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Ragazze radicali »

Non siamo i vostri orinatoi

6 luglio 2019 di lunanuvola

Su La Repubblica l’immagine è questa, tagliata:

schifo

Su Il Corriere del Veneto forniscono la foto integrale:

skifo

E’ accaduto che nel locale di Treviso in cui il cartello è esposto (da sei anni, dice il barista) sia entrato per caso un uomo, lo psicoterapeuta Andrea Sales, che ha provato abbastanza disagio da andarsene senza consumare e da pubblicare l’immagine e la sua opinione al proposito su Facebook.

Io, da quarant’anni trevigiana, non sono mai entrata in quel locale. Ricordo di essere capitata in bar dove c’erano cose simili, in particolare in un “pub messicano” dove lavoravano le mie nipoti e che sul listino prezzi aveva anche i loro due nomi – e quelli di altro personale – accoppiati a “pompino” e “sveltina” ecc. con relativi costi per le “prestazioni”. Sia questo scherzo sia gli altri non mi sembravano divertenti, mi sentivo ferita e disturbata, ma temevo di generare ulteriore disagio nelle ragazze o in generale a chi era presente se avessi dato voce al mio sconforto, così ho fatto quel che devono aver fatto un certo numero di avventori / avventrici del bar “Da Angelo”: me ne sono andata e non sono tornata più.

Chi ha scritto sui giornali articoli relativi a questa vicenda, desolatamente identici nella loro superficialità, non ha neppure contemplato tale ipotesi. Come il Corriere del Veneto, che lamenta il “disastroso circuito mediatico” toccato al barista, mostra due giovani clienti donne che “ridono mentre la rete s’indigna” e reitera come nessuno abbia mai protestato. Su quest’ultimo punto l’autrice del pezzo non ha pensato neppure che qualcuno/a, andandosene, ha sicuramente avuto l’idea di sollevare la questione ma ha rinunciato, perché sapeva con esattezza quel che sarebbe accaduto: un coretto di sciocchini felici e conniventi gli avrebbe detto di farsi una risata, le clienti abituali che lei ritrae ghignanti fra spritz e sushi avrebbero trillato: “Ma è ovvio che il cartello è ironico! E’ ovvio che non mostro il seno per avere da bere! E’ ovvio che Angelo è spiritoso!”…

E infine, il profondo giornalismo locale avrebbe prodotto la sentenza finale, che è proprio quella del Corriere del Veneto: Come è potuta, la “scanzonata serenità” divenire “un affronto alla dignità del genere femminile”? Siete confusi dall’ “esile confine tra goliardia e offesa”? Cos’è questo “sottile perbenismo”? Eccetera, eccetera.

Egregia giornalista, lei capisce, nevvero, che ha appena suggerito ai suoi lettori / alle sue lettrici di tacere, perché anche qualora quel cartello li offenda NON HANNO IL DIRITTO di offendersi. O hanno travisato, o sono privi di senso dell’umorismo, o sono degli insopportabili bacchettoni. Dopotutto, i corpi delle donne sono luoghi pubblici – anche lei ha ricevuto di sicuro e moltissime volte questo messaggio. Luoghi pubblici di pubblico utilizzo da parte degli uomini. In questo caso specifico a livello metaforico li possiamo definire orinatoi. Sa, qualcosa che serve a liberare gli organi genitali maschili dalla pressione.

Ma quale tipo di occhiali o fette di prosciutto incollate alle palpebre non riescono a far leggere quell’ultima, sgrammaticata, adamantina frase che vomita sulle donne una cascata di odio? La rilegga, miss. Rileggetela tutti/e.

Se te la tiri ricorda che le altre ce l’hanno come te e vai a fanculo!

Non c’è spazio per il dissenso. Le donne sono tette per tutti e baci al barista, oppure non sono NIENTE. Sono simbolicamente espulse con infamia se solo si permettono di avere un’opinione differente su se stesse, tanto sono intercambiabili – le altre ce l’hanno come te – e per una che “se la tira” e scompare, ci sono un mucchio di quelle che ridacchiano con gli aperitivi in mano sicure che perciò gli uomini le ameranno e le considereranno degne di rispetto perché hanno mostrato di non averne un briciolo per le proprie simili.

Questo sogno peregrino e meschinello va in frantumi ogni giorno – in cronaca. Ogni singolo maledetto giorno, fra femminicidi e stupri. Più si normalizza l’oggettivazione, più si favorisce la violenza.

Maria G. Di Rienzo

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