(“He huffed and he puffed” – “Lui soffiava e sbuffava” e “Unemployment poem # 1” – “Poesia della disoccupazione n. 1”, due lavori di Fatimah Asghar, trad. Maria G. Di Rienzo. Fatimah è nata a Cambridge, Massachusetts, figlia di migranti provenienti da Pakistan e Kashmir. E’ poeta, scrittrice, attrice di teatro e fotografa. Nel 2011, mentre si trovava in Bosnia-Erzegovina con una borsa di studio, fondò il primo gruppo locale di “poesia parlata”, REFLEKS. “Mentre ero in Bosnia – ha spiegato in un’intervista – avevo l’impressione che chiunque fosse un cantastorie. L’intero paese scoppiava di racconti. Tuttavia, molte persone con cui parlavo consideravano l’arte o la poesia come cose che non alla loro portata, a causa delle connotazioni elitarie che circondano queste parole. C’era quindi il bisogno di creare uno spazio sicuro in cui le persone potessero esprimere se stesse.”)
LUI SOFFIAVA E SBUFFAVA
Come detto da Allah.
Ti ho costruito una memoria di fieno.
Niente sequoia o mattoni. Niente
cemento fissato al posto.
Guarda come collassa
quando viene soffiato via. Guarda
gli steli che si sparpagliano
come polline, impolverando il naso
di tutti. Guarda, come sei diventato un filo
di fieno che vola nel mezzo di un tifone
di brezza. Guarda come sei fatto
di niente
più che respiro.
POESIA DELLA DISOCCUPAZIONE N. 1
Il 62° giorno, Dio fece la povertà,
e fece te – un tintinnante sacco
d’ossa, un pilastro di sale e giovane fiume
d’acqua da ingoiare e ingoiare. Ragazza
da cassonetto, sempre a caccia di avanzi. I tuoi piedi
sono campi minati, o meglio, fuochi fatui marciti
nel modo in cui minacciano di sbriciolarsi ogni volta in cui ti ergi.
Guarda come scompari di fronte a te stessa.
Persino i peli sul dito del tuo piede stanno morendo di fame. Guarda
come la miseria risucchia i tuoi zigomi
sino a farne picchi montani. Guarda come le tue anche
diventano coltelli da chirurgo. Sei finalmente abbastanza donna
per essere venduta.