(“Normalizing Sexual Violence: Young Women Account for Harassment and Abuse”, di Heather Hlavka, docente universitaria di sociologia: lo studio, che ha analizzato le interviste forensi a bambine e ragazze dai 3 ai 17 anni in relazione alla violenza da loro subita, sarà pubblicato integralmente nel giugno 2014 per “Gender & Society”. Il brano seguente è estratto dalla presentazione della ricerca. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)
“Ti afferrano, ti toccano il didietro e tentano, tipo, di toccarti davanti, e corrono via… ma è così, intendo: non penso mai che sia una cosa grave, perché lo fanno a tutte. Succede, sono ragazzi. E’ quel che i ragazzi fanno.” Patricia, 13 anni, riferendosi ai suoi compagni di scuola maschi ha definito l’essere afferrata e toccata contro la propria volontà come un comportamento normale e diffuso.
Oggettificazione, molestie sessuali e abusi sembrano essere parte del tessuto delle vite delle giovani donne. Vi sono pochi spazi sicuri accessibili per loro; le ragazze sono molestate e assalite alle feste, a scuola, nei campi da gioco, sugli autobus, nelle automobili. Le giovani donne hanno descritto in modo schiacciante ragazzi e uomini come “naturali” aggressori sessuali, indicando uno dei principali canoni dell’eterosessualità coercitiva. Hanno descritto gli uomini come incapaci di controllare i propri desideri sessuali. Potere e privilegio maschile e acquiescenza femminile sono stati reificati nella descrizione di interazioni sessualizzate come normali e di routine. L’eterosessualità coercitiva mette in luce come le convenzionali norme delle relazioni eterosessuali richiedano spesso dominio maschile e subordinazione femminile.
Kelly, anch’essa tredicenne, ha parlato all’intervistatrice forense delle sue esperienze con il ventenne Eric: “Mi seguiva dappertutto, per tutto il tempo, dicendo che ero bella e cose del genere, e che lui poteva avermi quando mi voleva. Sempre così, e mi toccava e diceva: “Ti sto facendo bagnare, mi vuoi?” Io penso che sia… che sia quello che lui fa, semplicemente… E’ così che va, e tutti lo sanno, nessuno dice niente.”
Carla, di anni ne ha 14:
Carla: Tipo, sull’autobus, quando mi siedo, lui viene a sedersi di fianco e fa scivolare la mano sotto il mio sedere.
Intervistatrice: E dice qualcosa?
Carla: No, fa solo quella faccia solita. E quando io lo spingo via dal sedile si incazza.
Intervistatrice: Cosa succede quando si incazza?
Carla: Non è che parli, di solito. Gli viene, ecco, la faccia rossa. Penso che si senta respinto, ma non mi importa. Mi ha detto cose del genere… “Vengo a casa tua e ti stupro.” E insomma, lo so che scherza, ma è un po’ disturbante da sentire.
Intervistatrice: Sì, quando ti ha detto questo?
Carla: Me lo dice sempre, anche l’ultima volta in cui abbiamo parlato. Dice che verrà a casa mia a stuprarmi perché non voglio fare niente con lui. E io penso che… lo so che scherza, chi direbbe una cosa del genere, no?
Nel caso di Carla, le minacce furono usate per ottenerne acquiescenza, diventando via via sempre più persistenti e coercitive. Non sicura di doverle prendere sul serio, Carla definisce la sua esperienza “disturbante”, nel mentre normalizza il comportamento del giovane uomo come comprensibile all’interno del discorso della spinta sessuale maschile: la molestia viene pericolosamente costruita come romanticismo e flirt, ed è questo discorso che molto spesso fa sentire i giovani uomini in diritto di violare i corpi delle giovani donne. Prima dell’intervista forense, Carla non aveva mai parlato di queste sue vicende, considerandole parte dei rischi quotidiani del salire su un autobus.
Dalle giovani donne ci si aspetta – e loro si aspettano – che facciano esperienza dell’aggressione maschile e che abbiano la responsabilità del proteggersi interpretando e rispondendo a situazioni potenzialmente pericolose. Raramente le ragazze presenti in questo studio hanno denunciato gli incidenti a persone con autorità: in maggioranza hanno chiesto se a qualcuno sarebbe davvero importato qualora l’avessero fatto. Se non si trattava di “stupro” (coito), l’incidente non era stimato abbastanza serio per il coinvolgimento di altre persone.
Terry, undicenne, fu intervistata perché confidò ad un’amica di essere stata costretta a una fellatio dal vicino di casa 17enne: “Mi ha presa e… mi ha stretta più forte e ha detto che se non lo facevo mi avrebbe stuprata. Dicono sempre che ti stupreranno, se non fai quello che vogliono.” Poiché la madre l’aveva messa in guardia sulle possibili aggressioni e Terry quel giorno sedeva sulle scale che portano al suo appartamento da sola, la bambina si è assunta la responsabilità dell’accaduto: “Non avrei dovuto essere là, avrei dovuto essere in casa. Mia madre mi aveva detto di restare dentro, ad ogni modo. E non volevo essere stuprata, così ho dovuto farlo.”
La normalizzazione della violenza è risultata intensificata nei gruppi di pari, largamente basata sulla percezione delle donne come “guardiane” della sessualità. In questo senso, sono ritenute responsabili delle violenze che subiscono. Le ragazze si criticano l’una con l’altra per non aver maneggiato con successo il comportamento aggressivo normalizzato degli uomini. Lily, 14enne, è stata stuprata nel parco, mentre tornava da scuola, da un conoscente 17enne. L’offensore ha rapidamente diffuso pettegolezzi sul suo conto e Lily è stata rubricata come “promiscua” dalle sue compagne e dai suoi compagni di classe e la si è descritta come complice dello stupro che ha subito. La reputazione sessuale è risultata importante per le ragazze, e la minaccia di essere etichettate come “troie” incombeva largamente, agendo sovente come barriera alla denuncia: era connessa all’accusa di esagerazione e all’ostracismo. Le ragazze venivano posizionate come “controllori” dell’attività sessuale, non credute e oppresse dai compagni, le loro parole ricostruite e le loro azioni classificate come false.
Le ragazze si sono anche mostrate assai consce del doppio standard nella tradizionale narrazione sessuale. Hanno detto che “i ragazzi la passano liscia comunque”, “possono fare quel che vogliono”, “per loro non ci sono conseguenze”. La critica, però, si ferma prima dell’attribuzione di responsabilità in ambito sessuale ai maschi.
La ricerca sulla violenza sessuale ha a lungo chiesto perché le vittime non denunciano gli incidenti. Gli studi con persone adulte hanno esaminato come le donne danno conto di essi e nominano le loro esperienze, ma le adolescenti sono rimaste largamente al di fuori di questo lavoro. La descrizione che le ragazze fanno degli assalti è preoccupante, avendo molto a che fare con l’eterosessualità coercitiva e l’etero-normativa. Il sesso è qualcosa “che uomini e ragazzi fanno”, o “che lui voleva”, e l’assalto sessuale una minaccia “disturbante”, o qualcosa che “dicono in giro”, o “qualcosa che lei ha permesso accadesse”.
Dare la responsabilità a donne e ragazze di “dire di no” e scusare uomini e ragazzi, nonché la palpabile mancanza di spazi sicuri e di sostegno per le ragazze, spiegano perché le giovani in questo studio percepiscano come ci si aspetti da esse che proteggano se stesse dalla violenza quotidiana con ben poco aiuto altrui, compresi coloro che si trovano in posizioni di autorità.
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