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Un paese in cui sognare e vivere

23 novembre 2017 di lunanuvola

Rebeca Lane - foto di Cynthia Vance

Rebeca Eunice Vargas, in arte Rebeca Lane (in immagine), è nata a Città del Guatemala il 6 dicembre 1984, nel pieno della guerra civile che stava devastando il suo paese. Il nome Rebeca le è stato dato in memoria di una zia, rapita da agenti del governo militare nel 1981 per la sua attività politica e conseguentemente “scomparsa”.

Sin da giovanissima, Rebeca è stata un’attivista nelle organizzazioni che investigavano sui loro familiari rapiti o uccisi dall’esercito e nei movimenti per il cambiamento sociale, movimento femminista compreso. Ha deciso che le sue capacità artistiche potevano essere usate per esporre e condannare la violenza e così è diventata una “artivista”: teatro, cabaret, musica, programmi radiofonici, poesia, graffiti, danza… Rebeca partecipa a gruppi o ha fondato gruppi in tutti questi campi, ma è maggiormente nota come artista hip hop.

La settimana scorsa era in tour in Canada. Jackie McVicar, che lavora con i difensori dei diritti umani in Guatemala dal 2004, ha coordinato le date delle performance di Rebeca e in un lungo articolo del 14 novembre u.s. ha descritto il suo lavoro e l’ha intervistata:

“In ognuno dei suoi spettacoli sulla costa orientale del Canada, durante il suo primo tour nel paese, Lane ha dedicato un brano alle 56 ragazze che bruciarono in un incendio mentre erano chiuse a chiave in “rifugio” statale l’8 marzo 2017. Quarantuno di esse morirono immediatamente tra le fiamme per l’inalazione di fumo e le ustioni, le altre morirono nelle ore e nei giorni seguenti. Lane racconta la storia di come i giovani – ragazzi e ragazze – presi in carico dallo stato abbiano denunciato torture, abusi sessuali, prostituzione coatta e violenze subite nei rifugi.

“Nove delle 56 ragazze erano incinte nel momento in cui sono state uccise. – ha detto Lane – E nessuna di esse era arrivata incinta al rifugio.” (…) Erano rinchiuse da 12 ore in una piccola aula con 22 materassi, senza cibo e senza il permesso di andare in bagno quando diedero fuoco a un materasso per attirare l’attenzione della polizia affinché le porte fossero aperte. Ma la polizia non rispose. Invece, secondo i resoconti delle sopravvissute, i poliziotti schernirono le ragazze chiamandole “puttane” e dicendo che se erano state tanto coraggiose da cercare di scappare la notte prima, avrebbero dovuto essere abbastanza coraggiose da sopportare le fiamme. Successivamente, i poliziotti hanno dichiarato di non aver aperto le porte perché non riuscivano a trovare le chiavi. (…)”

Rebeca ha spiegato che ciò ha cambiato completamente il significato dell’8 marzo per il Guatemala. E pur ritenendo lo stato responsabile per il massacro delle ragazze, ci tiene a sottolineare che la maggioranza delle aggressioni le donne le ricevono per mano dei loro fidanzati, compagni, mariti, padri, fratelli: “Ogni mese (in Guatemala) 62 donne muoiono di morte violenta. Ciò significa 15 donne a settimana. L’anno scorso ci sono 739 morti violente. Quest’anno, contando solo sino alla fine di settembre, le donne uccise sono state 588: 373 per colpi d’arma da fuoco, 144 strangolate, 63 uccise a coltellate. Otto donne sono state smembrate e 1.034 ragazzine minori di 14 anni sono state stuprate e lasciate incinte, impossibilitate a ottenere un aborto legale.”

Rebeca Lane è una femminista visibile e molto attiva in un ambiente ostile verso le donne e verso chi difende i diritti umani. Sa che rischia la vita, ma non vede altra opzione se non continuare: “Mi sento in pericolo, certo. Ma in Guatemala è facilissimo essere uccise in qualunque modo. Preferisco almeno testimoniare, piuttosto che non fare niente.” E lo mette in musica con queste parole: “Io voglio vivere, non sopravvivere. Voglio uscire per le strade senza aver la sensazione di dovermi difendere, voglio sentire che le tue parole non possono offendermi e le tue armi non possono attaccarmi. Voglio costruire un paese che mi permetta di ridere, sorridere, sognare, cantare, ballare, vivere.”

Maria G. Di Rienzo

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