“Esponenti delle istituzioni, sindacati e semplici cittadini si sono riuniti a Reggio Calabria per protestare contro la violenza di genere. La manifestazione è stata organizzata dalla regione Calabria dopo la violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazzina di Melito Porto Salvo. Erano presenti la ministra Maria Elena Boschi, la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi.” Questo occhiello, il 21 ottobre, annunciava sul Corriere della Sera gli articoli e i video sulla manifestazione. La vicenda della ragazza, soggetta ad abusi sessuali per due anni da quando ne aveva 13 vi è probabilmente nota e i commenti delle autorità istituzionali che hanno partecipato potete immaginarli con facilità: non rinunceremo a diritti e libertà, denunciare è il primo passo, non lasciamole sole, insieme possiamo farcela, la violenza è il rifugio degli incapaci. Tutto ok, non mi sto certo lamentando di una dimostrazione contro la violenza sulle donne e sarei ben felice se l’iniziativa si diffondesse e altre regioni italiane la riprendessero. Tuttavia, la mia prima perplessità riguarda il fatto che governo e regioni della Repubblica hanno strumenti e mezzi per intervenire sul territorio in materia di violenza di genere ma non lo fanno – o quando lo fanno agiscono senza una base di conoscenza sulle origini e le motivazioni della violenza stessa, sebbene abbiano a disposizione una valanga di documenti e di impegni presi in sedi internazionali, e implementano azioni inefficaci, fallimentari e persino dannose.
La seconda perplessità riguarda l’affanno di opinioniste/i e giornaliste/i nel tentare di scollegare la lotta contro la violenza sulle donne dal femminismo. Chi legge, insomma, non deve preoccuparsi che le vampire escano dalle tombe con le bocche grondanti di sangue: “Da anni che non si vedevano tante donne in piazza, soprattutto giovani donne, motivate, arrabbiate, determinate. Possiamo parlare di un femminismo resuscitato? Se per femminismo si intende un sistema ideologico, direi proprio di no. Non ci sono ideologie, e nemmeno utopie dietro a una grande manifestazione come quella di oggi.” (Il “che” dopo “da anni” poteva essere risparmiato, nda.)
Dunque il femminismo è morto, giusto? Lasciamo stare me, io potrei benissimo essere una zombie rintronata che neppure si è accorta del proprio decesso, ma solo per prendere a esempio questo blog in esso ci sono circa sette anni di notizie su quel che le attiviste femministe, singole e/o in gruppo, fanno in tutto il dannato mondo: giovanissime, giovani, adulte e anziane. Documentarsi non farebbe male prima di dare l’annuncio del decesso.
Sullo stesso giornale che dice questo, il pezzo relativo alle manifestazioni argentine poi dilagate in tutta l’America latina e siglate come “Ni una mas” – “Non una di meno”, deve ammettere che l’organizzazione delle stesse è partita dai gruppi femministi e citare la loro capacità di “fare rete” con associazioni diverse: per poi correre ai ripari con frasi tipo “Ben oltre il femminismo tradizionale, una primavera di protesta che cerca di smuovere le coscienze ed esigere una risposta da parte delle autorità.”
Femminista da oltre quarant’anni, io devo ancora capire cos’è il “femminismo tradizionale” e quale sia il suo “sistema ideologico” evidentemente superato e obsoleto data la decomposizione del femminismo (morto) stesso. Sono andata in piazza a protestare contro la violenza di genere più volte di quante riesca a ricordare e a livello organizzativo le cose andavano – e vanno ancora – così: un gruppo femminista o persino una singola donna femminista lanciava la proposta, altri gruppi e altre donne la sostenevano, associazioni e persone diverse non collegate direttamente al femminismo aderivano e la proposta diventava un impegno (quando, dove, come). Poteva e può anche accadere che l’idea fosse lanciata da un partito politico, da un sindacato, da un’associazione culturale, ieri come oggi. Ma come sapete, storicamente la questione della violenza di genere l’ha sollevata il femminismo: e durante gli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo essa rimaneva ostica anche per molti dei più rivoluzionari “compagni”, decisi ad abbattere lo stato ma a non rinunciare a battere la moglie / fidanzata / compagna. E all’epoca le “primavere di protesta” erano ben più fondate e durature di una manifestazione indetta dalla Regione Calabria, per quanto partecipata e diffusa sui media. E se le radici concettuali della “primavera” attuale sono quelle che sempre lo stesso quotidiano indica, vi posso anticipare con ridicola facilità (scommettendo soldi contro noccioline) che non funzionerà: “Ma perché questa violenza? si chiedono in molti se le donne oggi si sentono pari, studiano, entrano in tutte le professioni, dirigono, pianificano, comunicano? La risposta potrebbe essere: ma proprio per questo: l’emancipazione femminile è sentita, da molti uomini (i più deboli e impauriti), in modo più meno consapevole e oscuro, come una perdita di potere, di autorità e di privilegi. E per chi identifica la propria virilità col possesso e il comando, le nuove libertà femminili possono suscitare delle vere tempeste di paura, odio e rivolta che portano perfino all’omicidio.” Un passaggio simile significa solo NON SAPERE cosa la violenza è, come si origina, come si alimenta e mantiene, e se non conosci il tuo nemico le tue possibilità di sconfiggerlo si riducono a uno zero virgola.
Definiamo questa “emancipazione” e il “sentirsi pari”, tanto per cominciare. Legalmente, le donne hanno ottenuto moltissime vittorie: votiamo, lo stupro è un reato contro la persona, una notevole quantità di nobili documenti ci garantisce pari diritti e opportunità, eccetera, ma questo non significa che stiamo vivendo in un mondo post-patriarcale. Sull’intero pianeta i tentativi di limitare o cancellare i diritti umani delle donne sono continui e spesso assai violenti; i salari di uomini e donne non sono uguali a parità di mansioni e orario; l’oggettificazione sessuale delle donne è pervasiva e martellante e i suoi prodotti (traffico di esseri umani, pornografia, prostituzione, aggressioni sessuali, discriminazione) sono in costante aumento… devo continuare? Questa non è eguaglianza e non è parità. Per i media sono ancora accettabili e “normali” i reportage sull’apparenza delle donne politiche senza che nulla sia detto sulle loro piattaforme e carriere; il vergognoso biasimo delle vittime di violenza di genere (cosa faceva là, perché era vestita così, lo provocava, voleva lasciarlo, è stato un raptus…); l’ipersessualizzazione di bambine, ragazze, atlete, artiste; lo svergognamento continuo di ogni donna il cui corpo non risponda ai criteri culturali attuali richiesti per la soddisfazione maschile…
E quanto alle donne che “entrano in tutte le professioni, dirigono, pianificano”, per favore, facciamo un po’ di conti e calcoliamo qualche percentuale (in Parlamento le donne sono il 31% in Senato e il 28,3% alla Camera). Però: “L’Italia è al quarto posto nel mondo per numero di donne nei consigli di amministrazione delle società, con una quota del 30,8%, percentuale cresciuta di quasi sei volte rispetto al 2010. Un cambio di rotta epocale? No, piuttosto l’effetto della legge Golfo-Mosca, che dal 2012 impone alle società quotate e alle partecipate pubbliche di riservare almeno un terzo dei ruoli in cda e collegi sindacali al genere meno rappresentato. Un obiettivo ormai raggiunto, ma che ora pone una domanda sul futuro. La legge, infatti, per non essere incostituzionale è “a tempo determinato”. Ha, cioè, una durata pari al rinnovo di tre mandati, per complessivi nove anni. Un arco di tempo ritenuto sufficiente per portare a un cambiamento sociale. Ma certo non è detto che allo scadere della legge le percentuali restino quelle attuali, anche perché ad un aumento delle donne nei board non è affatto corrisposto un incremento delle donne nei livelli apicali delle società. Vale a dire che senza quote resta difficilissimo riuscire a fare carriera.” Il Sole 24 Ore – 26 settembre 2016.
Non prendiamoci in giro. Se abbiamo bisogno di stabilire per legge “quote rosa” per permettere l’ingresso alle donne in politica e nei consigli d’amministrazione significa che l’una e gli altri sono ben contenti di tenerle fuori. Ripeto: eguaglianza e parità disegnerebbero un contesto assai differente da quello sopra descritto.
Di seguito vi sono notizie apparse in cronaca negli ultimi giorni (19-22 ottobre 2016). Secondo voi:
Il venticinquenne di Correggio che ha pubblicato su Facebook “le foto hard della ex fidanzatina che l’ha abbandonato” (tenete conto che la fidanzatina colpevole di abbandono del poveretto aveva 13 anni quando ha cominciato la relazione con costui, che ne aveva 21) era disturbato dal fatto che le donne hanno il diritto di voto (suffragio universale 1945, elettorato passivo 1946)?
Il marito di Stefania Formicola, 28enne con due figli piccoli, l’ha uccisa con un colpo di pistola all’addome perché la Costituzione Italiana – in vigore dal 1948 – all’art. 3 parla di pari dignità sociale ed eguaglianza davanti alla legge “senza distinzione di sesso” ecc.?
Il signore 52enne di Ascoli che ha cominciato ad assalire sessualmente la figlia della sua convivente quando la piccola aveva 10 anni, e il suo amico 71enne che per due anni ha condiviso la gioia delle violenze su una minore, l’hanno fatto perché nel 1975 la Legge n. 151 ha riformato il diritto di famiglia?
Padre Anello, l’esorcista dei Cappuccini, palpeggiava le minorenni per protesta contro la Legge 22 maggio 1978, n.194, sull’interruzione volontaria di gravidanza?
Oppure vivono in un contesto culturale che favorisce e incoraggia l’uso della violenza, soprattutto contro le donne?
Perché l’emancipazione e le nuove libertà femminili che indurrebbero “vere tempeste di paura, odio e rivolta che portano perfino all’omicidio” vanno dai trent’anni (circa) in su – solo due esempi per farmi capire: la maggiore età legale per le donne italiane non sposate è del 1865, l’ingresso delle donne italiane nelle università è del 1876. E prima di ognuno di questi passi avanti ogni tipologia di violenza maschile contro le donne aveva l’unica differenza, rispetto ai giorni nostri, di non essere sanzionata legalmente.
Quello che manca per liberarci dalla violenza è la sanzione sociale della stessa: ma per averla dobbiamo capire che stiamo vivendo ancora in una società patriarcale e misogina e che il principale motivatore della violenza di genere è la classificazione inferiore e accessoria che viene ascritta alle donne.
Maria G. Di Rienzo