La sindrome dell’impostore
17 aprile 2014 di lunanuvola
State lontane dalla tecnologia informatica, fragili fanciulle: è un lavoro per duri. Spesso richiede lo sforzo di sedere per ore su una poltroncina confortevole, in un ufficio con aria condizionata, mentre si usa una tastiera e si guarda un monitor. Davvero credete che una donna possa farcela? E’ chiaro che questo è un regno maschile, voi non siete toste abbastanza, non avete il fisico adatto e neppure il cervello adatto. Programmatrici? Via, via, al massimo potrete contribuire a progetti altrui, aggiungere accessori alle presentazioni PowerPoint di qualche vero programmatore, ma non fasciatevi la graziosa testolina più di tanto.
E’ curioso – scherzi miei a parte – quanto questo atteggiamento sia diffuso nelle “comunità” che vivono di qualche aspetto della tecnologia informatica (open source, online gaming, ecc.), e quante donne intelligenti, preparate e creative soffrano di conseguenza della cosiddetta “sindrome dell’impostore”, esprimano opinioni il meno possibile e lavorino camminando, per così dire, sulle uova. La terminologia “sindrome dell’impostore” fu coniata dalle psicologhe Pauline R. Clance e Suzanne A. Imes quasi quarant’anni fa, quando osservarono come donne del tipo descritto tendessero a non credere di essere brillanti e capaci nonostante i loro successi pubblici. Il potere della socializzazione, eh?
Devo avervi già detto un paio di volte (sì, va bene, probabilmente più di un paio…) perché la storia delle donne è così dannatamente importante. Questo è uno dei casi. La sorgente della materia “programmazione dei computer” la dobbiamo a due donne. La prima è la matematica inglese Augusta Ada King, Contessa di Lovelace (10.12.1815 – 27.11.1852), nata Augusta Ada Byron – figlia del poeta Byron – e comunemente conosciuta come Ada Lovelace.

Ada, fra il 1842 e il 1843 tradusse un articolo di un ingegnere militare italiano, Luigi Menabrea, e lo corredò di quelle che chiamò semplicemente le sue “annotazioni”; esse includevano il primo algoritmo inteso per essere sviluppato da una macchina, il primo programma per computer: e non c’erano ancora computer in cui farlo funzionare.
E poi c’è Grace Murray Hopper (9.12.1906 – 1.1.1992).

Codici e cifrari, l’intera idea dello scrivere in un linguaggio che non è linguaggio macchina e poi farlo processare dal computer di modo che lo diventasse (Harvard Mark 1) è sua. E non aveva altro che una telescrivente, strisce di carta che incollava insieme con il nastro adesivo per far ripetere il codice al computer e un mucchio di interruttori con cui cambiare la memoria della macchina e registrare direttamente. Ciò richiedeva una profonda conoscenza di ogni elemento componente il computer e l’abilità di direzionare i dati, in pratica, a mani nude.
Sembra che il lavoro da “veri duri” lo abbiano fatto delle “vere dure”. Per cui, techno-girls: non è stata fortuna, tempismo, buona fede altrui, lode immeritata… siete brave. Siete competenti. E avete radici. Un bel mucchio di radici profonde, tutte simili a voi, che ancora convogliano conoscenza verso di voi come le radici convogliano acqua e nutrimento agli alberi.

(Rosalind Franklin, Sarah Kavassalis, Lise Meitner, Lisa Randall, Caroline Herschel, Reva K. Williams, Maria Mayer, Jocelyn Bell Burnell, Marie Curie e Jennifer Ouellette)
La prossima volta in cui vi diranno: “Tu e Antonio siete stati fantastici con questo lavoro di programmazione.”, voi NON risponderete “Lui sì, io ho solo dato una mano.”, sorriderete e direte “Grazie! Speriamo di fare ancora meglio in futuro.”.
La prossima volta in cui vi diranno: “Hai risolto questo problema in modo superbo.”, voi NON risponderete “Oh, sai, in verità ho commesso quest’errore e poi quest’altro, e mi sento davvero in colpa per aver fatto perdere tempo a tutti, avrei dovuto ecc.”, sorriderete e direte “Grazie! Sono felice che abbia funzionato.”
E quando una ragazza più giovane di voi prenderà il coraggio a due mani e riuscirà a dirvi: “Sei un modello, per me, un’ispirazione.”, voi NON risponderete “Ah, è perché non mi conosci davvero… se sapessi…”, sorriderete e direte “Grazie! E’ bellissimo sapere di aver avuto questo effetto su un’altra persona.”
Mentre quando il capoccione di turno se ne uscirà con “questo non è un lavoro da donne blah blah”, voi vi farete una bella risata e replicherete: “A giudicare dalle origini è proprio un lavoro da donne! Aggiorna i tuoi dati, mister muscolo.” Maria G. Di Rienzo
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