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Il blog di Maria G. Di Rienzo

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Graziose

26 febbraio 2015 di lunanuvola

roberts

Tomi-Ann Roberts è docente universitaria di psicologia. Da oltre vent’anni, i suoi saggi sono pubblicati su riviste specifiche come Sex Roles, Psychology of Women Quarterly, Psychology of Men and Masculinity, Women and Therapy, Feminism and Psychology, Journal of Men’s Studies, eccetera. Fra i suoi libri: L’auto-oggettificazione nelle donne: cause, conseguenze e azioni per contrastarla; Dal menarca alla menopausa: vite riproduttive delle donne contadine in due culture; La sessualizzazione delle bambine: cause, conseguenze e resistenza. Fa parte di numerose associazioni impegnate sia nella ricerca, sia nell’attivismo sociale ed è consulente giudiziaria per i casi che trattano di abuso sessuale dei bambini. (Trad. Maria G. Di Rienzo)

Spesso racconto la storia della mia figlia più piccola, che allora aveva sette anni, seduta con me su un tram a Berlino, in Germania. Il tram attraversò un quartiere in cui molte donne si offrivano apertamente per la prostituzione. Mia figlia ne ebbe un’impressione notevole: guardava fuori dal finestrino sorridendo ampiamente a una donna che portava stivali di plastica bianca con alti tacchi a spillo, estensioni alla capigliatura e un vestito a tubo strettissimo che le arrivava all’altezza delle grandi labbra. Mia figlia sospirò ed esclamò: “Mamma! Sono così graziose! Sembrano proprio le bambole Bratz!”

La psicologia dello sviluppo ha dimostrato che i bambini guardano agli ideali culturali del loro genere per modellare se stessi sino ad essere i migliori “sé genderizzati” che possono essere. Se la domesticità era l’ideale della femminilità quando io stavo crescendo – e potete scommettere che ho avuto in regalo un forno giocattolo, l’ideale della femminilità oggi è una “sessualità” voyeuristica oggettificata, per lo più in senso eterosessuale.

Per mia figlia queste donne (e le popolari bambole che amava) esemplificavano tale ideale. Senza alcuna mancanza di rispetto per le donne in questione, come psicologa e come madre di due figlie, l’incidente mi fece capire cosa veramente comporta un’era “post-femminista”: ed è il togliere potere alle donne convincendole che il loro scopo principale e più alto è l’essere “graziose” (come disse mia figlia) e che l’essere “graziose” corrisponde ad una definizione molto ristretta dell’essere sexy.

Il lavoro progettuale sul nostro corpo, in cui la cultura circostante ci ha convinto ad essere impegnate 24 ore su 24, da quando siamo abbastanza grandi per volere il vestito di una principessa Disney, non è solo un modo per annichilire fisicamente bambine e donne, è anche un modo per tenerci al nostro posto: le indaffarate, distratte, spendaccione “caramelle per gli occhi” del patriarcato. Perché naturalmente costa tempo, energia cognitiva e soldi il mantenere il tuo corpo disciplinato come giovane, magro, con la pelle splendente, con grandi seni, con grosse labbra, con capelli tinti, con grandi occhi, tonico e privo di rughe.

Ricordo di aver pensato, su quel tram, che solo un contrattacco concertato poteva ottenere di convincere le giovani donne che mostrare le tette in un video su internet sia “avere potere”, o di convincere mia figlia che assomigliare ad una bambola Bratz era il meglio che lei potesse essere. E solo uno sforzo organizzato di studiose e attiviste femministe rigirerà questo andazzo.

bambole

L’auto-oggettificazione, su cui ho concentrato molto delle mie ricerche, è stata identificata dalle associazioni degli psicologi e dai gruppi per i diritti umani dei bambini come un fattore crescente di preoccupazione per la salute mentale. Qualche tempo fa, mentre riflettevo sulla questione – e sul come far sentire bene bambine, ragazze e donne rispetto ai loro corpi – ero in un bar con un caffè ghiacciato e il mio laptop. Al tavolo accanto erano sedute due tredicenni intente a farsi autoscatti con i cellulari. La conversazione era di questo tipo: “Guarda che male mi stanno i capelli!”, diceva una. “Oh mio dio, – rispondeva l’altra – non posso mandare a lui una foto di me in cui faccio così schifo.” E l’altra riprendeva: “La mia pelle è disgustosa.” Erano seriamente impegnate a denigrare se stesse e ad ottenere validazione dall’altra per il proprio denigrarsi.

Due cose che sto esplorando da anni all’interno della ricerca sull’auto-oggettificazione erano riflesse nella conversazione delle due ragazze: vergogna e disgusto. La cultura dell’oggettificazione sessuale richiede alle donne e alle ragazze di nascondere, “sanitizzare” e deodorare le funzioni naturali dei loro corpi. Ci sono bar che promuovono gare di “magliette bagnate” per le giovani donne ma che ti cacciano fuori se allatti il tuo neonato all’interno delle loro stanze. I seni eterosessualizzati sono pubblici, seni che allattano devono essere nascosti. Oppure le mestruazioni: la cosa principale che le ragazze imparano al proposito è che in quel periodo sono disgustose e devono maneggiare questa “maledizione” da sole, tenendola segreta soprattutto a ragazzi ed uomini. I prodotti relativi sono pubblicizzati in modo da far pensare a donne e ragazze che le mestruazioni siano una crisi igienica. I tamponi O.B. sono quasi scomparsi del tutto dal mercato americano perché troppe giovani donne e ragazze trovano rivoltante inserire le loro dita nelle loro vagine. Le compagnie farmaceutiche hanno lucrato sulla vergogna e sul disgusto delle giovani donne ed ora offrono loro pillole che inibiscono le mestruazioni e che sono sempre più popolari fra le ragazze. Tra l’altro, mancano ricerche sull’impatto che a lungo termine questa pratica può avere sulla loro salute.

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