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Archive for the ‘Fiabe’ Category

Faccio strada

(“Ti racconterò la fiaba”, di Monica Aasprong – in immagine – poeta, scrittrice e traduttrice nata a Kristiansund, in Norvegia, nel 1969. Trad. Maria G. Di Rienzo. La traduttrice deve lasciarvi per qualche giorno ma come leggerete di seguito, nel frattempo, ci sarà il fuoco a camminare al vostro fianco.)

monica-aasprong

TI RACCONTERÒ LA FIABA

Ti racconterò la fiaba che tanto ti piace. Quella del fuoco:

Incontrai il fuoco nella foresta

e il fuoco mi vide e mi guardò

con occhi sfolgoranti

Venne vicino e ancora più vicino

e il calore riscaldava

dalle sue braccia gialle

dalla sua faccia rossa

Si ferma e chiede:

verresti con me nella foresta

vieni con me attraverso gli alberi

attraverso l’erba

oltre il campo, io andrò

sotto la Terra, disse il fuoco

con la bocca piena di corteccia

e la voce piena di fiori

Ed io mi unii al suo viaggio

gli camminai accanto nell’oscurità

Faccio strada, disse il fuoco

dea-pele

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Atena racconta

ATENA RACCONTA LA PROPRIA STORIA

(testo e immagine qui sotto – Athena Glaukopis – di Thalia Took. Trad. Maria G. Di Rienzo. La seconda immagine è di Ilene Satala.)

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Io sono una figlia più vecchia del proprio padre.

Antica, sono antica, vecchia come la Mente e vecchia almeno quanto il Travestimento; io sono Colei che è intelletto e intuito e so come allettare con il ragionamento, che non è la stessa cosa del farlo con la verità.

Io sono e sono stata tutte queste cose: l’uccello sull’acqua, il serpente nella roccia, l’albero sulla collina, la rugiada lucente, l’immagine in legno d’olivo, la Città sull’altura. Ho aggiogato buoi e domato cavalli, ho progettato feste e gare, arte e gloria.

Io guido coloro che osano; ho ucciso Giganti, distrutto il disordine, nascosto segreti.

Molto, molto tempo fa ho lottato per la Città con l’oscuro Poseidone e ho vinto – perché sono la migliore.

Dal nulla, io posso con le mie abilità creare tutto. Dall’aria sottile, il fulmine. Da vecchie ossa, musica. Dal fango, l’inestimabile anfora. Dal concetto di utilità io creo bellezza; dalla sconfitta, vittoria; e dalla rabbia, giustizia.

Tienilo a mente, perché io sono spesso con te e posso prendere qualsiasi forma: la ragazza al pozzo con gli occhi da civetta, la matrona al telaio, l’anziana donna con il fuso che ti fa segno; o la vasaia che vende le sue merci, la guerriera che lotta al tuo fianco, la guida che ti offre consigli.

Io osservo con occhi brillanti, lucenti e mutevoli come il mare, sfidandoti a vedere attraverso le mie illusioni e, invero, le persone intelligenti, le astute, le scaltre, sono quelle che più amo.

Per riconoscermi, riconosci l’enthousiasmos (1) dentro di te e sii abbastanza sagace da estrarre la domanda dalla risposta. Perché questa è la verità: sebbene io sia una bugiarda, puoi fidarti completamente di me.

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(1) pur traducibile come “entusiasmo”, il suo significato è diverso dall’usuale: indicava infatti per i Greci antichi lo stato di esaltazione creativa di coloro che ospitavano una divinità nel proprio corpo.

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mele avvelenate

“Una Lezione dalla Natura”

Il codice di abbigliamento dice

che dobbiamo coprirci

con

pantaloni larghi,

gonne che arrivino ben più in basso

delle nostre ginocchia lascive,

polo abbottonate sopra

l’orlo del burrone,

un barlume del quale può mandare un ragazzo

ad interrarsi in tali profondità

da non essere più in grado di risalire

sino all’algebra.

Noi diciamo

se un escursionista devia

dal sentiero, incespica e finisce sciancato,

è davvero

colpa del burrone?

Christine Heppermann (Trad. Maria G. Di Rienzo)

Christine Heppermann

Questa poesia è contenuta nella raccolta “Poisoned Apples” – “Mele avvelenate” di Christine Heppermann, un libro che lei ha creato nel 2014 avendo in mente la propria figlia adolescente (a cui è dedicato). Tratta dei corpi delle ragazze: delle false promesse fatte loro della cultura pornificata imperante, delle prescrizioni e dei divieti e delle imposizioni che sono gettate sulla loro carne con spietata idiozia. E’ un attacco esiziale al mito della bellezza che riesce ad essere allo stesso tempo caustico, arguto, divertente e commovente.

Christine ha anche un marito, un’altra figlia, due gatti e una promessa per noi: il 21 luglio prossimo uscirà un altro suo libro, questa volta per bambini, scritto in collaborazione con Ron Koertge e illustrato da Deborah Marcero. Si chiama “Backyard Witch” – “La strega del cortile (posteriore)”. Questa strega gentile e spiritosa e la piccola Sadie avranno insieme un’avventura davvero curiosa, al termine della quale Sadie vedrà il mondo – e se stessa – in tutt’altro modo.

backyard witch

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abalone conchiglia

L’aliotide, o orecchia di mare, è un mollusco con conchiglia (appunto a forma di orecchia) il cui strato madreperlaceo mostra una viva, bellissima, iridescenza. E’ comune lungo le spiagge dei mari caldi europei ed una sua specie (Haliotis tuberculata) si trova facilmente in Italia.

La storia che voglio raccontarvi al proposito, però, è preservata nelle tradizioni di diverse nazioni indigene americane con insediamenti costieri. Riguarda la Donna-Aliotide, o Donna-Conchiglia – Hiwat/Hiwot a seconda delle lingue – e la condivido con voi perché le attiviste antiviolenza indigene la condividono con altre donne in special modo in prossimità del 25 novembre, Giorno internazionale contro la violenza sulle donne.

“La Donna-Conchiglia viveva sulla costa dell’oceano. Stando seduta sulla spiaggia, rifletteva i suoi splendidi colori nel cielo. Anziani e anziane dicevano alla Donna-Conchiglia: “I tuoi colori meravigliosi sono un dono speciale, che dev’essere trattato con onore e cura amorevole.”

Un uomo del Nord vide i riflessi della Donna-Conchiglia nel cielo e disse: “Devo trovarla, devo trovare la donna che rende il cielo così bello.”

L’uomo viaggiò, percorse grandi distanze ed infine la raggiunse. Era là, sulla spiaggia, raggiante dei colori con cui faceva splendere la volta celeste. L’uomo si presentò, sedette con lei e le parlò e passò il tempo con lei. Dopo un po’ i due si innamorarono.

All’inizio, l’uomo del Nord era molto gentile con la Donna-Conchiglia e lei ricordava ciò che le era stato detto dalle persone anziane, come i suoi colori dovessero essere trattati con rispetto e affetto, e continuava a rifletterli nel cielo con ancora più gioia, perché l’uomo del Nord poteva vederli e goderne.

abalone woman

Ma con il passar del tempo, l’uomo cominciò a trattare malamente la Donna-Conchiglia. Tentando di renderlo felice, lei lavorava sui suoi colori per farli ancora più brillanti, e ancora di più, e ancora di più. L’uomo non cambiò il suo atteggiamento per questo: divenne invece sempre più folle e crudele verso di lei. E un giorno, su quella stessa spiaggia dove il loro amore era iniziato, la ferì gravemente.

La ferì in un modo che nessuna mano umana avrebbe potuto guarire. La ferì per sempre. Nel suo terribile dolore, la Donna-Conchiglia guardò il profondo cielo blu e cominciò a piangere. Come rivi che corrono all’oceano, le lacrime della Donna-Conchiglia scorrevano sul suo viso e cadevano in acqua. E l’acqua cominciò a brillare dei suoi magnifici colori! Ogni lacrima, nel mare, diventava una conchiglia iridescente.

spilla conchiglia

E la Donna-Conchiglia stessa si divise in mille conchiglie splendenti, mutando forma ma non perdendo affatto il suo dono speciale. La conchiglia ci ricorda che le donne hanno la capacità di splendere. Questa capacità dev’essere trattata con onore e cura amorevole dalle donne e dagli uomini. E affinché l’amore fra loro non sia vano, donne e uomini devono trattarsi reciprocamente con onore e cura amorevole.” Maria G. Di Rienzo

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Viaggiatrice, viaggiatore, dunque vuoi leggere un articolo? Ebbene, le tradizioni del mio regno impongono che tu risolva tre indovinelli: su, ti sfido!

“Porto sulla schiena tutto il mio possedimento: pure, camminando, lascio tracce d’argento.”

Facilino, eh? No, non sono io che vago con uno zainetto scuotendo dietro di me la cenere della sigaretta… E’ la lumaca, ok.

“Nel bosco l’ho presa e come l’ho avuta che io sia dannata se l’avevo voluta. Così l’ho cercata, trovata poi no e finisce che a casa me la porterò.”

Questo è un po’ più duro, ma nessuna fatina dei boschi è stata presa prigioniera, ve lo giuro. Spremete le meningi… Ci siamo? La scheggia.

“Se te danno una ne hai almeno due, o nessuna.”

Vi arrendete? No? La risposta è proprio la scelta, brave/i. Adesso devo mantenere la promessa, che è quella di raccontarvi una storia.

I tre indovinelli, o i tre scrigni protetti da un indovinello, o anche l’indovinello singolo, sono un artificio narrativo assai antico e diffuso. Principesse e principi e nobildonne e gentiluomini e poveracci purché arguti sembrano particolarmente inclini a farne uso nelle fiabe e nel folklore prima di convolare a (giuste?) nozze: in realtà, nella maggioranza dei casi solo uno dei due futuri sposi, quello di sesso maschile, vuole il matrimonio. La donzella rigetta l’eroe ma lo accetterà dopo che egli abbia dimostrato il suo valore di enigmista, oppure è vincolata da un regale diktat paterno a prendere marito in questo modo e deve dare indizi al suo amato affinché la testa di costui non finisca ad ornare le mura esterne del palazzo. Non sempre, ma pure qui nella maggioranza dei casi, perdere la gara degli indovinelli significa infatti la morte del pretendente. La Figlia di Antioco con il suo indovinello in “Pericle, principe di Tiro” e Portia con i suoi tre scrigni ne “Il mercante di Venezia”, solo per stare nel canone scespiriano, sono due egregi esempi di come la faccenda funziona.

scena degli scrigni

Un nome che però deve esservi saltato subito in mente è Turandot.

Nel 1710, lo storico francese François Pétis de la Croix si imbatte per caso in svariate menzioni di una discendente di Gengis Khan mentre fa ricerche su quest’ultimo. La vicenda così com’è però non deve piacergli abbastanza, perché cambia il nome della principessa in una parola persiana, “Turandokht” = “Figlia dell’Asia Centrale” da cui deriverà poi Turandot, e la include in un suo libro su fiabe e leggende asiatiche narrando di come imponga ai suoi spasimanti la soluzione di tre indovinelli: se non riescono nella prova li mette a morte. In realtà, la nostra eroina si chiamava Khutulun (1260 circa – 1306 circa), che significa “luce lunare”, era la assai famosa figlia di Kaidu, il più potente dei leader mongoli dell’epoca, e nipote di Kublai Khan. Di lei hanno scritto sia Marco Polo sia alcuni viaggiatori musulmani, fra cui lo statista, storico e medico persiano Rashid al-Din (1247–1318). Ed è vero che non voleva sposarsi, per quante offerte ricevesse e per quante pressioni le venissero fatte, però il suo metodo di tenere a bada gli aspiranti mariti era un po’ diverso. Chiedeva loro di scommettere 100 cavalli e poi di batterla in un incontro di lotta libera. Il mito vuole che finisse in questo modo per possedere una mandria di oltre 10.000 cavalli…

Khutulun era una guerriera, un’eccezionale guerriera se dobbiamo dar credito alle descrizioni di chi la vide in azione, cavallerizza ed arciera eccellente, molto apprezzata dal padre al cui fianco combatteva e la sua posizione non era troppo inusuale fra la sua gente (numerosi resoconti medievali riportano donne combattenti nelle “orde” mongole).

arciera ulan batorIn una cultura in cui l’abilità fisica era altamente apprezzata, sino al punto da incorporare una componente spirituale, la presenza di Khutulun fra i guerrieri diventava una protezione divina e un talismano che assicurava la vittoria. Ad ogni modo, nessuno riuscì a sposarla battendola in un incontro di lotta. Scelse un marito fra i seguaci di suo padre, senza scommessa, solo per proteggere quest’ultimo dai pettegolezzi che i suoi nemici interni fomentavano: e cioè che Khutulun rifiutava il matrimonio perché aveva una relazione incestuosa con lui. La principessa restò la preferita fra i figli del Khan Kaidu (aveva qualcosa come 14 fratelli nati prima di lei), che ne stimava anche i consigli strategici e politici. Secondo alcune fonti, avrebbe voluto farne la sua successora, progetto su cui non riuscì, ovviamente, ad ottenere il completo consenso di figliolanza e membri influenti della tribù. Kaidu morì nel 1301. I fratelli si divisero e Khutulun, non accettando il partito che aveva preso il potere, fu sfidata e dovette combattere contro alcuni di essi. Con quelli che la sostenevano protesse la tomba del padre sino alla propria, di dipartita, che avvenne non molto più tardi.

Cinquant’anni dopo la prima manipolazione di François Pétis de la Croix, il nostro Carlo Gozzi fa di Khutulun, ormai diventata Turandot in pianta stabile, una donna-tigre feroce e crudele che rifiuta gli uomini per smisurato orgoglio. La cosa piace a Friedrich von Schiller che traduce la “fiaba teatrale” in tedesco come “Turandot, Prinzessin von China” (1801) e Johann Wolfgang von Goethe la dirige sul palcoscenico a Weimar nel 1802. Quest’ultima versione fu usata come base per il libretto dell’opera lirica di Puccini, “Turandot”, che morì nel 1924 mentre ancora ci lavorava. La figura della principessa resta invariata: ove la cultura mongola la ricorda come atleta e difensora della propria tribù, l’adattamento artistico occidentale ne fa un’insensibile e arrogante torturatrice che infine “soccombe all’amore” e si scusa per aver odiato gli uomini. L’opera lirica ci dà anche una spiegazione pseudo-psicologica dell’atteggiamento della principessa, che sarebbe derivato dalla paura di fare la fine di una sua zia, “conquistata” (è un eufemismo) da uno straniero.

Ora: “Turandot” ha una bellissima musica e io sono solita canticchiare “Nessun dorma” come migliaia di altre persone in tutto il mondo, ma la storia non è così intrigante, per me, quanto quella vera. Credo che la vita di Khutulun potrebbe dare origine a trasposizioni teatrali, cinematografiche, ecc. senza dover necessariamente passare per l’equivalenza “se non vuole sposarsi allora odia gli uomini” e il suo derivato “li odia perché ne ha paura, ma poi arriva il virile eroe che la mette a posto”. Inoltre, se proprio vogliamo romanzare un po’ la faccenda, la principessa non potrebbe innamorarsi (compatriota o straniero che sia) di un eroe differente? Uno che non eccelle come guerriero o enigmista, ma che suscita il suo interesse perché sa curare i cavalli, studia i moti delle stelle e le proprietà delle erbe medicinali e tenta di inventare un nuovo alfabeto? Credo che Khutulun potrebbe definitivamente sbirciarlo con stupefatto cipiglio e poi con piacere, da dietro la palizzata dove ha appena steso nella polvere l’ennesimo sbruffone. Maria G. Di Rienzo

fumetto

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“Mi hanno sempre disturbato, i tentativi del mondo di controllare i corpi delle donne, i loro comportamenti e le loro identità. E’ un tipo di oppressione così profondamente intessuta nella nostra cultura che la maggior parte della gente non vede che c’è, e quanto può essere crudele.”

Perciò, la grafica brasiliana Carol Rossetti ha cominciato a pubblicare su Facebook i suoi disegni di questo tipo:

carol rossetti 3

Silvia ha i capelli bianchi. Da delle persone le è stato detto di tingerli, così da non sembrare vecchia. Silvia, colorarti i capelli è una scelta e mai un obbligo. Se a te i tuoi capelli bianchi piacciono, questo non è affare di nessun altro. L’età non è un motivo di vergogna. I tuoi capelli sono belli e la scelta è tua.

 carol rossetti 2

A Jane è stato detto che sarebbe veramente carina se perdesse qualche chilo. Jane, la tua bellezza e la tua autostima non sono definite dal tuo peso. (Ed è probabile che quelli che te lo hanno detto sarebbero più carini se sapessero quando tenere la bocca chiusa.)

Sono immagini e parole semplicissime, ma toccano una vasta gamma delle esperienze che le donne fanno e sono parole che quasi nessun altro dice loro. Per questo Carol sta avendo un grande successo. Le illustrazioni, dall’originario portoghese, come vedete sono state già tradotte in inglese e ne esiste anche una versione in ebraico. Sono “in lavorazione” le versioni spagnola, russa, tedesca e lituana.

Menzione d’onore anche all’illustratore/animatore statunitense Andy Musser: guardate cos’è riuscito a tirar fuori da Biancaneve:

Biancaneve - AndyMusser

“Facendo ricerche sui nani – racconta l’Autore – mi è accaduto di pensare a quanto è sessista la storia di Biancaneve, con tutte le protagoniste femminili che o sono malvagie o sono indifese. Perciò, la mia soluzione è stata creare le nane e mostrare le doti di Biancaneve per la falegnameria un po’ pazza. Il mio ragionamento è stato che lei aveva costruito qualche casetta per uccellini, in precedenza, ed ora sta affinando pian piano le sue capacità. In ogni caso, la mia intenzione era di mostrarla non completamente impotente e di far capire che anche lei fa un favore ai nani, restando, non è che li sfrutta e basta come una principessa viziata.”

particolare nane

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Funny Cinderella

Cenerentola e il Principe, dicono, vissero felici e contenti

Due bambole di cera in un museo di monumenti

Mai si occuparono di pannolini e spazzatura

Mai litigarono sui tempi di cottura

Mai si raccontarono due volte la stessa storia

Mai inciamparono in vuoti di memoria

Mai mostrarono i segni dell’età:

due dolci sorrisi idioti, per l’eternità.”

Anne Sexton, 9.11.1928 – 4.10.1974. Trad. Maria G. Di Rienzo

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triplice dea

Ricorda dunque sempre la regola del tre:
tutto quello che compi prima o poi torna a te,
ad altri non recar danno e danno non ti accadrà,
secondo giustizia agisci – sia fatta tua volontà.
(la mia personale versione della “regola pagana”)

sisterhood

Attenzione alla regola del tre.
Esiste in matematica, in statistica, nella programmazione dei computer.
Esiste in aviazione, in chimica, in economia.
Esiste nella scrittura.
Omne trium perfectum – Tutto quel che arriva in serie di tre è perfetto/completo. Per esempio…

tre sorelle

Kadlu, la dea eschimese del tuono, era in origine una bambina: giocava così rumorosamente che i suoi genitori chiesero a lei e alle sue due sorelline di andare a divertirsi fuori. E così le bimbe fecero, inventando un gioco in cui Kadlu saltava su croste di ghiaccio producendo il suono del tuono, la seconda sorella sfregava selci per creare la luce del fulmine, e la terza fece tanta di quella pipì da creare la pioggia…
Maria G. Di Rienzo

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fra le pagine di un libro molto noto.

(di Michelle Nijhuis, in The Last Word On Nothing, 18 dicembre 2013, trad. Maria G. Di Rienzo)

Bilbo femmina

La mia bimba di cinque anni insiste a dire che Bilbo Baggins è una femmina.

La prima volta in cui ha detto questa cosa, ho protestato. Parte del divertimento del leggere ai tuoi figli, dopotutto, è condividere le storie che hai amato da piccola. E nella storia che io conoscevo, Bilbo era un maschio. Un maschio hobbit. (Qualsiasi cosa ciò comporti.)

Ma mia figlia era decisa. La storia le era piaciuta sino a quel punto, ma Bilbo era certamente una femmina. Perciò, potevo per favore cominciare a leggere il libro nel modo giusto?

Ho esitato. Ho immaginato Tolkien rivoltarsi nella tomba. Ho immaginato lettere sprezzanti provenire dai suoi colti agenti. Ho immaginato la storia perdersi in distinzioni di genere come si persero i Nani nel Bosco Atro.

Poi ho pensato: e che diavolo, è solo un pronome. Mia figlia vuole che Bilbo sia femmina, e femmina sarà. E volete saperlo? Il cambio è stato facile. Bilbo è risultata un’eroina grandiosa. E’ tenace, piena di risorse, umile, divertente, e usa la sua astuzia per fuggire con un gioiello spettacolare. Cosa forse più importante di tutte, il suo genere non è una questione per lei – e per nessun altro.

Nonostante quella che sembra una profusione di eroine, nei libri per bambini, le femmine sono ancora sottorappresentate. Uno studio del 2011 su 6.000 libri per l’infanzia pubblicati fra il 1900 e il 2000 ha mostrato che solo il 31% di essi ha personaggi centrali di sesso femminile. Sebbene la disparità sia scesa in anni recenti, persiste: particolarmente, ed è interessante, nei personaggi che sono animali. E molti dei libri con ragazze protagoniste si svolgono in mondi dominati dagli uomini, popolati da medici maschi e contadini maschi e madri che devono chiedere ai padri i soldi per il droghiere (Richard Scarry, è a te che sto guardando). Lo sbilanciamento è persino peggiore nei film per bambini: l’Istituto su Genere e Media fondato da Geena Davis ha trovato che per ogni personaggio femminile, nei film recenti di questo tipo, ci sono tre personaggi maschili. Le scene in cui è presente una folla vedono quest’ultima femminile al 17%.

Più insidiosamente, i libri per l’infanzia con femmine protagoniste celebrano le loro eroine per difetto. Non è fantastico che una ragazza faccia certe cose, sembrano dire, implicando che queste eroine sono un’eccezione deviante al loro genere, non un’ispirazione da seguire per chi legge. Ironicamente, persino i media benintenzionati possono introdurre alle barriere di genere i loro più giovani ascoltatori e spettatori: la prima volta in cui mia figlia ha sentito il favoloso album “Free to Be… You and Me” (Liberi di essere… Tu ed Io), mi ha chiesto: Perché per i ragazzi non va bene piangere?

Perciò, Bilbo femmina con il suo buonsenso è stata stimolante. Con un colpo della mia bacchetta magica ho trasformato anche Gandalf in una femmina, con simili felici risultati. E ho cominciato a giocare con altri libri, su personaggi principali o personaggi minori, su richiesta o no. Amiche e amici mi dicono di fare trucchi simili quando leggono storie ai loro figli e figlie: le donne che lavorano nei campi non sono “le mogli dei contadini” ma le “contadine”. Personaggi animali maschi diventano femmine e viceversa. La Bella Addormentata va all’Università. I loro bambini, maschi e femmine, possono ascoltare storie di un mondo che è pieno di donne com’è pieno di donne quello reale – e libero da stereotipi quanto vorremmo lo fosse il nostro. La letteratura per l’infanzia si adeguerà ai nostri figli, presumibilmente, ma non abbiamo bisogno di aspettare che lo faccia.

Mia figlia potrebbe dimenticare tutto delle eroine e degli eroi che ha contribuito a creare. Ma potrebbe anche non dimenticare. Io spero che fra anni, quando avrà la possibilità di imbarcarsi nel proprio “viaggio inaspettato”, ricorderà la storia di Bilbo: e sarà un po’ più incline a rispondere “Sì”.

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Carabosse

Carabosse è uno dei nomi che la fata madrina “malevola” de La Bella Addormentata, all’inizio non meglio specificata, ha preso con il tempo. Per i fratelli Grimm la fata non invitata è la tredicesima, per Perrault è l’ottava. Delia Sherman, scrittrice di fantasy e fantascienza ha “riletto” questa cattiva madrina nel modo che segue.

Victoria Marr nei panni di Carabosse

CARABOSSE, di Delia Sherman (trad. M.G. Di Rienzo)

C’erano 12 fate alla festa. Mai tredici.

Il giorno in cui la regina partorì, il re mandò fuori dodici messaggeri a cavallo, uno per ognuna di noi, ad implorarci di benedirla, di darle un nome, di incoronarla con il nostro favore.

Così, siamo andate.

C’era un banchetto – be’, era doveroso che ci fosse, con piatti e bicchieri ingioiellati, la tariffa usuale per fungere da fate madrine.

Le mie sorelle fornirono i soliti doni: Bellezza. Ingegno. Voce dolce. Bontà (ovviamente). Buon gusto (questa è stata Marta, abbagliata dalle coppe incastonate di preziosi e dalla veste della regina). Grazia. Pazienza. Orecchio musicale. Destrezza (per aiutarla ad apprendere le abilità da principesse, come cucire, danzare, suonare il liuto). Amabilità. Intelligenza.

Io intendevo darle una lunga vita.

Ho alzato la bacchetta magica e ho colto i suoi occhi. Erano grigi e svegli.

Le sue guance erano dipinte di rosa, i suoi capelli diafani. Toccò la mia bacchetta e rise.

La corte mi trafiggeva con i suoi sguardi di attesa – il re e la regina, le mie sorelle, le signore, i nobili, i servitori, aspettavano il mio dono.

Io riflettei sulla sua vita, sul suo matrimonio con un principe cresciuto cieco al mondo dietro le coppe ingioiellate e dissi:

Dolce bimba, do’ la tua vita a te stessa, affinché tu la conduca come preferisci, andando o restando, usando i doni che le mie sorelle ti hanno fatto o lasciandoli perdere. Governa per tuo proprio diritto, senza consorte e libera. Se così scegli.”

Il re si infuriò, la regina pianse, le mie sorelle ristettero inorridite. Non sposata? Ma questo è il bacio della morte, una maledizione più terribile dell’avere per marito un ranocchio, o del baciare un porcospino, o del servire una strega, o dell’allevare oche, giacché tutti questi casi conducono poi al matrimonio.

Come fata buona, ho fatto quel che potevo. Le ho dato cent’anni di sonno, una siepe d’edera, un incantesimo che avrebbe selezionato i suoi pretendenti, esaminando la loro grazia, la loro pazienza, il loro ingegno e l’intelligenza e il buon gusto, la loro amabilità e la dolcezza della voce.

Affinché ne sortisse un uomo che sarebbe stato il suo compagno, non il suo padrone.

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