e non esatta, quest’ultima sarebbe “lo abbatte”) di “he/she puts him down” – un’espressione gergale inflazionata nei thriller e nei polizieschi statunitensi. L’autore guarda il filmato, dove tutto appare finto e allora forse lo è, dove assassini e uccisi sono figurine pixelate bidimensionali, e si produce in una cronaca da evento sportivo: Lo stopper contrasta e mette giù l’attaccante. Siamo a tre falli. L’arbitro estrae il cartellino rosso dal taschino.

La prosa avanza con convulsioni simili sino alla fine: “rantola un carabiniere”; “un agente (…) viene colpito ad un braccio (ma continua) ad impugnare la sua Beretta”, “dicono che dietro un cassonetto si sia trascinato un altro vigile urbano (…) pure lui è stato centrato”… “Ma Murolo non molla. Anzi. Riprende per bene la mira. Luigi Cantone è un fioraio che ha appena rallentato a bordo del suo scooter grigio. Un colpo, a Murolo basta solo un colpo. I morti sono quattro.”

A questo punto, l’allenatore della squadra con 4 morti e 6 feriti chiede un tie-break perché l’incontro rischia di protrarsi eccessivamente? Sig. Impiegato del Corriere, chi le ha insegnato a scrivere? E soprattutto, qualcuno le ha insegnato che deve del rispetto agli altri esseri umani? Ha mai sentito parlare di senso del limite?

Comunque, la vicenda si è conclusa dopo un’ora di trattative con la resa dell’assassino. Murolo esce e si consegna alla polizia: “Lo tengono per le ascelle, gli premono il collo. Lui ha gli occhi di un bue. Lo sguardo di un bue. Avrebbe detto: Non mi uccidete, però… ho fatto solo una cazzata.”

Omero definiva “bovini” gli occhi della dea Era, ma intendeva sottolinearne il profondo e regale sguardo. Attualmente, invece, lo “sguardo di un bue” e “gli occhi di un bue” sono metafore usate per indicare mitezza, tristezza o vuotezza. Sembra che, nell’intento dell’autore, Murolo debba suscitare la nostra compassione non appena abbandona le armi. D’altronde, come non provare uno slancio di simpatia per un uomo che ha solo fatto una cazzata? Va bene, ha sparato un po’, ma facendo clac-clac! Va bene, qualcuno è morto, pazienza. Non dobbiamo giudicare l’omicida, chissà come soffriva, la cognata probabilmente era una stronza, il vigile urbano lo ha provocato cercando di fermarlo e mio cugino mi ha detto che il fioraio lo aveva spernacchiato il mese prima…

In Italia, e ne sono grata, la pena di morte non c’è e Giulio Murolo non rischia di essere ucciso, ma che definisca quel che ha fatto “una cazzata”, come molti altri assassini – soprattutto di mogli, fidanzate, amanti, compagne e figli – negli ultimi anni dovrebbe indurre qualche riflessione sul modo in cui questi individui sono socializzati e su come tale socializzazione li scollega dalla realtà. A questo proposito, la narrazione effettuata sul Corriere è esemplare: completamente sospesa per aria, pervasa da un senso di eccitazione per la performance omicida neppure troppo sotterraneo (clac-clac!) e intrisa di stereotipi obsoleti e dannosi – in primis la classificazione da “folle” appiccicata all’assassino a prescindere da ogni analisi fattuale. Lo schema, peraltro, non differisce da quello applicato alla violenza di genere.

Quindi, per chiudere il discorso dell’inizio, temo di dover restare qui ancora un po’ a decostruire la marea di stupidaggini che mi/ci investe. Forse voi non ne avete bisogno. Il buon senso, il contrasto alla violenza, la ragionevolezza, il rispetto reciproco e la lingua italiana sì. Nel mio piccolo, ovvio. Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

pomeriggio con i fratelli grimm - jacek yerka

(“To Stop Violence, Start at Home”, di Pamela Shifman e Salamishah Tillet per The New York Times, 3 febbraio 2015, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Lo schema è impressionante. Gli uomini che alla fine sono arrestati per aver commesso atti violenti spesso avevano cominciato con aggressioni alle loro ragazze e mogli. In molti casi, le accuse di violenza domestica non sono state prese sul serio o si è lasciato correre.

Prima che Tamerlan Tsarnaev fosse sospettato di aver piazzato la bomba alla Maratona di Boston, era già stato arrestato per aver picchiato la sua ragazza. Quando Man Haron Monis ha tenuto 17 persone in ostaggio al Lindt Chocolate Caffè a Sidney, era già indagato per l’accusa di aver contribuito all’omicidio della sua ex moglie. Prima che George Zimmerman sparasse a Trayvon Martin in Florida, uccidendolo, la sua ex ragazza lo denunciò per averla assalita fisicamente. In quel caso non dovette affrontare conseguenze penali, ma è stato arrestato in flagrante per violenza domestica due volte dal 2013.

Una ricerca recente

http://everytown.org/documents/2014/10/guns-and-violence-against-women.pdf

ha documentato che più della metà delle sparatorie di massa negli Usa fra il gennaio 2009 e il luglio 2014 includevano una coniuge o ex coniuge, una partner o un/una familiare.

“Everytown for Gun Safety” – http://everytown.org/ – il gruppo che ha reso pubblico lo studio, ha trovato “una connessione significativa fra le sparatorie di massa e la violenza domestica o familiare”. E la connessione non è limitata ad esse.

Un’analisi della storia criminale di centinaia di migliaia di offensori nello stato di Washington

http://www.wsipp.wa.gov/ReportFile/977/Wsipp_Washingtons-Offender-Accountability-Act-Department-of-Corrections-Static-Risk-Instrument_Full-Report-Updated-October-2008.pdf

suggerisce che una condanna per violenza domestica è il segno premonitore più grande per i futuri crimini violenti commessi dagli uomini.

Con così tanto a repentaglio, rispondere alla violenza contro le donne dovrebbe essere una priorità per tutti. La ricerca ci dice che la violenza è un comportamento appreso.

I ragazzi che crescono in case in cui vi sono abusi e violenza domestica hanno quattro volte tanto la possibilità di perpetrare violenza domestica rispetto a quelli che crescono in case senza abusi e violenza.

http://www.mcedv.org/children-exposed-domestic-violence

Questo perché la violenza in casa tende ad essere la prima esperienza che di essa fa un bambino e poiché è spesso difesa come inevitabile o triviale, diventa la radice o la giustificazione della violenza in sé. Gli uomini che commettono violenza la provano e la perfezionano dapprima contro le loro famiglie. Donne e bambini sono i bersagli d’allenamento e la casa è la palestra dove si preparano le azioni future di questi uomini.

Intervenendo prima e fermando la violenza in casa, ci assicuriamo la sicurezza delle donne e dei bambini che sono le vittime principali. Possiamo anche intraprendere passi che rendano più difficile ai perpetratori continuare a commettere crimini addizionali, dentro o fuori casa. Potremmo, per esempio, decidere che chi ha commesso violenza domestica non può comprare o possedere un’arma.

Pure, in 35 stati americani

http://everytown.org/documents/2014/10/guns-and-violence-against-women.pdf

coloro che sono stati condannati per violenza domestica e coloro che sono sottoposti ad ordini di restrizione possono comprare e possedere pistole.

Chiudere queste e altre falle nelle leggi federali e statali sulla violenza domestica salverebbe le vite delle donne e, per estensione, molte altre vite.

Read Full Post »

Older Posts »

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: