(tratto da: “Part of Memory is Forgetting”, un più ampio articolo di Cara Van Le, scrittrice e attivista, 2013, trad. Maria G. Di Rienzo)
Non sono quel che si dice “una farfalla sociale”. Amo il calore del mio bozzolo. E’ stato solo dopo un anno di inviti schivati ed un giorno di insegnamento particolarmente difficile che ho accettato di uscire con i miei colleghi. Siamo arrivati al bar, abbiamo messo le tavole vicine, spostato le sedie, e prima che potessi rendermene conto ero bloccata nel mezzo, impossibilitata ad andarmene senza incastrare le gambe della mia sedia con quelle di qualcun altro.
Ci siamo scambiati le piacevolezze usuali. Lavoro, tempo atmosferico, bevande preferite. E preciso come un orologio, quel che mi aspettavo accadde.
“Allora”, disse lei spostando lo sguardo dal suo cocktail alla mia faccia, “Qual è… la tua stirpe?” Gli occhi della mia collega si aprirono e le maniche della sua camicia sventolarono in alto e attorno, riflettendo un vago periodo di tempo a cui voleva io risalissi.
Il mio impulso iniziale sarebbe stato quello di sfidarla, ma mi sono trattenuta, perché era una una mia superiore e perché, tutto sommato, sembrava star scegliendo con cautela le sue parole. Più di tutto, sembrava nervosa (a volte mi piace innervosire la gente bianca). Perciò stavo per rispondere gentilmente, ma prima che potessi spiccicare una sola parola, un’altra collega mi interruppe.
“E’ una Vietcong.”, disse, buttando giù un lungo sorso di birra. E rise. Io dissi con fermezza che non lo trovavo divertente, il che la fece ridere ancora di più. Ascoltai la sua risata echeggiare nel bar. Era come se qualcosa della mia faccia fosse un indovinello, uno scherzo, e “Vietcong” era la battuta finale. (…)
Avrei potuto parlare ai miei colleghi di come i miei genitori furono entrambi dei rifugiati, e delle decisioni su vita e morte che hanno dovuto prendere ad età inferiori alla nostra. Avrei potuto parlare del massacro di My Lai, dello stupro sistematico di interi villaggi che ha significato meno di un “tanto per dire” in una discussione. Agent Orange, pelle bruciata, amputati da mine, e tutti i bambini morti. Ma non avrei dato loro soddisfazione con le immagini gratuite di una guerra che non ho conosciuto.
La violenza, dopo tutto, è scritta nel lessico di ogni giorno: Queste patatine sono una bomba. Ho fottuto il test. Ho fatto fuori quell’intervista di lavoro. Io parlo la stessa lingua, in modo fluente. E anche se non ero viva durante la guerra, l’ho vissuta da quando sono nata.
Parte della memoria è il dimenticare. In vietnamita, non c’è coniugazione del verbo; capiamo se una frase si situa nel passato dal contesto delle parole che ci sono in essa. Io ho tenuto l’orecchio sul pavimento della nostra casa per anni, ascoltando aneddoti della storia della mia famiglia. Ma è di recente che ho compreso come il più grande indizio fosse il silenzio.
Parte della memoria è il dimenticare. I libri statunitensi di storia celebrano gli anni ’60 e ’70 per il movimento pacifista e gli avanzamenti nel giornalismo e nella letteratura, e i critici cinematografici salutano questo periodo come un rinascimento artistico, cambiando i modi in cui le storie sono raccontate, storie che riflettono l’ambiguità provata dagli americani nel combattere in guerra.
Fa’ che sia l’altro povero bastardo a morire. Good morning, Vietnam. Cinque “dollali”. L’orrore, l’orrore.
E ora suppongo che il definirmi Vietcong da parte della mia collega possa essere una battuta, ma una battuta sul bombardare e mutilare un paese già spezzato, e poi chiamare questo arte.
Al bar, lascio che la conversazione fluttui sopra di me. Hanno già dato inizio a un nuovo soggetto di discussione, sport, viaggi, o minuzie di lavoro. Mentre altra gente arrivava, il tutto si è trasformato in una gara urlata di esperienze di vita vissuta.
Ho partecipato al minimo livello e dato risposte brevi alle loro domande. Ho pensato che era inutile dare risposte a gente che sembrava averle già.
Ho preso l’autobus verso casa, mi sono infagottata nel ricordo della notte, e ho cercato il linguaggio che avrei usato per scriverla.