Costituzione della Repubblica Italiana, art. 50 – Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
Onorevoli membri del Parlamento italiano, confido che l’articolo costituzionale riportato sopra non sia ancora stato “riformato”: in base ad esso, quale cittadina del vostro stesso paese, vi informo innanzitutto di non accettare lo stravolgimento del Senato (Parte Seconda della Costituzione – Ordinamento della Repubblica, artt. 55 e seguenti). Non siete infatti riusciti e riuscite a farmi capire come un Senato non eletto direttamente dalla cittadinanza italiana, formato a guisa di dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci, in pratica privo di potere, in balia dell’esecutivo, con la sola facoltà di proporre disegni di legge alla Camera, sia passo necessario e salvifico per le sorti future del popolo italiano.
Dico “popolo italiano” perché è da questo che l’Italia è fatta: dalla gente che ci vive. Dico “popolo italiano” perché ad esso formalmente appartiene la sovranità su questo paese. Tale popolo non è stato informato ne’ consultato in merito ad una decisione che è solo un passo indietro sulla strada della democrazia. Doveste persino indire un referendum su di essa a cose fatte, e finiste pure per perderlo, lo sfregio resterebbe. E’ uno sfregio sui nostri volti, che voi smettete di vedere e di considerare umani, e a cui smettete di attribuire un valore qualsiasi, non appena eletti. Una volta legittimati per elezione o cooptazione (come purtroppo sta avvenendo sempre più spesso) quelle sale in cui sedete si tramutano in scenari di conflitto per le vostre ambizioni personali o in palcoscenici su cui si recitano commedie da quattro soldi per attirare l’attenzione dei media.
Nell’ultima legislatura ci avete ammannito apriscatole, finocchi, manette, bolle di sapone, spigole, catene carcerarie, mollette sul naso, cartelli deliranti pieni di insulti e magliette stampate con offese, concerti di suonerie di telefoni cellulari, “occupazioni” buffonesche di tetti e aule di commissione e banchi della presidenza, urla e minacce reciproche e reciproci spintoni o ceffoni. In coscienza, mi troverei molto riluttante ad affidare a persone simili financo la cura di una pianta in vaso, figuriamoci il dar loro mandato di riscrivere la Costituzione del mio paese: perché essa regola i miei diritti e i miei doveri come cittadina; perché ha influenza diretta sul godimento dei miei diritti umani e civili; perché è il simbolo “vivente” del patto sul bene comune che ci tiene insieme come membri di una nazione.
Non vi ricorderò coloro che sono morti per arrivare al momento in cui la Costituzione fu vergata, giacché potrebbe apparirvi come mero artificio retorico, ma voglio ricordarvi quelli e quelle che discuterono, in un confronto civile e non per questo meno deciso, su come scriverla: mediando, negoziando e bilanciando sino a creare una Carta considerata fra le migliori a livello internazionale. Credo sinceramente voi non vi siate dimostrati all’altezza di mettere mano al loro lavoro. E pregarvi di riflettere su ciò che state facendo è il contenuto della mia petizione.
La seconda parte di questa comunicazione concerne invece l’esposizione di “comuni necessità”. Onorevoli membri del Parlamento italiano, intendo attirare la vostra attenzione su due di esse, relative alle donne del vostro paese. Per qualcuno/a di voi sarà una sorpresa, ma tali necessità non riguardano quanto “estetiche” (e cioè apprezzabili dallo sguardo maschile) siano deputate e ministre, come si atteggino e cosa indossino, se siano single o impegnate a livello sentimentale e se l’emiciclo fornisca o no loro un parrucchiere di soccorso. In effetti, se smetteste di alimentare la descritta attitudine sessista vi saremmo grate: non pretendo di parlare a nome di tutte le attiviste antiviolenza italiane, ma sono una di loro e so quanti danni essa provoca. Astenervi dalle continue nauseanti battute/offese a sfondo sessuale e dalla compilazione di liste di “deputate meglio vestite” e similia ci darebbe un segnale positivo.
E qui si configura la prima delle necessità cui accennavo sopra: il contrasto alla violenza di genere. Il primo agosto la Convenzione di Istanbul entrerà in vigore per 13 nazioni facenti parte del Consiglio d’Europa che l’hanno sottoscritta, fra cui l’Italia. La Convenzione si basa sulla comprensione del fatto che ad investire le donne è una violenza perpetrata nei loro confronti proprio perché sono donne, e rende il contrasto a tale violenza “un obbligo legalmente vincolante”. Non vi è ancora traccia delle iniziative che dovreste prendere in merito, ne’ il Piano nazionale Antiviolenza riaffiora dall’oblio in cui è svanito, eppure le sole cifre della violenza di genere nel vostro paese dovrebbero riempirvi da un lato di sgomento e dall’altro di rammarico per non esservene occupati/e sino ad ora: una donna su tre fa esperienza di violenza fisica e/o sessuale durante la sua vita; una su cinque fa esperienza di stalking; a giorni alterni una donna muore o è gravemente ferita, nella maggior parte dei casi per mano di un partner o ex partner. La Convenzione di Istanbul non basta firmarla: essa richiede ai governi leggi, misure pratiche e allocazione di risorse. E nemmeno questo servirà a ridurre la violenza se non comincerete ad ascoltare chi la violenza la subisce e chi lavora per eliminarla – generalmente senza incoraggiamento alcuno da parte vostra.
La seconda necessità che vorrei sottoporre alla vostra attenzione è questa: all’inizio del mese di luglio 2014, dati Istat, abbiamo toccato il livello record della disoccupazione femminile in Italia. Solo da marzo a maggio di quest’anno 81.000 donne hanno perso il posto di lavoro. L’istanza si collega alla precedente in modo vizioso, perché non avendo autonomia a livello economico per una donna è molto più difficile uscire da situazioni di abuso domestico o relazionale, e molto più facile entrare in situazioni di abuso lavorativo (occupazioni in “nero”, ricatti, insufficienza o assenza di misure di sicurezza sul lavoro, eccetera). Le donne perdono i loro impieghi a causa della crisi economica, certo, ma in misura maggiore rispetto agli uomini, nel mentre continua ad essere ascritto ad esse il 99% del lavoro di cura relativo a bambini, anziani, disabili, malati. E voi, onorevoli membri del Parlamento italiano, avete pensato bene di aggravare la loro situazione tagliando le cosiddette “spese sociali”, le quali già venivano in soccorso delle donne per una percentuale risibile.
Se mai a qualcuno/a di voi pungesse vaghezza di rispondere a questa lettera, vi prego: non parlatemi di grandi cause che hanno la precedenza e di luminosi lontani orizzonti da raggiungere facendone pagare il prezzo proprio a chi ha meno. Non può esserci causa più grande, per l’apparato che deve dirigere una nazione, del benessere di chi quella nazione compone, i suoi cittadini e le sue cittadine. E qualsiasi orizzonte raggiunto calpestando la loro dignità, i loro diritti e il rispetto a loro dovuto, avrebbe solo il colore dell’oscurità più fitta. Distinti saluti, Maria G. Di Rienzo.