Sul serio, fatemi capire: se ci si siede (periodicamente o saltuariamente) su una poltroncina di studio televisivo, o si hanno totmila seguaci sui social media, si perviene a una metamorfosi di status – dall’umano al sovrumano – per cui le regole del vivere civile, dell’educazione, del buon senso valgono solo per gli altri?
E quando qualcuno ti fa notare che quel che hai detto / fatto ha tutte le caratteristiche di una sopraffazione, la soluzione è rispondere “Ma a chi l’ha subita va bene, guardate, ci ballo pure insieme.”?
Cesare Cremonini: “Ho pensato alla mia donna delle pulizie che si chiama Emilia. Non è vero, non si chiama Emilia. Lei è moldava e io ho preteso in onore della mia terra di chiamarla Emilia. Ognuno dovrebbe chiamare le persone come meglio crede, soprattutto chi entra in casa tua. Sono pagate e quindi posso cambiare il loro nome.”
Come per il “caso Amadeus” tutta la questione si sposta fuori focus. La colf può riderci sopra e va benissimo, però questo non rende accettabile l’idea di trattarla simbolicamente come un animale domestico a cui puoi dare il nome che preferisci – perché la paghi. E’ la nozione nel suo complesso ad essere stata contestata, Cremonini, non il suo accordo personale con la donna che lavora per lei.
Sa cosa dicono in prima battuta tutti gli stupratori, vero? “Lei ci stava.” Perché vede, “l’ho pagata e ne faccio quel che voglio”, “la mantengo e la pesto / la uso sessualmente quando mi pare”, “sono il padrone e chi entra in casa mia è tenuto all’obbedienza pronta e assoluta” eccetera, sono giustificazioni per l’uso della violenza su altro essere umano… un po’ meno che umano in quanto dipendente a livello economico o meglio ancora e soprattutto di sesso femminile.
In effetti, sebbene in Italia un bel po’ di immigrati di sesso maschile siano diventati “Mario” perché datore di lavoro e colleghi erano incapaci di imparare nomi nuovi o persino pensavano che “ribattezzare” i migranti favorisse l’integrazione, lo scenario suddetto è assai familiare alle donne – troppo familiare, stanti i dati allucinanti della violenza di genere in Italia.
Se ciò che passa in televisione e sui media in generale diventa facilmente prescrittivo e sinonimo di “normalità”, bisogna fare attenzione a cosa si promuove tramite la propria presenza in essi. E’ in sintesi quel che le hanno chiesto i “contestatori”, sig. Cremonini, che lei crede di sbeffeggiare con il balletto e il “non preoccupatevi, ci amiamo”.
Mi domando se troverebbe divertente andare a tenere un concerto a Chișinău (capitale della Moldavia) e sentire uno degli organizzatori che la annuncia così: “E adesso ascoltiamo il cantautore Gregore Prut! Non è il suo vero nome, ma l’ho pagato ed è entrato in casa mia, quindi lo chiamo come meglio credo.”
Maria G. Di Rienzo