Dunque, ma i dottamente dubitanti, i fieramente dissenzienti e i professionisti dei distinguo che si agitano sotto i miei articoli (non qui, ovviamente) cosa sanno della nonviolenza – e di me? Della prima temo poco, di me niente del tutto.
Credete sul serio che quando vado nelle scuole (e sono ormai vent’anni che ci vado) io mi sieda in cattedra a far lezione su Gandhi e Capitini e Barbara Deming per mostrare al “pubblico” quanto sono colta? In teoria potrei, ma purtroppo per voi il mio scopo non è quello.
Naturalmente padri e madri della nonviolenza li nomino in una breve introduzione iniziale, dando informazioni utili all’approfondimento per chi lo desidera, ma quel che insegno – e quel che imparo di nuovo ogni volta, prestando attenzione a ogni singola persona presente e interagendo con ciascuna di esse – concerne teoria del potere, cambiamento di paradigmi nella visione della violenza, conflitto e metodi risolutivi dello stesso, comunicazione, riconoscimento e decostruzione degli stereotipi di genere, come formare e mantenere in funzione gruppi, organizzazione dell’azione nonviolenta, eccetera, eccetera, eccetera.
Lo faccio fisicamente assieme ai ragazzi e alle ragazze, in simulazioni e esercizi e discussioni e creazione di cartelloni e mandala e chi più ne ha più ne metta, sdraiata per terra a disegnare o a mostrare come proteggersi, sottobraccio a loro quando formiamo linee, abbracciata a loro quando la commozione mi scuote e li scuote (alcune attività sono più tecniche, altre profondamente emotive).
Il mio scopo non è essere riconosciuta come maestra, ma come compagna che parla al loro cuore, alla loro anima se preferite – e sino ad ora, in ogni singolo seminario, con adulti o adolescenti: non ho mai fallito. Voi potete dire altrettanto? Maria G. Di Rienzo