(brano tratto da: “I’m full of fear: Italian woman’s story exposes rape law”, di James Reynolds per BBC News, 12 aprile 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)
“Era il tardo pomeriggio del 5 marzo quando una donna di 24 anni si imbatté in tre uomini alla stazione ferroviaria di Napoli.
I tre uomini, che lei conosceva appena, entrarono con lei in un ascensore. Ciò che accadde durante i 12 minuti seguenti è ora oggetto di un’intensa disputa.
Gli uomini sostengono di aver fatto sesso consensuale con la donna, ma lei dice che l’hanno stuprata. Un tribunale sta indagando.
Assieme a un collega, ho organizzato un incontro con la donna in una piazza di Roma. Non sapevamo come avremmo fatto a riconoscerla. Abbiamo incontrato una giovane donna sottile in modo scioccante. Ci ha offerto una timida stretta di mano.
L’avvocato al suo fianco ci ha detto che era pronta a parlare e io ho posto diverse domande:
Perché hai deciso di parlarne apertamente?
Parlarne apertamente è il solo modo di esprimere la mia sofferenza. Comunicare è il modo migliore di ottenere giustizia.
Hai fatto riferimento alla tua sofferenza. Come stai?
Sono un po’ ferita. Sono piena di paura. Sono spaventata e ferita.
Quando hai denunciato quel che ti era accaduto, come si sono svolte le cose?
All’inizio mi hanno creduto – gli avvocati e gli psicologi all’ospedale di Napoli. La violenza risultava ovvia dagli esami medici. Anche i poliziotti mi hanno creduto e il pubblico ministero. Ma la Corte d’Appello ha deciso di liberare due di questi individui.
Questa è una cosa che ti preoccupa?
Non è che mi preoccupa. Mi terrorizza. Loro sanno dove abito, perché in un’occasione precedente mi avevano pedinata sino a casa. Sono spaventata, penso che possano volere una vendetta.
Un tribunale ha ordinato il rilascio di tutti e tre gli imputati in attesa del processo. La BBC ha ottenuto una copia della sentenza composta da 24 pagine.
Il documento entra in minuziosi dettagli sulla storia clinica della donna in relazione a disturbi alimentari, depressione e presunti abusi da parte del suo stesso padre.
Il tribunale dice: “La combinazione delle condizioni della vittima ci inducono a giudicarla non affidabile in se stessa – e perciò la sua versione dei fatti non può essere considerata credibile.”
Il documento aggiunge che la donna ha una “personalità istrionica”. Ma i suoi difensori argomentano che la sua storia clinica non può essere usata per sostenere che si è inventata tutto.
Il tribunale dice anche che il filmato delle telecamere di sorveglianza, il quale non è stato reso pubblico, mostra come lei non abbia resistito ne’ mostrato segni visibili di trauma dopo l’incontro con i tre uomini.
Il Italia, l’argomento “non ha resistito, non ha vacillato dopo, perciò lo voleva” è spesso estremamente potente. Ma una giudice italiana è disgustata da questa logica: “Se una donna non si ribella, significa che lo vuole? – dice la giudice Paola di Nicola, che ha scritto un libro sui pregiudizi di genere nel sistema giudiziario italiano (1) – Questo è inaccettabile. E finisce sovente con l’assoluzione per gli uomini.”
Programmi televisivi e quotidiani hanno coperto questo caso estesamente. “Era promiscua e ha la tendenza a mentire.”, scrive una pubblicazione. (….)
(1) La giudice menzionata nell’articolo è infatti l’Autrice de “La mia parola contro la sua. Quando il pregiudizio è più importante del giudizio”, ed. Haper Collins. In occasione dell’uscita del libro, nell’ottobre 2018, fu intervistata al proposito da Tanina Cordaro per Lettera Donna; oltre a spiegare come gli stereotipi e i pregiudizi di genere influenzino le sentenze a scapito delle donne, disse anche cose assolutamente sensate e condivisibili sul linguaggio:
Lei si definisce una giudice. Perché in Italia la declinazione al femminile delle professioni di potere è ancora così osteggiato?
Perché la lingua è lo spazio più importante di rappresentazione ed esercizio del potere, infatti chi non è nominato non esiste, mentre chi lo è c’è e ci sarà sempre. Le donne si escludono dai luoghi di potere anche non nominandole quando vi si trovano e vi sono arrivate dopo durissime battaglie di chi le ha precedute. Dovrebbe essere chiesto a chi usa il femminile solo per parrucchiera perché non riesce ad usarlo per ingegnera o per ministra visto che la grammatica italiana ce lo imporrebbe, come scrive l’Accademia della Crusca.
Quali altre conseguenze comporta la declinazione esclusiva al maschile?
Quella di dimenticare donne straordinarie, coraggiose e competenti. Come Alma Sabatini che nel lontano 1987 riuscì a scrivere, su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’epoca, le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana. Raccomandazioni a cui ci dovremmo istituzionalmente attenere. E io mi chiedo: questo lavoro culturale e simbolico enorme che fine fa se le donne si nominano al maschile proprio nei luoghi di potere in cui quelle donne le hanno portate?