(“France/Algeria: Hijab Day – Background & History – 1997 Algerian Amel Zeoune Assassinated for Refusing to Wear a Veil”, di Zazi Sadou per Siawi, 24 aprile 2016, trad. Maria G. Di Rienzo. Zazi Sadou, in immagine, è stata per molti anni la portavoce dell’Assemblea algerina delle donne democratiche – Rassemblement Algérien des Femmes Démocrates. Il 20 aprile 2016, alcuni studenti dell’Istituto parigino di Scienze Politiche hanno organizzato un “Giorno dell’hijab”: delle sue implicazioni tratta il presente articolo.)
Amel Zenoune, giovane studente universitaria, stava lasciando Algeri in un autobus dell’ateneo per tornare a casa a Sidi Moussa, circa un’ora prima dell’interruzione del digiuno. Domenica 26 gennaio 1997, il 17° giorno del Ramadan, l’autobus fu fermato a uno di quelli che la gente algerina chiamava “falsi posti di controllo” per differenziarli da quelli che erano sotto il controllo dell’esercito.
L’agguato era stato predisposto dai terroristi del GIA (Gruppo islamista armato) in una frazione, chiamata Benedja, del Comune di Benthala – Benthala che resta nei nostri ricordi come il luogo in cui avvenne uno dei più terribili massacri degli anni ’90.
I passeggeri dell’autobus tremavano di paura e pensavano di star guardando la morte negli occhi. Ma i terroristi non mostrarono interesse per loro: cercavano una sola persona, Amel Zenoune. Le ordinarono di scendere dall’autobus e la giovane donna così fece, con molto coraggio.
Uno degli uomini armati affilò il coltello su una pietra e, senza palesare alcuna emozione, le tagliò la gola sotto gli occhi dei passeggeri orripilati. L’uomo disse poi che quello sarebbe servito da deterrente per tutte le donne che andavano all’università e al lavoro senza essere velate. Era un messaggio terrificante mandato a coloro che rifiutavano di piegarsi al loro “ordine morale”.
Amel aveva solo 22 anni. Doveva servire da esempio per terrorizzare le donne e le ragazze che in Algeria resistevano ai diktat del FIS (Fronte di salvezza islamico) e delle sue varie branche armate.
In altri paesi del mondo, in cui l’Islam prevale, milioni di donne – come fece Amel Zenoune – continuano in ogni possibile modo a resistere al fondamentalismo musulmano e alla sua illimitata ambizione di forzare le donne e le società all’interno del loro retrogrado progetto teocratico.
Oggi a Parigi, la capitale della Francia laica e l’erede dell’era dell’Illuminismo e della Repubblica, che promuove i diritti umani e l’eguaglianza di diritti fra uomini e donne, una nuova iniziativa viene lanciata: è il cosiddetto “Giorno dell’hijab”. Quest’iniziativa internazionale è stata iniziata nel 2013 da un network che ha realizzato completamente il suo marketing politico in Europa. La prova è sotto i vostri occhi: l’azione si tiene in una scuola universitaria prestigiosa ove si insegna la ragione affinché essa illumini la mente!
Quali che siano le motivazioni delle giovani studenti che si sono mobilitare per sostenere le loro “compagne velate”, esse non dovrebbero dimenticare le centinaia di migliaia – no, i milioni – di donne musulmane che con le teste scoperte rischiano le loro vite apparendo negli spazi pubblici dei loro stessi paesi. Costoro resistono con ogni mezzo per affermare il desiderio di essere libere e di non sottomettersi a un ordine morale che nasconde le donne in quanto oggetti sessuali. Quante di loro hanno pagato il più alto dei prezzi, essendo stuprate e uccise come “bottino di guerra”?
Queste giovani studenti francesi, di sicuro laiche e emancipate, non dovrebbero scordare che la battaglia sul “velo” è usata, soprattutto, per occultare l’ambizione di forze violente politico-religiose determinate alla conquista e al trasformare i “cittadini” in comunità di soli credenti, all’interno di un sistema totalitario dove le donne sono obbligate a nascondersi, a svanire, a obbedire, a scomparire…
Per quel che riguarda le giovani velate corteggiate da predicatori e “venditori di paradiso” tramite un ingannevole discorso di tolleranza e benevolenza, dovrebbero sforzarsi di mettere in discussione questa pratica che è imposta fuori dal suo contesto e che si situa a mille miglia di distanza dall’Islam illuminato che essi pretendono di rappresentare. Dovrebbero leggere Ibn Sina, Ibn Rochd, Mohamed Arkoun, Fatima Mernissi, così da poter promuovere uno spirito dell’Islam che sia altro rispetto a quello che marcia in uniforme.
La mia posizione di certo non sarà largamente accettata: io sto solo urlando qui il mio sdegno quale attivista femminista algerina che ha vissuto, assieme a centinaia di migliaia di altri cittadini, sotto il sorgente ordine fondamentalista. Senza la resistenza delle donne e di tutti i cittadini che credevano nella democrazia nel suo più pieno senso umanista, l’Algeria sarebbe stata trasformata radicalmente.
Sicuro, la Francia non è ne’ l’Algeria, ne’ la Tunisia, ne’ l’Iraq, ne’ l’Egitto. Tuttavia, non dimentichiamo che quella è la convinzione principale di tutti i movimenti fondamentalisti di estrema destra e che – in qualsiasi modo si camuffino – le loro prime vittime sono le donne. Questa è la lezione che apprendiamo ogni giorno dalla Storia.
Indossare un velo è una questione di libertà garantita dalla democrazia? Io non la penso così. La “battaglia sul velo” è solo l’espressione più visibile della volontà dei fondamentalisti di portare la donne alla sottomissione. Brandire i principi di democrazia e libertà sono solo i mezzi per avere successo in questo.
Quindi, non dimentichiamo il sacrifico della studente Amel, dell’agronoma Rachida, della veterinaria Khadidja, dell’insegnante Lila, della casalinga Rabéa, della lunga lunga lista delle donne resistenti…