Lili Loofbourow, critica d’arte, è stata ospite per qualche giorno sul set di “Orphan Black”. Il 2 aprile 2015 ha pubblicato un lunghissimo pezzo al proposito, intitolato “I molti volti di Tatiana Maslany”. Eccone qualche significativo estratto. (Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo)
“Orphan Black”, fra il materiale del suo soggetto, ha il dibattito natura/cultura nella biologia, ma nel modo in cui lo show lo svolge la domanda si estende in modo intelligente alle questioni di genere. Che aspetto ha la medesima donna cresciuta in modi differenti (dal set di “Desperate Housewives” a quello di un film horror nell’Europa dell’est)? Il risultato è una rivelazione: invece del singolo archetipo esistente come personaggio femminile solitario nel proprio universo, questi tropi normalmente isolati si trovano l’un l’altro, fanno gruppo e cercano di liberarsi dal sistema malvagio che li ha creati.
Strutturando la storia attorno alle differenze fra i cloni, “Orphan Black” sembra suggerire che gli archetipi femminili esistenti devono morire. All’inizio, nella prima stagione, c’è un serial killer che dà la caccia ai cloni – si rivelerà essere Helena, la clone ucraina – e che ritualisticamente smembra bambole Barbie dopo aver tinto loro i capelli affinché corrispondano a quelli della prossima vittima. E’ un tocco raccapricciante, ma può anche essere letto come metacritica del modo in cui le donne sono usate in televisione: i punitivi standard di bellezza a cui devono attenersi, l’uniformità imposta (avete bisogno di una nuova moglie da sitcom? Prendete il prototipo e cambiate l’acconciatura dei capelli). La bassa tolleranza per le differenze fra i personaggi femminili significa che essi saranno sempre meno interessanti, meno memorabili e meno amati delle loro controparti maschili. In tal contesto, Helena diventa una sorta di eroina che, facendo una carneficina della conformità televisiva, costituisce in ambo la sua selvatichezza e il suo calore una radicale espansione di cosa le donne in televisione possono essere. Ed ogni personaggio, inclusa la clone criminale e folle, riceve considerevole attenzione e rispetto.
Dichiaratamente, la storia di come le cloni si trovano l’un l’altra e fanno gruppo per lottare contro una serie di minacce sempre più gravi, riguarda la violenta intersezione fra tecnologia e volontà femminile. La questione che sta al centro dello show è se i cloni hanno libero arbitrio e diritto di condurre esistenze normali, o se hanno valore solo come soggetti di un esperimento che devono essere monitorati, ingravidati, sterilizzati e gestiti. “E’ un tema molto connesso alle istanze femministe. – mi ha detto uno dei creatori della serie, Graeme Manson – A chi appartieni, a chi appartiene il tuo corpo, la tua biologia? Chi controlla la riproduzione?”
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Non accade spesso che si possa chiedere alle persone com’è il diventare famose mentre stanno diventando famose. Così ho chiesto. Maslany ha espresso qualche ambivalenza rispetto al modo in cui la fama produce richieste, specialmente nell’era dei social media. “La gente semplicemente vuole vuole vuole roba.”, ha detto. Ci sono spettacoli di premiazione, tappeti rossi; lei apprezza tutto questo, ma sta molto attenta che ciò non la controlli. “Tu esisti anche senza questa roba. Non è che questa roba ti definisca o qualcosa del genere.” Maslany ha sottolineato che i suoi personaggi in “Orphan Black” devono maneggiare la scoperta di essere, in un certo senso, di proprietà e anche loro rifiutano di lasciarsi definire da questo. “Ciò entra in risonanza con me, come donna.”, aveva già detto in un’intervista a Vanity Fair, “L’idea che i nostri corpi non ci appartengano. Che siano di proprietà di qualcun altro. Che la loro immagine appartenga a qualcun altro.”
Maslany ha sfilato sul tappeto rosso dei SAG Awards (Ndt: premi conferiti dalla Screen Actors Guild – Gilda degli attori dello schermo, sindacato che rappresenta oltre 150.000 attori/attrici di cinema e tv) vestita a puntino e piena di stile sino ai denti. Sorrideva luminosamente. I suoi fans l’hanno acclamata in modo gioioso su Twitter. Ma quando Maria Menounos l’ha invitata ad usare la mani-cam per mettere in mostra le sue unghie e i suoi gioielli (un invito che alcune attrici hanno rifiutato, trovandolo sessista), lei ha candidamente confessato che non si era fatta fare le unghie: ha infilato la mano priva di manicure nella mani-cam e ha dato alla camera da presa un pollice alto, nascondendo le unghie. Un colpo brillante, gentilmente servito… Maslany è una femminista impenitente.
P.S. A quest’ora saprete già che il prossimo film di Tatiana è “Woman in gold”, dove interpreta la sopravvissuta all’Olocausto Maria Altmann da giovane. Potreste invece non sapere che nel 2010 fu la protagonista femminile di uno sceneggiato BBC in quattro puntate, di grande successo, intitolato “La Natività”. Ehm, sì, faceva Maria di Nazareth. La vicenda copre il periodo dell’incontro e dello svilupparsi della relazione fra Maria e Giuseppe e termina alla nascita di Gesù. Tatiana, al proposito, ha detto ridendo a Lili Loofbourow: “Ho saltato le mestruazioni quando sono tornata a casa. Mi è successo questa sola volta in tutta la vita. Rispetto al ruolo, mi sentivo come se non meritassi la parte, mi sembrava troppo grande per me. Ma penso che questa sensazione a volte possa essere utile, quando dici: Ok, magari è proprio così che il personaggio si sente. Maria non ha la sensazione di meritare quest’enorme cosa che le è stata data. Si sente un’impostora, perché non è una santa, è solo un essere umano.”
P.P.S. L’ho detto che la terza serie di “Orphan Black” comincia il prossimo 18 aprile? Ok, adesso l’ho detto. Fremente conto alla rovescia: meno 11.