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Kern

Leslie Kern (in immagine) è una docente universitaria canadese di geografia e ambiente, nonché la direttrice degli studi di genere nel suo ateneo. Il suo ultimo libro, uscito alla fine di ottobre, si chiama “Feminist City: A Field Guide” – “Città femminista: guida pratica (dal campo)”. Si tratta di una raccolta di saggi che mettono in discussione i modi in cui sono strutturati gli spazi urbani e suggeriscono alternative per rendere le città più inclusive e più sicure per tutte e tutti.

Il brano seguente è tratto da un’intervista a Kern condotta da Lana Pesch per “LiisBeth”:

“Ogni ambiente edificato che le società creano, come le città, riflette le relazioni di potere che nelle società esistono e penso noi si sappia chi tradizionalmente o comunque per lunghissimo tempo ha detenuto il potere. Stiamo parlando di uomini abbienti, proprietari, non disabili, eterosessuali e bianchi. Forse non dovrebbe essere una sorpresa che i nostri spazi urbani siano davvero organizzati per sostenere il loro successo, il loro potere, le loro quotidiane necessità.

Per far evolvere qualcosa come una città femminista, o i suoi principi, devi proprio avere un bel po’ di pressione sociale, che essa prenda la forma dell’attivismo o di cambiamenti legali, o di altre forme di movimenti sociali, o solo di una più ampia entrata delle donne nelle posizioni di potere nelle città e nei governi, nell’ordinamento legislativo, nell’architettura, nella progettazione urbana e cose del genere. E’ una sorta di lento processo.

Le idee femministe per la progettazione urbana e per l’organizzazione degli spazi domestici esistono da lungo tempo e possono essere fatte risalire al 19° secolo. Le donne, in particolare quelle che venivano dai movimenti sociali e simili, stavano riflettendo sui modi in cui l’ambiente edificato era costruito e in molti modi era costruito per isolarle, per tenerle occupate con il lavoro domestico non retribuito, per impedire loro di condividerlo con altre abitazioni, per tenerle fuori dalle sfere che erano specificatamente disegnate per gli uomini, la sfera pubblica, la politica, l’istruzione, la scienza e così via.

Non è una cosa nuova di zecca pensare a come le città, i vicinati, le comunità possano avere un’organizzazione che sostenga altri tipi di idee sociali, incluse quelle femministe. E’ interessante guardare indietro nel tempo e notare come le donne tirassero fuori le loro proprie idee su come i quartieri potevano essere ristrutturati per rimodellare le abitazioni e rimodellare il lavoro delle donne e far loro guadagnare tempo.

Vienna è un interessante esempio di città dove quel che chiamano “gender mainstreaming” è stato davvero messo in pratica. L’idea che ci sta dietro è che ogni tipo di politica o pianificazione cittadina, o nuovo piano di spazi edificati, si tratti di parchi o quartieri o linee di trasporto pubblico, deve essere guardato attraverso lenti di genere. Significa chiedersi “Questo potrebbe avere impatto differente su donne e uomini?”, “Aumenterà l’eguaglianza di genere o la farà diminuire?”.

Con lo scopo dichiarato di aumentare l’eguaglianza di genere, città come Vienna si sono assicurate che tutte le loro ristrutturazioni e i nuovi piani di progettazione urbana sostenessero tale visione. Ciò ha significato per esempio più trasporto pubblico, miglior accesso ai servizi per l’infanzia e ad ulteriori servizi sociali che si integrano meglio con gli ambienti domestici e tutto questo genere di cose.

Una città femminista, per me, dev’essere una città in cui le istanze relative alla sicurezza e alla libertà dalla paura sono prioritarie. Ci sono alcuni tipi di cambiamenti all’ambiente fisico che possono facilitare ciò, ma dev’esserci anche un più vasto impegno sociale per l’eguaglianza e la nonviolenza. Una città femminista dev’essere un luogo in cui lo spazio pubblico è in generale sicuro e accessibile, non solo per le donne, ma per le persone di colore, i senzatetto, le persone lgbt, le persone disabili. Uno spazio pubblico in cui chiunque si sente benvenuto e chiunque ha la sensazione di dare un contributo alla città con la sua presenza.

Sino ad ora, in termini di vita pubblica, abbiamo perso moltissimi contributi dalle donne e da altre persone marginalizzate. I loro contributi alla politica, all’istruzione, alla cultura, all’arte, alla scienza, agli affari. Se continuiamo a costruire ambienti che sono inaccessibili sia fisicamente sia socialmente, o che sono respingenti, o che semplicemente rendono la vita quotidiana delle persone intrisa di paura o davvero difficile, allora quelle persone non ci saranno in tali spazi quando avremo bisogno che ci siano.

Le crisi climatiche sono già qui e sono crisi di diseguaglianza. E le città saranno in prima linea a dover maneggiare tali crisi. Le città non sopravviveranno ne’ prospereranno se non trovano soluzioni per affrontare questi problemi e per affrontare i modi in cui le istanze sono interconnesse. Sappiamo che il futuro è un po’ fragile, ora, e se continuiamo a fare le stesse cose che abbiamo sempre fatto ciò non creerà un futuro luminoso per nessuno.”

Maria G. Di Rienzo

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(“Unspeakable Inequalities: Revisiting urban design as if women mattered”, di Kavitha Selvaraj, 25 novembre 2013, trad. Maria G. Di Rienzo. Kavitha, laureata in architettura con svariati master in design, è la presidente di C. R. Narayana Rao, un gruppo di architetti ed ingegneri indiani. Oltre che nel proprio paese, il gruppo ha sino ad ora lavorato in Sri Lanka, Indonesia, Malesia, Emirati Arabi Uniti, Zambia, Bangladesh, Maldive, Nepal, Mauritius e Guyana.)

Gli spazi sono sia pubblici sia privati e gli spazi comunitari possono essere discussi nel contesto degli ambienti urbani e degli ambienti rurali. Poiché il focus di questo articolo è “violenza di genere” e “spazio”, ho ristretto la discussione allo spazio urbano pubblico.

Per essere onesta, sono stata interessata alla qualità del design nella sfera pubblica per lungo tempo, ma non lo guardavo specificatamente dalla prospettiva di genere. Si trattava sempre di accessibilità, mobilità, diritti del pedone, ecc. Ma sempre di più, mentre crimini orrendi contro le donne accadono in spazi pubblici, sento che questo argomento merita attenzione ravvicinata. Un’aggressione effettiva è la forma ultima di violenza, ma il sentimento di insicurezza non è una minaccia minore alla nostra libertà di base. E’ ora che chi di noi vive nelle metropoli indiane chieda che gli spazi pubblici siano disegnati avendo in mente tutti i portatori di interesse primario.

Oggi, se sei maschio, giovane e privo di disabilità, ci sono buone probabilità che tu non sappia di che diamine sto parlando. Ma per il 75% della popolazione, includendo tutte le donne, i bambini, i disabili e i cittadini anziani, la vita nelle città indiane è una corsa ad ostacoli. Ci sono queste diseguaglianze indicibili, poiché nessuno ne discute e, peggio ancora, tutti sono arrivati ad accettarle come parte della vita quotidiana. La cosa non entra nei dibattiti principali sui diritti umani basilari.

Un buon design non è la panacea che risolverà i mali sociali derivati da svariate diseguaglianze storiche. Tuttavia, il vivere nelle città è un indicatore a livello mondiale, dove merito e talento possono minimizzare le differenze create da retroscena, casta, status economico e genere. Se il livello di agio di una donna media sta nel percepire la città come casa sua, anziché come un luogo da attraversare affrettandosi e proteggendo se stessa nel contempo, allora c’è una fatica in meno da fare.

Immaginate una giovane donna, appena uscita dall’università e andata a vivere in città per conto suo, con un lavoro. Ogni decisione che prende durante il giorno deve tenere in contro come arriverà alla sua destinazione, con chi viaggerà, come tornerà a casa. Deve prepararsi mentalmente alla battaglia prima di metter la testa fuori. Bisogna chiedersi: che qualità della vita è, se muoversi da un luogo a un altro prende così tanta energia mentale? Non si tratta solo di donne, per ogni cittadino la mobilità sicura è l’aspetto più critico che contribuisce alla sua esperienza della vita cittadina.

Women Venturing Out

Per coloro che non hanno altra scelta che la battaglia quotidiana negli spazi pubblici, la diseguaglianza è dura. Se si osserva come gli spazi stradali sono usati nei differenti periodi del giorno, ne emergerà che sono dominati dagli uomini. Gli uomini possono sostare praticamente ovunque, in particolar modo attorno ai chioschi del tè e del cibo. Queste installazioni, con il loro senso di impermanenza, rendono difficile alle donne avvicinarsi ad esse e usarle. Persino quando c’è un marciapiedi ben costruito, una donna può scegliere di camminare in mezzo alla strada, se l’illuminazione è insufficiente. Essere visibile la mette in condizione di vedere ed essere vista. Il fatto che una potrebbe essere investita da un veicolo in movimento diventa secondario. Questa è la scelta che lei è costretta a fare: in molti casi, il rischio di essere investita sembra essere migliore dell’essere palpeggiata da uno sconosciuto.

Dalla prospettiva della pianificazione, l’aspetto più critico per la sicurezza nelle strade è il disegno del limite, che può essere definito come la linea dove lo spazio pubblico incontra il dominio privato. Mura alte e lunghe di recinzione segnalano che non c’è attività sul limite e perciò non ci sono occhi sulla strada. Aree commerciali, piccoli negozi, gran numero di case – gente che si muove fuori e dentro la strada sono tutti segni positivi dal punto di visto della sicurezza e della pianificazione. I venditori ambulanti possono star occupando lo spazio “illegalmente”, ma offrono una serie di occhi sul dominio pubblico e il loro contributo non è poco. Se una strada è priva del familiare sostegno fra vicini sarà percepita come molto più insicura. Ciò detto, è ovvio che gli spazi dovrebbero essere riassegnati con un’area adeguata al cammino e zone per qualche attività.

Le tendenze attuali nello sviluppo urbano in aree metropolitane, che possono essere viste come appetibili segnali del “muoversi verso lo sviluppo a maggior velocità”, sono sfortunatamente non favorevoli al design delle città. Un blocco cittadino con un grande viale al centro e parcheggi solo nelle periferie crea per forza una condizione da “cattivo limite”. Allo stesso modo, una comunità “recintata” offre un ambiente “sicuro” solo all’interno dei suoi confini. Che succede quando metti il piede fuori per collegarti al resto della città? Il nudo muro di recinzione, pur disegnato meravigliosamente e costruito con i materiali migliori, senza negozi o attività commerciali di fronte, e attività informale ben pianificata, non è un segnale di sicurezza per il marciapiede che sta all’esterno. Le strade e i luoghi pubblici migliori hanno un mucchio di interessi a livello stradale, con una varietà di attività che si danno in periodi differenti del giorno, in aggiunta agli aspetti di base come l’agibilità del cammino e l’illuminazione. Queste ultime sono ancora più importanti in luoghi ricreativi come i parchi, le aree lungo l’acqua e i mercati.

La mancanza di mobilità all’interno della città interessa ogni cittadino. La sicurezza dei trasporti pubblici dovrebbe essere garantita dallo stato. Una delle soluzioni è stata la segregazione all’interno del sistema di trasporti. Perciò ci sono autobus separati per donne. I treni hanno vagoni “solo per donne”. La scarsa frequenza di tali servizi fa sì che non risultino in una soluzione pratica per la maggioranza. Spesso, stare ad aspettare l’autobus o il treno è una grossa seccatura: essere guardate fissamente dagli uomini e ricevere commenti da perfetti sconosciuti è assai comune. In effetti, la nostra industria cinematografica ratifica questo tipo di comportamento, facendo equivalere lo stalking di una ragazza all’essere innamorati.

Anche se dessimo per scontato che un autobus speciale “per signore” sia utilizzabile ad intervalli frequenti, è solo una parte dell’intero viaggio. Ad un certo punto dobbiamo interagire con il resto della città. Perciò, quando scendi dall’autobus e cammini verso la tua destinazione, l’ambiente urbano che ti circonda com’è? Più spesso che no, ti troverai lungo un muro usato come urinale pubblico, con spazzatura tutto intorno e marciapiedi non praticabili. Ciò rende gli ultimi passi verso la destinazione davvero tortuosi. La cattiva notizia è il livello di tolleranza per cui accettiamo questo status quo. Le donne indiane si voltano imbarazzate, o pensano sia il massimo che si può ottenere, invece di chiedere uno status di eguaglianza nel diritto di essere a proprio agio sulla strada.

Quindi, che ci vuole per sentirsi a proprio agio per strada? La caratteristica chiave sarebbe il disegno dei limiti. Se ci sono occhi sulla strada, qualche attività commerciale, negozi, verande, entrate ad edifici, ci si sentirà automaticamente più sicure. Il passo importante successivo sarebbe l’illuminazione adeguata per i marciapiedi. L’ampiezza degli stessi dovrebbe rendere confortevole il cammino per due o tre persone, di modo che possano incrociarsi senza entrare in contatto. Il marciapiedi dovrebbe essere liscio, senza interruzioni e in grado di portare una donna con un bimbo in carrozzina e un altro per mano.

Se ogni strada in ogni quartiere fosse vista attraverso gli occhi di una donna, avremmo differenti parametri da usare nel design. Nelle città indiane, il nostro design per le strade riguarda solo il muovere automobili e il fornire accesso a proprietà private. Ma in effetti, la strada ha con sé l’immagine di una città. La sensibilità mostrata nel suo design ci dice a chi e a che cosa diamo valore come società.

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