C’è un modo per rendere le città più amichevoli e confortevoli per le donne che in esse abitano. C’è, e non è per niente misterioso o difficile: basta chiedere le loro opinioni. L’amministrazione comunale di Vienna lo fa da anni, raccogliendo dati dalle cittadine e incorporandoli nei propri progetti sulla città. Si chiama gender mainstreaming e consiste in un approccio verso l’eguaglianza e l’equità di genere che si assicura di mantenere centrale l’attenzione alle prospettive di genere in ogni attività: politiche di sviluppo, legislazioni, allocazioni delle risorse, pianificazione urbana, eccetera.
Perché non basta mettere le firme sui protocolli internazionali, infilare i documenti relativi in un cassetto e poi sentirsi davvero magnanimi e chiedersi seccati “cos’altro vogliono le donne”: le donne vogliono che le dichiarazioni di principio diventino politiche reali, concrete, che toccano le loro vite. Il privilegio di un settore della popolazione sull’altro non si mantiene solo per ottusità o malizia, ma anche per la smemorata ignoranza dei gruppi in posizione di autorità a sproporzionata maggioranza (se non totalità) maschile, che non si sognano neppure di ascoltare pareri femminili, figuriamoci poi il portarli a livello di politiche.
Vienna si distingue nel gender mainstreaming in aree come l’istruzione e la salute pubblica, ma il settore in cui l’impatto di questa scelta è maggiormente visibile è la pianificazione urbana. Nel 1999, l’amministrazione ha chiesto ai cittadini e alle cittadine di esprimere le loro opinioni sui trasporti pubblici: ha scoperto che le donne li usano molto di più degli uomini, e che il loro utilizzo include per le donne la cura di bambini ed anziani. In risposta alle preoccupazioni ed ai suggerimenti delle cittadine, gli amministratori hanno allargato i marciapiedi, facilitato l’accesso ai trasporti pubblici, migliorato l’illuminazione stradale.
Gli studi degli amministratori viennesi hanno anche scoperto che le bambine smettevano praticamente di frequentare i parchi pubblici attorno ai nove anni d’età. Così, hanno ascoltato le bambine per sapere perché e saputo che era l’aggressività dei loro coetanei, spesso voraci di spazio e arroganti, a tenerle lontane. Non ci crederete, ma hanno ridisegnato i parchi: hanno aggiunto più aperture per raggiungerli e più sentieri interni, e hanno creato delle suddivisioni nelle aree aperte dei parchi stessi, permettendo la creazione di un numero maggiore di spazi fruibili. Immediatamente, le bambine sono tornate nei parchi, e allo stato attuale continuano a frequentarli assieme ai bambini senza che un gruppo sia maggiore dell’altro o imponga all’altro le proprie attività.
Chi critica questo approccio dice che rischia di rinforzare gli stereotipi di genere. Ma rendere i trasporti pubblici più agevoli per chi viaggia con bambini e corre da un posto a un altro per lavorare e sbrigare faccende, o permettere a chi non vuole fare a cazzotti di avere un posto tranquillo dove leggere in un parco, agli occhi miei è solo buono e giusto. Eva Kail, sostenitrice del gender mainstreaming e viennese, lo dice cosi: “Si tratta di portare le persone in spazi dove esse non esistevano prima, o dove sentivano di non avere il diritto ad esistere.” Maria G. Di Rienzo (Fonti: The Atlantic Cities, Jezebel, Agenzia Donne NU)