Di recente, mi sono portata a casa la trilogia “Millennium” (1) dello scomparso Stieg Larsson da un negozietto dell’usato: tre volumoni da 850 (e più) pagine l’uno per 9 euro in totale – un affare, non avrei mai potuto acquistarli a prezzo pieno. Poiché sono costretta a passare ore e ore fuori di casa mentre il vicino psicopatico rende la stessa una camera di tortura, ho bisogno di libri da leggere ancora più del solito.
Avevo già visto i 6 film da un’ora e mezza tratti dalla trilogia e prodotti per la tv svedese – un adattamento con scene aggiuntive delle 3 pellicole uscite al cinema – e avevo già fornito nella mia mente tutti i premi possibili a Noomi Rapace, l’attrice che interpreta magistralmente il personaggio fulcro della serie, Lisbeth Salander (in immagine sopra).
Non ho mai visto invece – e non intendo farlo in futuro – la versione hollywoodiana del 2011 in cui a impersonare Lisbeth è Rooney Mara, anche se so che la sua performance le guadagnò all’epoca una nomination all’Oscar. I remake americani mi irritano per principio, essendo per la maggior parte manipolazioni commerciali che tendono a “semplificare” (e spesso a pornificare) opere originali di altri paesi per renderle più appetibili a un’audience che, evidentemente, i produttori considerano composta da imbecilli che passano il tempo a grattarsi dentro le mutande. Rooney può essere stata bravissima, ma a me risulta irritante già solo la foto promozionale che riproduco qui sotto.
Comunque, l’adattamento statunitense fu un flop al botteghino e l’annunciata trilogia del regista David Fincher si arrestò al primo capitolo. Tuttavia, come probabilmente saprete, Stieg Larsson non può riposare in pace. Morto prima di poter assaporare il successo del suo lavoro, ha lasciato dietro di sé 200 pagine di appunti che indicavano come avesse intenzione di continuare la storia e su cui la sua famiglia e la sua compagna si sono dati battaglia in tribunale. Alla fine, lo scrittore David Lagercrantz è stato autorizzato a scrivere il quarto e il quinto romanzo della serie, senza basarsi sul suddetto materiale e – ovviamente, a mio parere – massacrando i personaggi. Il 18 ottobre è uscito l’ennesimo film, basato appunto sul quarto romanzo “Quello che non uccide” (o “The Girl in the Spider’s Web”). Lisbeth, questa volta, è l’attrice inglese Claire Foy (in immagine).
Non andrò di certo a vederlo, mi sono bastati i trailer: Lisbeth Salander, geniale hacker dalla memoria fotografica, coperta metaforicamente più dalle cicatrici degli abusi subiti che dai grandiosi tatuaggi, bisessuale senza vergogna, tenera e infrangibile al tempo stesso, micidiale e velocissima nell’autodifesa nonostante la sua esile struttura fisica (e qui aveva ragione Helena di “Orphan Black”: “Essere piccoli è un’arma”), è diventata nel film summenzionato… una vendicatrice della Marvel. E’ “la donna che fa male agli uomini che fanno male alle donne”, come la identifica qualcuno nel trailer ufficiale. Towanda n. 2, insomma. Ma per piacere.
Me li vedo, i produttori (maschi) attorno al tavolo: “Ehi, c’è tutto questo casino delle donne, #Metoo ecc., che ne direste di una supereroina femminista? Violenta e assurda, naturalmente, per niente femminile, con trucco grottesco, accessori punk e compagnia, che salva bellissime modelle bionde – queste sì molto femminili – dalla violenza dei loro mariti, eh?”
Fate pure. Ma non è Lisbeth Salander. E vi auguro un flop peggiore di quello del 2011.
Maria G. Di Rienzo
(1) Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor, 2005); La ragazza che giocava con il fuoco (Flickan som lekte med elden, 2006); La regina dei castelli di carta (Luftslottet som sprängdes, 2007).