(“Meet Suhad Babaa, Israel/Palestine”, Nobel Women’s Initiative, 1° dicembre 2018, trad. Maria G. Di Rienzo.)
Suhad Babaa è la direttrice esecutiva di “Just Vision” – “Solo Visione”, un’organizzazione che usa il mezzo del documentario per riformare le narrazioni sull’occupazione israeliana della Palestina e sostenere il lavoro della società civile palestinese e israeliana. Recentemente, Suhad è stata la produttrice del film di Just Vision del 2017 “Naila and the Uprising” (“Naila e la Sollevazione”), che segue la vita e il lavoro di Naila Ayesh e altre donne leader della Prima Intifada.
Come hai sviluppato interesse nel costruire pace in Palestina e Israele?
Io dico sempre che la mia storia mi precede: mio padre è palestinese, mia madre è coreana, e entrambi sono cresciuti nel mezzo di guerra, conflitto e dopoguerra. Crescendo in California, in una casa dove convivevano fedi diverse, ho sempre faticato un po’ con le questioni relative all’identità e con l’impatto di guerra e conflitto sulla nostra famiglia, all’interno di uno scenario fatto di razza, etnia e religione.
Dopo l’11 settembre, ho osservato il governo statunitense cominciare a lanciare la sorveglianza sulle comunità musulmane in tutto il paese. E’ stato allora che mi sono posta domande sul modo in cui ciò che stava accadendo nel Medioriente aveva un impatto sulle nostre stesse pratiche e ancor di più sulle storie che stavamo ricevendo e che influenzavano il modo in cui l’opinione pubblica e il governo avrebbero agito.
Ho finito per trasferirmi in Israele e Palestina dopo l’università e ho lavorato sul campo con incredibili attivisti. Ma le loro voci negli Usa non si sentivano, ne’ erano amplificate localmente. Volevo davvero sostenere il loro lavoro, perciò è stato logico che io sia arrivata a Just Vision, ove il nostro mandato è amplificare le voci dei leader della società civile palestinese e israeliana.
Puoi parlarci del movimento per la pace in Palestina e Israele e del ruolo che in esso hanno le donne?
C’è una lunga eredità di resistenza nonviolenta in Palestina, inclusa la mobilitazione di massa della Prima Intifada – la prima sollevazione che accadde alla fine degli anni ’80. Quando abbiamo iniziato le ricerche per il nostro film documentario più recente sull’istanza, “Naila e la Sollevazione”, ci siamo imbattuti in qualcosa di importante.
Mentre andavamo in profondità, abbiamo capito che parte del motivo per cui il movimento aveva avuto tanto successo era che le donne giocavano un ruolo determinante nel processo decisionale. Sapevamo che la Prima Intifada era stata così efficace, in parte, perché era stata in grado di organizzarsi trasversalmente a genere, classe, partiti politici ed età in Israele e in Palestina. Ma non sapevamo che non solo le donne erano le partecipanti: erano in effetti quelle che chiamavano all’azione.
Le donne sono sempre state in prima linea in Palestina, che si trattasse della Prima Intifada o di Budrus, dove c’era una grande rappresentanza di donne. E perciò la questione per noi, come organizzazione, era assicurarci che fossero visibili. Perché noi crediamo che la loro visibilità conduca alla legittimazione il che nel tempo, alla fine, conduce all’aumento dei loro ruoli guida.
Perché è importante per le donne essere narratrici?
Io penso che sia sempre importante che le comunità possano raccontare le proprie storie. Just Vision è una squadra guidata da donne, sia per intenzione sia per caso. Ma mette in moto le nostre capacità di dar copertura a storie come quella che abbiamo narrato nel documentario “Budrus” e di capire il ruolo che le donne hanno svolto nella città di Budrus. Le donne sono spesso al timone dei movimenti storici, pure restano invisibili nei libri di Storia. E questo ha profonde conseguenze su come vediamo e comprendiamo la Storia, il nostro presente, il nostro futuro e chi sono i nostri leader.
In che modo aumentate la copertura giornalistica e il sostegno ai movimenti per la pace della società civile in Palestina e Israele?
C’è un bel po’ di copertura giornalistica su Israele e Palestina, ma sovente queste storie rinforzano una narrativa di violenza o di sforzi falliti dall’alto in basso. Ciò rende invisibili o criminalizza gli attivisti sul campo e la questione sembra quindi intrattabile. Semplicemente, non è vero. Quando esaminiamo la diseguaglianza, alcune delle oppressioni più profondamente radicate, sappiamo che quel che ci vuole è il potere popolare: comunità galvanizzate per far pressione sui loro leader politici che o non hanno agito o hanno fatto sistematicamente le cose sbagliate. Questo è anche il caso di Israele e Palestina.
Il lavoro di Just Vision consiste nell’essere complementare alla copertura dei media mainstream e nello sfidarla, presentando storie che sono poco documentate, critiche e che, allo stesso tempo, hanno il potere di ispirare, mobilitare e motivare le persone.